Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana
La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 5 e il 9 giugno 2023
Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello affrontano i temi dell'indennizzo per i danni da vaccinazioni obbligatorie, dell'incidenza dell'assenza del certificato di agibilità sulla commerciabilità dell'immobile, dei contratti bancari e di intermediazione finanziaria (quali negozi asimmetrici), della compensazione impropria e, infine, della cessione di azienda.
I Tribunali, da parte loro, trattano delle regole di interpretazione del contratto, della cointestazione di un conto corrente bancario, delle conseguenze in ipotesi di decesso del locatore, della lesione del diritto all'immagine e, infine, del mancato pagamento del premio nell'assicurazione contro i danni.
SANITA'
Vaccinazioni obbligatorie – Danni – Indennizzo (Cc, articolo 1282; legge 210/1992 , articolo 1)
Secondo quanto afferma in sentenza la Corte d'Appello di Cagliari, in tema di danni da vaccinazione obbligatoria, ai fini dell'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, la sussistenza del nesso causale tra la somministrazione vaccinale e il verificarsi del danno alla salute deve essere valutata secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica ispirato al principio del "più probabile che non", da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica).
Ai fini dell'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa grava sull'interessato l'onere di provare l'effettuazione della somministrazione vaccinale, il verificarsi del danno alla salute e il nesso causale tra la prima e il secondo, da valutarsi secondo il criterio appena indicato (ciò in quanto la parte più prossima alla prova de qua è proprio colui che agisce in giudizio).
Introdotto l'indennizzo per i casi di danno da vaccinazione obbligatoria, lo stesso è stato poi esteso anche ad altre ipotesi - previste nei commi 2 e 3 dell'articpòp 1 della legge n. 210/1992 - nelle quali non ricorre tuttavia il medesimo presupposto della obbligatorietà del trattamento sanitario fonte di pregiudizio alla salute.
Con la precisazione, infine, che il diritto sulle somme pretese a titolo di rivalutazione sulla componente dell'indennizzo per danni da vaccinazione obbligatoria, costituita dall'indennità integrativa speciale, nel caso in cui tali somme non siano state poste in riscossione ovvero messe a disposizione dell'avente diritto, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, e non a quella quinquennale, che presuppone la liquidità del credito, da intendere, non secondo la nozione comune desumibile dall'articolo 1282 c.c., ma quale effetto del completamento del procedimento amministrativo di liquidazione della spesa (cd. procedimento di contabilità)
• Corte di Appello di Cagliari, sentenza 6 giugno 2023 n. 204
IMMOBILI
Certificato di agibilità – Assenza – Commerciabilità dell'immobile (Cc, articolo 1477; Dpr 380/2001, articolo 34)
Osserva in sentenza la Corte d'Appello di Catanzaro che il certificato di agibilità di un immobile – la cui disciplina si rinviene nell'articolo 24 Dpr n. 380/2001 (T.U. Edilizia) - ha la funzione di attestare la sussistenza dei requisiti minimi di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove previsto, il rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.
La sua mancanza – secondo la Corte - non determina l'incommerciabilità della res, ma è, al più, foriera di danno emergente.
Si tratta di un profilo di irregolarità amministrativa destinato ad esaurire i suoi effetti sul piano dei rapporti tra il privato e la Pa che non incide sul diritto del proprietario al risarcimento dei danni cagionati alla res.
Con la precisazione che la consegna del certificato di abitabilità dell'immobile oggetto del contratto di compravendita, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sè condizione di validità della compravendita stessa, integra un'obbligazione incombente sul venditore (articolo 1477 c.c.), attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto.
Ne deriva che nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità è un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere la determinata funzione economico-sociale negoziata, e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l'acquisto. Pertanto, la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari.
• Corte di Appello di Catanzaro, sez. II, sentenza 6 giugno 2023 n. 675
BANCHE
Contratti bancari e di intermediazione finanziaria - Negozi asimmetrici – Obbligazioni
La Corte d'Appello di Firenze sottolinea come, che nell'ambito dei contratti bancari e di intermediazione finanziaria, quali tipici esempi di negozi asimmetrici, il regolamento convenzionale da cui sorgono le obbligazioni non sia costituito dalle sole clausole inserite nel testo contrattuale (prive, peraltro, di effettiva negoziazione, formandosi il rapporto mediante la sottoscrizione di moduli prestampati), ma comprenda anche quelle previsioni legali che vincolano e integrano l'autonomia privata, sia nella forma che nel contenuto.
Ne discende che la disciplina imperativa s'innesta, conformandolo, nel regolamento contrattuale e, ove violata, non determina un illecito aquiliano, bensì un illecito contrattuale per inadempimento di un'obbligazione convenzionale, seppure legalmente integrata.
In tale contesto i contratti swap sono contratti asimmetrici in cui l'elemento che rende debole il soggetto investitore rispetto all'intermediario è la sua minor forza conoscitiva. L'investitore riceve piena tutela quando è messo nella condizione, sotto l'aspetto informativo, di poter esaminare i prospetti degli scenari probabilistici dell'andamento dei tassi e le conseguenze del verificarsi degli eventi condizionanti che devono essere definiti e conosciuti ex ante con certezza ed in termini numerici, non già genericamente prospettati quali rischi e vantaggi.
Infatti, anche la valutazione probabilistica circa il verificarsi degli eventi costituisce un dato conoscibile (e, di fatto, noto) per la banca che, proprio sulla base di essi, normalmente costruisce il prodotto derivato (o comunque sceglie il prodotto da altri preconfezionato), misurandone l'alea.
Siffatta asimmetria informativa è tale da rendere certa la posizione di un contraente e incerta quella della controparte fino al punto di influenzare la validità stessa dei relativi contratti per indeterminatezza dell'oggetto.
Nella negoziazione di strumenti finanziari (e in generale nei contratti asimmetrici e anche in quelli dei consumatori) si ribalta la logica paritaria: qui la scelta del Legislatore (comunitario e nazionale) è stata quella di obbligare il contraente forte a trasferire le sue conoscenze all'altra parte nella convinzione che in tal modo si possano conciliare autodeterminazione della scelta e consapevolezza del volere. Dunque, in questo binario si deve individuare se la scelta sia stata di fatto consapevole.
• Corte di Appello di Firenze, sez. II, sentenza 6 giugno 2023 n. 1188
OBBLIGAZIONI
Obbligazioni – Estinzione – Compensazione impropria (Cc, articoli 1241, 1242)
Secondo la Corte d'Appello di Lecce, in tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione impropria (o atecnica) si distingue da quella propria, disciplinata dagli articoli 1241 e ss. c.c., poiché riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto, e si risolve in una verifica contabile delle reciproche poste attive e passive delle parti. È per questo che il Giudice può procedere d'ufficio al relativo accertamento anche in grado di appello, senza che sia necessaria un'eccezione di parte o una domanda riconvenzionale, sempre che l'accertamento si fondi su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo.
In altre parole, quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico - ancorchè complesso - rapporto, non vi è luogo ad un'ipotesi di compensazione "propria" ex articoli 1241 c.c. e segg. (secondo cui i debiti tra due soggetti derivanti da distinti rapporti si estinguono per quantità corrispondenti fin dal momento in cui vengono a coesistere), che presuppone l'autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il Giudice può procedere – come detto - senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale; tale accertamento (compensazione impropria), pur potendo dare luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione propria, non per questo è soggetto alla relativa disciplina tipica, sia processuale (sostanziantesi nel divieto di applicazione d'ufficio da parte del giudice ex articolo 1242 c.c., comma 1, seconda parte) che sostanziale.
Una applicazione pratica si ha in tema di rapporti tra il credito dell'agricoltore a titolo di contributi dell'Ue conseguenti alla Politica Agricola Comune (Pac), e i debiti dello stesso per prelievo supplementare relativo alle quote latte. È qui ammissibile la compensazione impropria, a condizione che il controcredito sia certo e liquido secondo la valutazione dei Giudici di merito, incensurabile in sede di legittimità, a tal fine valorizzandosi l'unitarietà del rapporto, in base al quale il regime delle quote latte è parte integrante del sistema Pac.
• Corte di Appello di Lecce, sez. II, sentenza 6 giugno 2023 n. 500
CONTRATTI
Cessione d'azienda – Successione nei contratti – Deroga (Cc, articoli 2558, 2559)
La Corte d'Appello di Milano precisa che l'articolo 2558 c.c. attua ex lege la successione dell'acquirente dell'azienda, o del ramo di azienda, in tutti i contratti stipulati dall'alienante per l'esercizio dell'azienda medesima, anche se le parti non l'abbiano espressamente stabilito.
Cedente e cessionario hanno il potere di negoziare i soli contratti a carattere personale, mentre per i contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda, ovvero quelli intervenuti con i fornitori, si determina l'automatico trasferimento in capo al cessionario, in modo da consentire la prosecuzione di tutti i rapporti giuridici e il funzionamento del complesso aziendale, salvo il patto contrario previsto dalla citata disposizione codicistica.
Per effetto dell'articolo 2558 c.c. l'acquirente dell'azienda subentra dunque non soltanto nei contratti aventi ad oggetto il godimento dei beni aziendali non di proprietà dell'imprenditore, e da lui acquisiti per lo svolgimento della sua attività, ma anche nei contratti di impresa, aventi ad oggetto rapporti concernenti l'organizzazione di questa, tra i quali rientrano i contratti con i fornitori, cioè in tutti i rapporti contrattuali derivanti da negozi a prestazioni corrispettive inerenti alla gestione aziendale, e ciò indipendentemente da ogni accordo espresso in tal senso dalle parti e a prescindere dalla conoscenza che il cessionario abbia, o possa avere, dell'esistenza e del contenuto dei singoli rapporti che gli vengono trasferiti.
Ne consegue che, per derogare alla regola generale stabilita dalla norma codicistica ed evitare il conseguente subingresso dell'acquirente nei rapporti negoziali del cedente, occorre fornire prova del carattere personale del rapporto stesso, o dell'esistenza del patto contrario.
Con la precisazione che la cessione di un'azienda comporta ex lege anche la cessione dei crediti relativi al suo esercizio (articolo 2559 c.c.), ivi compresi i crediti d'imposta vantati dal cedente nei confronti dell'erario. Ne deriva che rispetto all'originario credito Iva il cedente perde, per effetto del conferimento d'azienda, ogni legittimazione, mentre l'intera posizione resta traslata sul cessionario, che, dunque, può utilizzare il credito in detrazione ovvero chiederne il rimborso, non assumendo alcun rilievo ostativo la diversità dei contribuenti.
• Corte di Appello di Milano, sez. III, sentenza 6 giugno 2023 n. 1864
CONTRATTO
Contratto – Interpretazione – Elemento letterale (Cc, articoli 1362, 1363, 1365, 1366, 1371)
Secondo quanto afferma in sentenza il Tribunale di Milano, ai fini dell'interpretazione delle clausole di un contratto, viene in considerazione in primis il canone fondato sul significato letterale delle parole (articolo 1362, I, c.c.) sicché, quando esso risulti sufficiente, l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa.
E cioè a dire, nell'interpretazione del contratto, il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, mentre soltanto se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall'articolo 1362 all'articolo 1365 c.c. e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall'articolo 1366 c.c. all'articolo 1371 c.c..
Con la precisazione che il carattere prioritario dell'elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'articolo 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti e, pertanto, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti.
In sintesi, la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata sia indagando il senso letterale delle parole, alla luce dell'integrale contesto negoziale, sia utilizzando i criteri di interpretazione soggettiva di cui agli articoli 1369 e 1366 c.c., rispettivamente volti a consentire l'accertamento del significato dell'accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere, mediante un comportamento improntato a lealtà e salvaguardia dell'altrui interesse, interpretazioni in contrasto con gli interessi che le parti abbiano inteso tutelare con la stipulazione negoziale, in una circolarità del percorso ermeneutico, da un punto di vista logico, che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione dei contraenti e di verificare se quest'ultima sia coerente con le restanti disposizioni dell'accordo e con la condotta tenuta dai contraenti medesimi.
• Tribunale di Milano, sez. V, sentenza 5 giugno 2023 n. 4703
BANCHE
Conto corrente bancario – Cointestazione – Rapporti tra correntisti (Cc, articoli 1298, 1854)
Precisa in sentenza il Tribunale di Prato che, in ipotesi di conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti sono regolati non già dall'articolo 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall'articolo 1298, II, c.c., in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente.
In tale prospettiva, qualora risulti che il saldo attivo deriva dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, deve essere escluso che l'altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo così come va escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell'altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all'intero svolgimento del rapporto.
Si precisa così in sentenza che la formale co-intestazione integra una presunzione legale "juris tantum" (quale quella di cui all'articolo 1298, II, c.c.), che dà luogo soltanto all'inversione dell'onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Non solo. La medesima presunzione presuppone, perché possa ritenersi vinta, la dimostrazione non già che la materiale operazione di versamento sia stata effettuata solo da uno dei cointestatari, ma che la stessa abbia avuto ad oggetto somme di pertinenza esclusiva di uno dei contitolari, potendosi verificare la non infrequente ipotesi che uno dei cointestatari, per ragioni di difficoltà personali degli altri formali contitolari, provveda al versamento di somme appartenenti in esclusiva all'altro cointestatario.
Tale dato (l'operazione di versamento), dunque, di per sé solo non appare idoneo a vincere la detta presunzione mentre dirimente appare la prova della pertinenza esclusiva, in base al titolo di acquisto, del denaro versato in capo a uno dei contestatari.
• Tribunale di Prato, sentenza 6 giugno 2023, n. 381
LOCAZIONE
Contratto di locazione – Decesso del locatore - Conseguenze (Cc, articoli 1294, 1314)
Intervenuto in tema di locazione di immobile ad uso abitativo il Tribunale di Pavia precisa in sentenza che, a seguito del decesso della originaria parte locatrice, ove intervenuta nel corso del rapporto locatizio, il titolo fondante la domanda di pagamento dei canoni è differente per il periodo fino a tale decesso, rispetto a quello successivo a tale momento.
In particolare: i canoni dovuti fino a tale momento costituiscono crediti facenti parte della massa ereditaria, alla cui riscossione deve ritenersi legittimato ciascun coerede, anche per l'intero (e, in tale caso, nell'interesse della massa); i canoni e/o l'indennità di occupazione successivi a tale momento costituiscono crediti della parte locatrice costituita da tutti i medesimi coeredi, alla luce del fatto che la morte del locatore comporta una modifica soggettiva del rapporto di locazione, con il subentro degli eredi nella posizione del locatore e la fattispecie va equiparata alla originaria locazione di più comproprietari nella quale ciascuno può locare ed agire per il rilascio.
Qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori ciascuno di essi è tenuto nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, sicchè, conformemente al principio stabilito dall'articolo 1294 c.c., le obbligazioni che ad essi fanno capo sono unificate dal vincolo della solidarietà che non determina però la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non da luogo a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati.
Con riferimento dunque al periodo successivo al decesso della originaria parte locatrice opera, in punto di diritto, il principio secondo cui se più sono i creditori di una prestazione divisibile, qual è certamente quella qui in esame, e l'obbligazione non è solidale, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte (articolo 1314 c.c.), salvo, naturalmente, che sia investito del potere di rappresentanza degli altri. L'obbligazione non è solidale, dal momento che l'obbligazione sul lato attivo è, di regola, parziaria.
• Tribunale di Pavia, sezione III, sentenza 7 giugno 2023 n. 726
RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Diritti della personalità - Lesione del diritto all'immagine – Risarcimento danni (Legge 633/1941, articoli 97, 128)
Innanzi all'adito Tribunale di Ravenna è chiesto il risarcimento dei danni non patrimoniali (da lesione del diritto all'immagine e alla riservatezza) e di quelli patrimoniali derivanti dallo sfruttamento economico a fini pubblicitari suppostamente operato dalla parte convenuta (un albergo) mediante la pubblicazione della fotografia ritraente un padre e la figlia minore sul proprio sito web.
Il Giudice ha ritenuto provato che l'hotel avesse proceduto a pubblicare detta fotografia senza il consenso dei diretti interessati e, posto che la stessa non riguardava personaggi pubblici o comunque noti al pubblico, e non era stata riprodotta in occasione di eventi pubblici o svolti in pubblico (articolo 97 L. n. 633/1941), allora la pubblicazione stessa era da intendersi avvenuta illecitamente con lesione dei diritti all'immagine e alla riservatezza dei soggetti ritratti.
Ciò premesso si è proceduto ad accertare se tale illecita pubblicazione di fotografia abbia causato agli attori dei danni risarcibili, patrimoniali e non patrimoniali.
Si precisa così che il danno non patrimoniale da lesione di diritti fondamentali, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire.
In altre parole è respinta l'affermazione che, nel caso di lesione di valori fondamentali della persona, il danno sarebbe in re ipsa in quanto tale tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.
In relazione poi al danno di tipo patrimoniale da illecita pubblicazione di un'immagine o fotografia, il medesimo Tribunale ha chiarito come esso consista nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della pubblicazione e di cui abbia fornito la prova, specificando altresì che qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dell'autore dell'illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto, in particolare, dei criteri ex articolo 128, II, legge n. 633/1941.
• Tribunale di Ravenna, sentenza 7 giugno 2023 n. 398
ASSICURAZIONE
Assicurazione contro i danni – Premio – Mancato pagamento (Cc, articoli 1456, 1457, 1901; Cpc, articolo 643)
Il Tribunale di Roma, adito in materia di assicurazione contro i danni, si sofferma sulla corretta esegesi dell'articolo 1901, III, c.c. secondo cui, nelle ipotesi di mancato pagamento nei termini del premio, e conseguente sospensione dell'assicurazione, il contratto è risoluto di diritto se l'assicuratore, nel termine di sei mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, non agisce per la riscossione; l'assicuratore ha diritto soltanto al pagamento del premio relativo al periodo di assicurazione in corso, e al rimborso delle spese.
Dunque, se l'inadempimento si protrae per un semestre dalla scadenza del termine concordato per il pagamento è stabilita come conseguenza la risoluzione del contratto ipso iure.
Posta comunque la permanenza dell'obbligo dell'assicurato di corrispondere il premio, tale disposizione, allo scopo di evitare che l'assicuratore possa approfittare di una simile situazione, opera indipendentemente dalla previsione di una clausola risolutiva espressa non trovando applicazione la disciplina generale di cui agli articoli 1456 e 1457 c.c., che presuppone un regolamento convenzionale.
Il termine di sei mesi decorre dal giorno di scadenza, non da quello in cui inizia la sospensione, ed un eventuale pagamento eseguito dopo il decorso di tale termine estingue il credito dell'assicuratore, ma non dà luogo alla reviviscenza del rapporto.
In ogni caso, però, il decorso del termine non comporta la decadenza dal diritto ad incassare i premi arretrati. Pertanto, l'assicuratore, indipendentemente dalla risoluzione, può agire per la riscossione entro il termine di prescrizione di un anno dalle singole scadenze previsto dall' articolo 2952 c.c..
Il Legislatore prevede, infatti, il diritto dell'assicuratore al premio in corso, intendendo con tale espressione il periodo di tempo (generalmente di un anno) al quale le parti hanno commisurato il premio relativo.
L'assicuratore, comunque, può evitare la risoluzione del contratto se entro il termine suddetto agisce per la riscossione. Con la precisazione che, a tale fine, non si ritiene sufficiente una semplice dichiarazione stragiudiziale, essendo invece necessaria la notifica di un atto di citazione o un decreto ingiuntivo.
• Tribunale di Roma, sez. XVII, sentenza 7 giugno 2023 n. 9112