Società

Trust e società: due mondi sempre distinti ai fini della titolarità effettiva?

Si aprono i termini scadenza per l’invio dei dati relativi alla titolarità effettiva. <i>Ma come procedere nel caso in cui i titolari effettivi di un trust “coincidano” con quelli di una società? </i>

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di Matteo Ubezio e Andrea Bosisio

Lo scorso 9 ottobre è stato pubblicato in GU il decreto 29 settembre 2023 del MIMIT , il quale attesta l’operatività del sistema di comunicazioni dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva. Sono dunque iniziati a decorrere i 60 giorni di tempo previsti per inviare alla Camera di Commercio competente i dati relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, persone giuridiche private, trust e istituti giuridici affini.

I criteri di individuazione del titolare effettivo si differenziano a seconda della “ natura dell’entità ” della cui titolarità effettiva si tratta.

Come procedere nel caso in cui i titolari effettivi di un trust “coincidano” con quelli di una società? Su chi gravano gli obblighi?

Il Registro delle Imprese, proprio in questi giorni, sta inviando - via PEC - alle società dotate di personalità giuridica una comunicazione per ricordare loro che dal 10/10/2023 è entrato in vigore l’obbligo di comunicazione del titolare effettivo e che tale adempimento dovrà essere effettuato entro il prossimo 11 dicembre. In realtà, l’onere in parola non si limita al mondo societario, ma si estende alle persone giuridiche private, ai trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e agli istituti giuridici affini al trust.

Il Registro dei Titolari Effettivi, istituito presso ciascuna Camera di Commercio, è suddiviso in due sezioni:
• la sezione autonoma ” recante informazioni sulla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica e di persone giuridiche private;
• quella “ speciale ” dedicata ai trust (e agli istituti giuridici affini), i cui adempimenti in punto di obbligo comunicativo incombono sul trustee.

Per quanto riguarda l’individuazione del titolare effettivo, i criteri di riferimento mutano in funzione della “natura dell’entità” della cui titolarità effettiva si tratta. L’art. 20 del D.Lgs. n. 231/2007 chiarisce, per esempio, come il titolare effettivo di soggetti diversi dalle persone fisiche coincida con la persona fisica (o le persone fisiche) cui, in ultima istanza, è attribuibile la proprietà diretta o indiretta dell’ente ovvero il relativo controllo.

La norma detta metodi differenti a seconda che venga in rilievo una persona giuridica privata (comma 4), oppure una società.

In questo secondo caso, infatti, costituisce indicazione di proprietà diretta la titolarità di una partecipazione superiore al 25% del capitale sociale detenuta da una persona fisica, mentre si è in presenza di un fenomeno di proprietà indiretta quando una partecipazione maggiore al 25% sia posseduta per il tramite di società controllate, società fiduciarie o per interposta persona (comma 2). In subordine, nell’ipotesi in cui l’esame dell’assetto proprietario non conduca a risultati apprezzabili, il titolare effettivo coincide con il soggetto a cui è attribuibile il controllo (comma 3).

È previsto anche un c.d. criterio residuale, cui ricorrere qualora i due meccanismi elencati in precedenza non portino ad un risultato, il quale consente di identificare il titolare effettivo (comma 5).

Per quanto riguarda i trust, invece, l’indicazione fornita dal Legislatore è di natura prescrittiva ed è volta a individuare il titolare effettivo (art. 22, comma 5 del D.Lgs. n. 231/2007): a) nel costituente/i (leggasi disponente/i); b) nel fiduciario/i (trustee); c) nel guardiano/i ; d) nei beneficiari o classe di beneficiari ; e) nelle altre persone fisiche che esercitano il controllo , nonché; f) in qualunque altra persona fisica che detiene, in ultima istanza, il controllo sui beni apportati nel trust , attraverso la proprietà (diretta o indiretta) o altri mezzi.

Effettuate queste premesse, appare opportuno ora cercare di comprendere come si inseriscano gli adempimenti in discussione in un contesto, quello che contraddistingue il trust, caratterizzato, in ragione degli aspetti particolarmente delicati che vengono in rilievo (es. il passaggio generazionale del patrimonio di famiglia, la sussistenza di rapporti intra familiari particolari, ecc.), da un coefficiente di riservatezza marcato.

La tematica assume ancora più importanza qualora, adottando i criteri di cui all’art. 20, comma 2 del D.Lgs. n. 231/2007 (di cui si è detto), i titolari effettivi della società coincidano con quelli di un trust. Si pensi, per esempio, all’ipotesi in cui all’interno del fondo in trust vi sia una partecipazione superiore al 25% di una persona giuridica (talvolta tale soglia, con riferimento alle “imprese di famiglia”, arriva ad una percentuale prossima al 100%).

In generale, volendo effettuare una rapida panoramica in tema di obblighi di riservatezza che gravano su un trustee, si segnala come i singoli atti istitutivi dei trust, la giurisprudenza di stampo internazionale, nonché talune leggi estere che disciplinano in maniera compiuta lo strumento introducano specifiche disposizioni in materia. A titolo meramente esemplificativo:
la legge sul trust della Repubblica di San Marino , all’art. 25, impone al trustee il divieto di rivelare a terzi le informazioni di cui è in possesso in ragione del proprio ufficio, salvo che la legge, l’atto istitutivo o le normative antiriciclaggio impongano di agire in maniera differente;
• la trusts Jersey Law del 1984 e ss.mm.ii. , all’art. 29, detta una disciplina ad hoc in tema di disclosure che un trustee può, o non può, effettuare con riferimento a informazioni e documenti relativi al trust;
• la trusts Guernsey Law del 2007 e ss.mm.ii ., facendo salvo quanto previsto all’interno del regolamento dello specifico trust, prevede che il trustee non possa essere obbligato - se non dalla Royal Court - a divulgare talune tipologie di documenti.

Il divieto di disclosure può essere modulato, in linea teorica, all’interno del regolamento del singolo trust; difficilmente (se non mai), il limite di cui si discute viene radicalmente eliminato. Di contro, la quasi totalità degli atti istitutivi redatti nel nostro Paese espressamente pone un obbligo di riservatezza destinato a venire meno, inter alia, qualora il trustee debba adempiere ad una obbligazione legislativamente prevista (anche legata alla normativa antiriciclaggio).

Appurato che il trustee ha un obbligo di riservatezza, il quale tuttavia non può essere eccepito in tema di adempimenti antiriciclaggio che interessino direttamente il trust, è necessario effettuare un ulteriore passo in avanti e porsi una domanda: su chi grava l’obbligo di comunicazione della titolarità effettiva di una società i cui titolari effettivi coincidono con quelli del trust? Sull’amministratore o sul trustee ?

La risposta al quesito viene fornita, in maniera inequivocabile, dall’art. 22 del D.Lgs. n. 231/2007 : l’onere è a carico dell’amministratore della persona giuridica. A questo punto è essenziale comprendere se la comunicazione dei titolari effettivi del trust, da parte del trustee a favore di un amministratore di una società, si configuri quale adempimento di un obbligo di legge previsto dalla normativa antiriciclaggio (il che renderebbe sicuramente lecita la divulgazione), oppure no. In assenza di disclosure da parte del trustee, infatti, il legale rappresentante di una società di capitali non ha possibilità alcuna di conoscere quali siano i titolari effettivi del trust in questione.

Dilemma meramente formale e potenziale: lo stesso art. 22 del D.Lgs. n. 231/2007, al comma 3, chiarisce come le informazioni necessarie alla ricostruzione della titolarità effettiva debbano essere acquisite dagli amministratori della società per mezzo dell’analisi delle scritture contabili, dei bilanci, del libro soci, delle comunicazioni relative all’assetto proprietario (o al controllo) dell’ente e di ogni altro dato a disposizione.

Qualora dovessero comunque permanere dubbi, è onere degli amministratori rivolgere espresse richieste ai soci - quindi anche al trust (rectius trustee nella propria qualità) - al fine di approfondire la questione. Ed è la medesima diposizione normativa che precisa come “l’inerzia o il rifiuto ingiustificati del socio nel fornire agli amministratori le informazioni da questi ritenute necessarie per l’individuazione del titolare effettivo ovvero l’indicazione di informazioni palesemente fraudolente rendono inesercitabile il relativo diritto di voto e comportano l’impugnabilità, a norma dell’art. 2377 del c.c., delle deliberazioni eventualmente assunte con il suo voto determinante”.

Alla luce di quanto sopra esaminato risulta essere chiaro come il “socio trust” , in caso di richiesta proveniente dall’amministratore della società che sta provvedendo ad effettuare la dichiarazione relativa alla titolarità effettiva, non potrà che esaudirla, pena l’inibizione del diritto di voto e il rischio di annullamento della deliberazione (scenario la cui realizzazione comporterebbe un grave nocumento all’interesse generale del trust).

Rimane, tuttavia, una perplessità. Come è noto, prima dell’intervento della Corte di Giustizia, con sentenza del 22/11/2022 relativa alle cause riunite C-37/20 e C-601/20 (che ha concluso per l’invalidità delle disposizioni riguardanti l’accessibilità da parte del pubblico indistinto alle informazioni sulla titolarità effettiva), il Legislatore aveva previsto per chiunque la possibilità di accedere alla sezione del Registro dedicata alle persone giuridiche.

Tale pronuncia trova un’applicazione diretta (è immediatamente efficace) nel nostro Ordinamento. Occorre attendere, pertanto, che il Legislatore disciplini nuovamente (limitando l’accesso ai dati) la materia e fornisca, di conseguenza, compiuta attuazione al provvedimento.

Di contro, l’accesso alle informazioni relative alle titolarità effettiva dei trust è consentito (art. 21, comma 4 del D.Lgs. n. 231/2007) ad una platea più ridotta (necessità che sussista un interesse giuridico rilevante e differenziato e che la conoscenza della titolarità effettiva sia necessaria per curare o difendere un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e che vi siano evidenze della non corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale). In aggiunta, è doveroso rammentare come lo stesso articolo 21 permetta ai titolari effettivi di dichiarare il proprio status di controinteressato ”, situazione che, sia per la sezione autonoma che per quella speciale, consente di escludere l’accesso - laddove ne ricorrano le condizioni - ai propri dati con la procedura di cui all’art. 7, comma 3 del DM n. 55/2022.

Se dovesse essere confermato il “ doppio binario di accesso (trust/società) , la circostanza che i soggetti che hanno diritto ad accedere alle informazioni circa la titolarità effettiva di una società possano prendere visione - di fatto - dei titolari effettivi del trust si configurerebbe come un vulnus, nonché come una discriminazione tra trust nel cui fondo vi siano delle partecipazioni societarie “rilevanti” ai fini qui discussi e trust che non abbiano tali caratteristiche.

Parrebbe opportuno un intervento volto a mitigare tale effetto, permettendo, per ipotesi, agli amministratori della società di indicare all’interno della modulistica il codice fiscale del “socio trust” nel momento in cui adempiono all’obbligo comunicativo. A quel punto, il Registro, combinando i dati ricevuti, da un lato, dal trustee e, dall’altro, dall’amministratore della società, sarebbe in grado di ricostruire la titolarità effettiva sia del trust (rendendola disponibile nella sola sezione speciale) che della società (dandone visibilità nella sola sezione autonoma, limitando la visualizzazione al solo codice fiscale e alla denominazione del trust). Quanto visto garantirebbe la possibilità di gestire il tutto in maniera coerente in punto di accesso e di rafforzare la tutela delle persone fisiche, controinteressate e non.



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