Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 29 maggio e il primo giugno 2023

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di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello affrontano i temi dell'accreditamento sanitario, dei rapporti patrimoniali tra conviventi di fatto, della responsabilità dell'appaltatore, della colpa medica e, infine, della simulazione del contratto di locazione.
Da parte loro i Tribunali sono chiamati a pronunciarsi sulla responsabilità degli amministratori di una Srl, sulla legittimazione ad agire quale erede, sulla estinzione per impossibilità di una obbligazione, sulla estensione e sulle modalità di esercizio di una servitù di passaggio e, infine, sulla responsabilità professionale dell'avvocato.


SANITA'
Accreditamento sanitario – Prestazioni sanitarie – Pagamento dei corrispettivi
(Dlgs 30 dicembre 1992, n. 502)
Adita in tema di accreditamento sanitario osserva la Corte d'Appello di Bari come l'acquisto di prestazioni sanitarie da parte della pubblica amministrazione presupponga – tra l'altro – la conclusione di un accordo contrattuale, in mancanza del quale l'attività sanitaria non può essere esercitata per conto ed a carico del servizio pubblico, e, conseguentemente, la struttura privata che voglia operare nell'ambito di esso ha l'onere non solo di conseguire l'accreditamento, ma anche di addivenire alla stipula del suddetto accordo contrattuale.
La qualità di soggetto accreditato costituisce condizione certamente necessaria, ma non sufficiente per conseguire il pagamento delle prestazioni assistenziali erogate agli utenti del SSR, come è dato desumere dalla disciplina del Dlgs n. 502/1992 (s.m.i.) che subordina (anche) l'esercizio, da parte delle strutture private, delle attività sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale, al triplice requisito del possesso dell'autorizzazione all'esercizio di attività sanitaria, dell'accreditamento istituzionale e della stipulazione di accordi contrattuali.
Il quadro normativo di riferimento dunque riconduce gli effetti obbligatori inter partes esclusivamente alla specifica convenzione stipulata tra la struttura privata e la ASL di riferimento (disciplinando il contenuto minimo di tali accordi) precisando che il provvedimento definitivo di accreditamento istituzionale adottato dalla regione non è idoneo a legittimare, in difetto di stipula dell'accordo, la pretesa di pagamento dei corrispettivi fatturati dalla struttura accreditata.
In un sistema nel quale, in ragione della tempistica oggettivamente complessa, è fisiologica la sopravvenienza della determinazione del limite di budget (la quale rappresenta, comunque, l'adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo, che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per remunerare le prestazioni sanitarie) soltanto dopo l'inizio dell'erogazione del servizio, le strutture accreditate possono aver riguardo - fino a quando non risulti adottato un provvedimento definitivo - all'entità delle somme contemplate per le prestazioni dell'anno precedente, detratta, ovviamente, la quota di riduzione della spesa sanitaria sancita dalle norme finanziarie dell'anno in corso.
Corte di Appello di Bari, sezione II, sentenza 30 maggio 2023 n. 860


FAMIGLIA
Convivenza di fatto – Aspetti patrimoniali - Disciplina
(Cc, articoli 179, 2034, 2041, 2042)
La Corte d'appello di Firenze si sofferma sulla corretta esegesi della norma dell'articolo 179 c.c., quanto ai beni personali esclusi dalla comunione legale tra i coniugi, precisando che l'applicabilità del regime ivi delineato difetta del suo presupposto (ovvero l'unione della coppia in matrimonio) nel caso di convivenza di fatto.
In tale ultima ipotesi viene in rilievo il dovere morale di solidarietà, il cui spontaneo adempimento, nelle forme del reciproco sostegno economico, assume specifico rilievo giuridico in quanto comportante l'irripetibilità delle prestazioni effettuate spontaneamente ai sensi dell'articolo 2034 c.c. disciplinante le obbligazioni naturali.
L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
L'articolo 2041 c.c., costituisce una norma di chiusura della disciplina delle obbligazione, concedendo uno strumento di tutela, esperibile in tutti i casi in cui tra due soggetti si verifica uno spostamento patrimoniale (c.d. utiliter versum), tale che uno subisca danno e l'altro si arricchisca, "senza una giusta causa" e, cioè, senza che sussista una ragione che, secondo l'ordinamento, giustifichi il profitto o il vantaggio dell'arricchito.
L'azione ha carattere generale, perchè è esperibile in una serie indeterminata di casi, in quanto espressione del principio per cui non è ammissibile l'altrui pregiudizio patrimoniale, senza una ragione giustificativa; ha, inoltre, carattere sussidiario, perchè è esercitabile solo quando al depauperato non spetti nessun'altra azione, basata su un contratto, su un fatto illecito o su altro atto o fatto produttivo dell'obbligazione restitutoria o risarcitoria (articolo 2042 c.c.).
Corte di Appello di Firenze, sezione I, sentenza 30 maggio 2023 n. 1157

CONDOMINIO
Condominio negli edifici – Esecuzione di lavori – Furto in appartamento – Responsabilità
(Cc, articoli 2043; 2051)
Secondo quanto affermato in sentenza dalla Corte d'Appello di Lecce, nel caso di furto in appartamento (sito all'interno di un condominio) commesso ad opera di sconosciuti avvalendosi dei ponteggi installati in esecuzione di un contratto di appalto per il rifacimento della facciata del fabbricato condominiale, la responsabilità dell'impresa appaltatrice è di tipo extracontrattuale (articolo 2043 c.c.).
In particolare, la responsabilità dell'impresa è ravvisata qualora quest'ultima, trascurando le (ordinarie) norme di diligenza, e perizia, e la doverosa adozione delle cautele idonee ad impedire l'uso anomalo delle impalcature, in violazione del principio del neminen laedere, abbia colposamente creato un agevole accesso ai ladri, ponendo così in essere le condizioni del verificarsi del danno.
Dal punto di vista processuale, l'attore che agisce per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un furto deve dimostrare: l'evento dannoso, ovvero il furto subito e i danni conseguenti; la condotta colposa del danneggiante (la mancata adozione di idonee misure di cautela); l'installazione di un sistema non conforme alle prescrizioni contrattuali; il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la condotta colposa.
Dal canto suo, l'impresa appaltatrice, per andare esente da responsabilità, deve fornire la prova di avere adottato tutte le cautele atte a evitare che le impalcature divenissero un agevole accesso ai piani per i ladri, e quindi idonee ad impedire una più facile esecuzione dei furti, nonché l'eventuale prova che i ladri non si siano serviti dei ponteggi per accedere all'appartamento del condomino vittima del furto.
Dunque, da un lato, colui che per eseguire lavori utilizza dei ponteggi, che possono facilitare l'accesso alle abitazioni esistenti nello stabile, deve usare norme di diligenza, adottando idonee cautele atte ad impedire l'uso anomalo delle impalcature, e, dall'altro lato, insiste, anche in relazione a tale situazione, un obbligo di custodia incombente sul soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura, obbligo sanzionato dall'art. 2051 c.c..
Corte di Appello di Lecce, sezione II, sentenza 30 maggio 2023 n. 484

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Colpa medica - Giudizio di risarcimento danni – Disciplina

Nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica – sottolinea la Corte d'Appello di Cagliari - non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l'attore, dopo aver allegato nell'atto introduttivo che l'errore del sanitario possa individuarsi in un determinato fatto, nel concludere alleghi, invece, che l'errore debba rinvenirsi in una differente condotta, dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l'ambito dell'indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato.
Non solo. Osserva ancora la Corte adita che l'accertamento del nesso causale, sempre nelle ipotesi di responsabilità sanitaria, deve essere condotto attraverso una ricostruzione non atomistica della complessiva condotta omissiva della struttura sanitaria indicata dall'attore come idonea a cagionare l'evento, in modo che il singolo episodio sia considerato, e valutato, come inserito in una sequenza più ampia e coerente.
Quando poi i fatti da accertare necessitano di specifiche conoscenze tecniche, il Giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti stessi; in tale ultimo caso la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova ed è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il Giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.
Precisamente, con riferimento alle ipotesi di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, è la innegabilità delle conoscenze tecniche-specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma anche alla loro stessa rilevabilità, che impone una consulenza tecnica avente carattere percipiente.
Invero, la consulenza tecnica d'ufficio è un atto processuale che svolge funzione di ausilio del Giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (cosiddetta consulenza deducente) ovvero, in taluni casi (come è nell'ambito del sottosistema della responsabilità sanitaria), è essa stessa fonte di prova per l'accertamento dei fatti, in quanto costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il "fatto storico", rilevato e/o accertato dal consulente.
Corte di Appello di Cagliari, sentenza 31 maggio 2023 n. 197

LOCAZIONE
Contratto di locazione – Simulazione – Prova
(Cc, articoli 1417, 2724)
Chiarisce la Corte d'Appello di Milano come, in tema simulazione del contratto di locazione, incidendo l'accordo simulatorio sulla volontà dei contraenti, colui che deduce che la simulazione sia stata posta in essere in violazione di norme imperative può avvalersi di testimoni e presunzioni per provare il contratto dissimulato, la prova dovendo attenere sia agli elementi caratterizzanti dell'uno, o dell'altro tipo di contratto, sia all'accordo simulatorio, di cui deve disvelare l'intento.
Ne consegue che il relativo onere probatorio non può ritenersi validamente assolto unicamente in base al mero positivo riscontro di una sommatoria di dati astrattamente riconducibili ad una diversa fattispecie negoziale.
E dunque, il conduttore può provare la simulazione relativa del contratto di locazione di un immobile (ad esempio, da uso abitativo transitorio a destinazione abitativa ordinaria) dimostrando che il locatore fosse a conoscenza dell'effettiva destinazione dell'immobile locato anche a mezzo di presunzioni e, dunque, allegando circostanze oggettive conosciute dal locatore al momento della stipula.
Con la precisazione, sempre in tema di locazione immobiliare, che la prova per testimoni è ammissibile se la domanda è diretta a far valere l'illiceità dell'accordo dissimulato (ex articolo 1417 c.c.) e quando vi è un principio di prova per iscritto (ex articolo 2724, I, n. 1, c.c.) che conferisca alla testimonianza riscontro probatorio documentale presuntivo.
Pertanto, conclude sul punto la Corte lombarda, il conduttore ha il potere di fornire la prova della simulazione anche avvalendosi delle prove orali e delle presunzioni ma le stesse devono essere volte a dimostrare l'accordo sottinteso tra le parti e, quindi, a fornire la prova che il locatore sapesse dell' (e che fosse d'accordo con il conduttore sull') effettiva destinazione dell'immobile, e le prove orali devono essere suffragate da almeno un principio di prova per iscritto.
Corte di Appello di Milano, sezione III, sentenza 31 maggio 2023 n. 1678

SOCIETÀ
Società a responsabilità limitata – Amministratori – Responsabilità – Onere della prova
(Cc, articoli 2394, 2476, 2489, 2495)
Osserva in sentenza il Tribunale di Bologna come, ai sensi dell'articolo 2476, VI, c.c., gli amministratori rispondano verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale; la relativa azione di responsabilità può essere esperita dai creditori quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
Tale disposizione normativa, alla pari ed in analogia di quanto previsto dall'articolo 2394 c.c. in materia di società per azioni, attribuisce ai creditori sociali di s.r.l., quali soggetti terzi, la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori che, violando i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, abbiano pregiudicato l'integrità ed il valore del patrimonio sociale, impendendo, in tal modo, il soddisfacimento della loro legittima pretesa creditoria.
La norma, in particolare, configura un'ipotesi speciale di responsabilità aquiliana che, secondo l'ordinario criterio di riparto dell'onere probatorio, addossa in capo ai creditori sociali (che promuovono il giudizio di responsabilità) l'onere di provare l'inosservanza da parte dell'amministratore degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale, che tali inadempimenti siano dovuti a dolo o colpa e, infine, che abbiano provocato l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali.
Una siffatta responsabilità, quindi, presuppone anzitutto il riscontro di un'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori che sia causalmente connessa all'inosservanza, da parte dell'amministratore, degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale.
Ad analoga disciplina, inoltre, è soggetta la responsabilità del liquidatore a norma degli articoli 2489 e segg. c.c., che può essere fatta valere anche dai creditori rimasti insoddisfatti a seguito della cancellazione della società (v. art. 2495 c.c.).
Tribunale di Bologna, IV sez. civ. – sez. spec. in materia di impresa, sentenza 29 maggio 2023, n. 1175

SUCCESSIONI E DONAZIONI
Erede – Legittimazione ad agire (a resistere) – Prova
(Cc, articoli 459, 471, 484, 2697)
Afferma il Tribunale di Pisa che colui il quale promuova l'azione (o specularmente vi contraddica) nell'asserita qualità di erede di un altro soggetto, indicato come originario titolare del diritto, deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione di questi, fornendo la prova, in ottemperanza all'onere di cui all'articolo 2697 c.c., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o di contraddire).
Si rammenta, poi, che all'apertura della successione i beni e i diritti ereditari sono offerti ai soggetti destinati a succedere, ma con la precisazione che la delazione non attribuisce subito la qualità di erede e non determina l'immediato acquisto dell'eredità, conferendo solamente il diritto potestativo di accettarla e i poteri di amministrazione di cui agli articoli 460 e 486 c.c.
L'eredità e la qualità di erede, secondo quanto disposto dall'articolo 459 c.c., si acquistano con l'accettazione (espressa o tacita) da cui scaturiscono gli effetti fin dal momento dell'apertura della successione.
Ancora, con riferimento ai minori e agli interdetti, ricorda il Tribunale toscano come l'articolo 471 c.c. disponga che le eredità devolute non si possono accettare se non con il beneficio di inventario; di conseguenza la norma esclude che il rappresentante legale dell'incapace possa accettare l'eredità in modo diverso da quello prescritto dall'articolo 484 c.c..
L'accettazione tacita, dunque, non rientra nel potere del rappresentante legale e, perciò non produce alcun effetto giuridico nei confronti dell'incapace, che resta nella posizione di chiamato all'eredità fino a quando egli stesso, o il suo rappresentante, eserciti il diritto di accettare o di rinunziare all'eredità entro il termine della prescrizione.
Ne consegue la necessità che l'erede che intenda esercitare un diritto riconducibile al proprio dante causa dimostri la sua qualità, mediante la produzione, nel corso del giudizio, di idonea documentazione, venendo solo successivamente in rilievo l'accettazione dell'eredità, che può anche avvenire tacitamente, mediante l'esercizio di un'azione petitoria.
Tribunale di Pisa, sentenza 29 maggio 2023 n. 736

OBBLIGAZIONE
Obbligazione – Estinzione per impossibilità – Pandemia - Rilevanza
(Cc, articoli 1256, 1467)
Sottolinea il Tribunale di Firenze che l'impossibilità che estingue la obbligazione del debitore, ex articolo 1256 c.c., è da intendersi in senso assoluto ed oggettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile né prevedibile, che impedisce definitivamente (o temporaneamente) l'adempimento.
L'impossibilità sopravvenuta che libera dall'obbligazione deve consistere quindi non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso.
Le obbligazioni pecuniarie, in particolare, per loro natura, non sono mai esposte ad una materiale o giuridica oggettiva impossibilità, ma solo ad una soggettiva inattuabilità, connessa all'indisponibilità o alla penuria dei flussi di cassa.
Ciò detto in via generale, il Tribunale osserva ancora che la legislazione speciale adottata a seguito dell'emergenza pandemica (covid-19) ha tipizzato l'impossibilità oggettiva quale causa che giustifica l'esonero di responsabilità del debitore, disponendo che questi non è responsabile allorquando non abbia potuto rendere la prestazione a causa degli obblighi imposti dai provvedimenti legislativi emergenziali.
Non è venuto meno, in ogni caso, il nesso causale fra l'osservanza delle misure restrittive e l'inadempimento, nesso che dunque va provato e contestualizzato.
Non è infatti sufficiente dimostrare che sono state le misure ad aver bloccato o limitato la prestazione, in quanto hanno vietato o ritardato l'esercizio di un'attività, per liberare il debitore dall'area della responsabilità, consentendogli di porre il rapporto contrattuale in una situazione di quiescenza.
L'obbligato, per escludere la propria responsabilità, non può dunque limitarsi ad allegare assiomaticamente che l'inadempimento è ascrivibile alle misure anticontagio, dovendo offrire la prova circostanziata del collegamento eziologico fra inadempimento e causa impossibilitante, rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell'epidemia.
In definitiva, se è indubbio che la pandemia da Covid-19 rappresenta sicuramente un evento naturale imprevedibile ed incontrollabile, perché possano invocarsi le tutele degli articoli 1256 e 1467 c.c. occorre che essa o, più in generale, i relativi risvolti in ambito legale ed economico, abbiano avuto efficacia causale sull'inadempimento o sull'eccessiva onerosità di un eventuale adempimento, di talché l'onere di allegazione probatoria non è sovvertito dall'impossibilità sopravvenuta della prestazione e questa va sempre e comunque provata.
Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 30 maggio 2023 n. 1629

SERVITÙ
Servitù di passaggio – Estensione – Modalità di esercizio
(Cc, articoli 1063, 1064, 1065)
Secondo quanto affermato in sentenza dall'adito Tribunale di Mantova al fine di perimetrare il contenuto di una servitù convenzionale di passaggio, per la quale il titolo non specifichi l'estensione, né le modalità di esercizio, deve farsi applicazione della norma dell'articolo 1065 c.c..
Alla luce di tale disposizione codicistica, nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente, senza che al riguardo possa assumere rilevanza l'esercizio concreto della stessa, cioè il suo possesso, come invece avviene per le servitù acquistate per usucapione.
Precisamente, in tema di servitù prediali, l'articolo 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell'estensione e dell'esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi articoli 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario.
Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l'impiego degli adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente, e inequivocabilmente, determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente.
L'estensione e le modalità di esercizio della servitù debbono pertanto, ordinariamente, essere dedotte dal titolo, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall'ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione.
Ne consegue che l'indagine sulla sussistenza, ad opera del proprietario del fondo servente, di atti di violazione o turbativa della servitù va condotta con riferimento all'estensione ed alle modalità di esercizio della servitù medesima, come fissate dal titolo costitutivo, e, pertanto, deve tenere conto anche delle specificazioni che tale titolo contenga in ordine alla utilitas, ove le stesse non abbiano mero valore indicativo, ma valgano a qualificare e delimitare il diritto.
Tribunale di Mantova, sentenza 30 maggio 2023 n. 395

AVVOCATO
Avvocato - Responsabilità professionale - Accertamento
(Cc, articoli 1176, 1460, 2236)
In via generale è vero è che l'avvocato, nella prestazione dell'attività difensiva, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell'articolo 1176, II, c.c., ad usare la diligenza imposta dalla natura dell'attività stessa esercitata. La violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale (del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che, a norma dell'articolo 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà) e, in applicazione del principio di cui all'articolo 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso, allorchè la negligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente ed abbia perciò, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile.
Al tempo stesso opera il principio di diritto – cui espressamente si riporta in sentenza il Tribunale di Milano - per cui la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, dovendosi accertare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni.
Ciò in quanto, anche ove risulti provato l'inadempimento del professionista rispetto alla propria obbligazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla base di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito.
Segnatamente, il nesso di causalità tra la condotta colposa di un avvocato, che abbia depositato tardivamente un atto (si pensi ad un atto introduttivo di un giudizio), e il danno che, per effetto della stessa, il cliente abbia subìto, sussiste soltanto se si accerta, sia pure con criteri necessariamente probabilistici, che l'azione, se tempestivamente proposta, sarebbe stata giudicata fondata. In questa prospettiva, il cliente che richieda il risarcimento del danno subìto a seguito del tardivo deposito di un ricorso, derivante da una condotta colposa dell'avvocato, deve specificare le circostanze che avrebbero portato ad un esito favorevole nel giudizio.
Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 30 maggio 2023 n. 4463

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