Responsabilità

Termine di prescrizione in materia di responsabilità dei revisori dei conti, il recente intervento della Consulta

Nota a Corte Costituzionale, sentenza 1 luglio 2024, n. 115

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di Antonio Martini, Ilaria Canepa, Alessandro Botti e Arianna Trentino*

La Corte Costituzionale, con sentenza del luglio 2024, n. 115, ha affrontato un’interessante questione riguardo all’individuazione del momento di decorrenza della prescrizione in materia di responsabilità dei revisori legali, regolata dall’art. 15 comma 3 del d.lgs n. 39/2010.

Ad un prima lettura, la disposizione in esame pare intendere che la prescrizione decorra, per la società che ha conferito l’incarico ai revisori, ma anche per i soci e per i terzi, “ dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato ”.

La Corte ha affrontato due principali questioni. Da un lato, la possibile disparità di trattamento della normativa in materia rispetto alla posizione di amministratori e sindaci, dall’altro, la verifica del fatto che tale normativa comporti o meno un ingiustificato sacrificio dell’asserito danneggiato.

Circa la prima questione, la Corte ha innanzitutto osservato che esistono orientamenti contrastanti che non consento di identificare, in modo univoco, il termine dal quale decorre la prescrizione per amministratori e sindaci.

In particolare, non vi è un chiaro orientamento che consenta di ritenere che il termine decorra dal momento in cui il danno è divenuto conoscibile.

Per tale ragione, la questione di legittimità costituzionale è stata respinta in quanto è stato ritenuto mancante un punto di comparazione adeguato rispetto al quale operare una valutazione di eventuale disparità della disciplina prevista per i revisori.

La seconda questione è di più ampio respiro e la Corte ha rimarcato che, quando si tratta di stabilire il momento di decorrenza della prescrizione, vengono sempre in gioco due contrapposti interessi.

Quello del danneggiante, di poter approntare un’efficace difesa, atteso che è oggettivamente difficile ricostruire fatti molto lontani nel tempo, a cui si affianca un interesse pubblicistico di certezza, e quello del danneggiato, di far valere efficacemente il proprio diritto.

La Corte ha peraltro sottolineato che in altri ordinamenti, ad esempio in quello tedesco e francese, proprio al fine di contemperare queste due contrapposte esigenze, sono previsti due distinti termini, uno più corto, legato a parametri soggettivi di conoscibilità, ed uno più lungo, caratterizzato da criteri di tipo oggettivo.

Il problema permane invece marcatamente proprio nei casi, come quello della responsabilità dei revisori, ove è previsto un unico termine.

A questo proposito la Corte ha operato un preciso distinguo.

Per quello che riguarda la responsabilità contrattuale dei revisori nei confronti della società, è il momento del deposito della relazione dei revisori quello dal quale decorrono i termini di prescrizione, atteso che l’inadempimento genera immediatamente un danno, costituito dalla perdita economica correlata al minor valore (finanche nullo) della prestazione eseguita inesattamente.

È stato altresì precisato che non è irragionevole che il legislatore abbia adottato un termine che si colloca ad un livello di tutela minima del danneggiato, anche perché quest’ultimo è favorito dalla responsabilità solidale degli amministratori, fermo che in caso di dolo opera la sospensione del termine ai sensi dell’art. 2941, primo comma, numero 8) c.c.

In merito alla responsabilità nei confronti dei soci e dei terzi, di natura aquiliana, è stato invece ritenuto che il deposito della relazione da parte del revisore non identifichi una condotta già di per sé produttiva di danni.

In questo caso il danno consiste nel fatto che la revisione abbia ingenerato un affidamento sull’attendibilità di quanto da essa erroneamente attestato, dando un contributo causale al compimento, da parte di soci e di terzi, di scelte per loro stessi pregiudizievoli.

A fronte di tale fatto illecito, il dies a quo della prescrizione non può essere quello del deposito della relazione, che è antecedente al momento in cui si produce il danno e sono identificabili i soggetti danneggiati e, per tale ragione, è stato infine concluso che, «per ricondurre l’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 39 del 2010 a una portata normativa che non contrasti in maniera manifesta con il principio di ragionevolezza e con la tutela del danneggiato, è sufficiente limitare il raggio applicativo della medesima disposizione alle sole azioni con cui la società, che ha conferito l’incarico di revisione, fa valere il danno conseguente all’erronea o inesatta revisione».

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*A cura di Antonio Martini (Partner – CBA Studio Legale e Tributario), Ilaria Canepa (Senior Associate – CBA Studio Legale e Tributario), Alessandro Botti (Associate – CBA Studio Legale e Tributario), Arianna Trentino (Associate – CBA Studio Legale e Tributario)

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