Penale

Truffa, società esente se i proventi vanno ai soci

Non scattano le sanzioni da decreto 231 in assenza di interesse o vantaggio

di Giovanni Negri

La società non può essere sanzionata sulla base del decreto 231 se i proventi del reato confluiscono sui conti correnti personali dei soci. In questo caso infatti non è possibile individuare quel vantaggio o interesse che la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti considera necessario presupposto della sanzione. Lo ricorda la Cassazione con la sentenza n. 23300 che ha confermato la responsabilità a carico di una società imputata per il reato di truffa ai danni dello Stato. La difesa della società aveva sottolineato l’estraneità dell’impresa al reato, sulla commissione del quale non sarebbe stato prodotta prova dell’interesse avuto o del vantaggio ottenuto.

In realtà, premette la Corte, va tenuto presente che la condizione che consente di trasferire la responsabilità dalla persona fisica all’ente è rappresentato proprio dall’interesse o vantaggio; dove, a contrario, la responsabilità cessa se il fatto è commesso per una finalità che in nessun modo avvantaggia l’ente stesso. L’assenza dell’interesse rappresenta quindi un limite negativo della fattispecie.

La sentenza poi esemplifica. Da una parte, infatti, sempre in materia di responsabilità degli enti, ma per il reato di false comunicazioni sociali, se l’appostazione nel bilancio di una società di dati infedeli ha l’obiettivo di fare ottenere alla medesima illeciti risparmi fiscali, il reato deve essere considerato commesso nell’interesse della persona giuridica. Dall’altra, «deve pertanto ritenersi che in caso di truffa ai danni dello Stato finalizzata a ottenere un cospicuo finanziamento in conto capitale in assenza dei presupposti, il reato risulta commesso proprio nell’interesse della persona giuridica che detti capitali ottiene ed utilizza per la propria attività, mentre diversamente sarebbe ove fosse dimostrato che il finanziamento illecito era stato immediatamente distratto a vantaggio esclusivo dei soci». In questo caso infatti alla società nulla potrebbe essere imputato non avendo tratto alcun beneficio neppure prospettico come futuri risparmi di spesa .

Caso diverso ancora sarebbe poi quello, chiude il cerchio la pronuncia, quello del concorrente interesse personale dei singoli soci. Una situazione che, mette in evidenza la Cassazione, non farebbe venire meno la responsabilità dell’ente. Infatti, l’interesse dell’autore del reato può anche solo coincidere con quello della persona giuridica, alla quale sarà comunque imputabile l’illecito anche quando l’agente, perseguendo il proprio autonomo interesse, finisce poi per realizzare anche quello dell’ente.

Nel caso approdato in Cassazione, però, il giudice di appello, conclude la sentenza, ha motivato in maniera adeguata le ragioni che stanno alla base dell’affermazione di responsabilità della società e quindi del suo interesse alla conclusione della truffa. È infatti emerso che proprio utilizzando il profitto illecito della truffa è stato costruito un impianto industriale in cui ha operato la società, che ha iniziato ad attivarsi esclusivamente grazie al riconopscimento di quel finanziamento ottenuto attraverso un’ampia serie di raggiri.

La Corte di appello, nelle sue motivazioni, ha tra l’altro sottolineato, focalizzandosi sul meccanismo di truffa posto in essere dagli amministratori, come il pagamento delle fatture da parte della società avveniva attraverso il denaro erogato dal Ministero «che attraverso il sistema circolare tornava sul conto corrente della stessa società, trattandosi di operazioni fittizie, e veniva poi nuovamente utilizzato».

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