Via libera al fallimento anche se il creditore diserta l'udienza
Via libera alla dichiarazione di fallimento anche se il creditore diserta l’udienza, per discutere la domanda che ha proposto. La Cassazione (sentenza 30445), respinge un ricorso contro la dichiarazione di fallimento, malgrado l’assenza della parte. La Suprema corte ricorda, infatti, che nel nostro ordinamento non c’è un automatismo tra mancata presenza del creditore e rinuncia al ricorso. Il giudice, verificata la regolarità della notificazione del ricorso e del decreto, deve decidere sul merito della domanda. Sono dunque escluse le possibilità di un rinvio della trattazione, di una decisione di improcedibilità per disinteresse alla definizione o il “non luogo a provvedere”. La stessa conclusione vale, precisano i giudici, per la mancata comparizione delle parti all’udienza dedicata al reclamo in caso di omologa del concordato preventivo.
Per la Suprema corte è corretta anche la decisione della Corte d’Appello di considerare inammissibile la proposta di concordato collettivo di gruppo, in assenza di un’apposita disciplina. Un complesso di regole contenuto nel titolo VI del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (articolo 284-292). Una parte di riforma, non ancora in vigore, che solo ora, e in via innovativa, ha affrontato un problema molto complesso che non può essere risolto con la legislazione vigente.
La Cassazione ricorda che i tentativi, per quanto apprezzabili, dei giudici di merito di anticipare l’indispensabile intervento legislativo, ha portato ad esiti giurisprudenziali difformi.
Ad oggi vale quindi il principio secondo il quale il concordato di gruppo non può essere proposto, davanti ad uno stesso tribunale, «in assenza di una disciplina positiva che si occupi di regolarne la competenza, le forme di ricorso, la nomina degli organi, nonché la formazione delle classi e delle masse». Il concordato preventivo può essere proposto solo da ciascuna società del gruppo davanti al tribunale competente per ogni singola procedura, senza possibilità di confusione di masse attive e passive, per essere approvato da maggioranze calcolate in base alle posizioni debitorie di ogni singola impresa.
Non passa dunque la tesi delle società ricorrenti, secondo le quali la confusione delle masse, anche senza una disciplina ad hoc, poteva essere superata con una gestione unitaria da parte di uno stesso professionista sotto il controllo di un unico organo giurisdizionale.
Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 21 novembre 2019 n.30445