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Wholesale e retail, il modello del franchising nel settore moda

Il contratto di franchising può essere uno strumento efficace per regolare le relazioni tra le parti nel contesto dell’industria della moda perché un tale accordo può massimizzare gli affari delle parti, preservando al contempo un corretto equilibrio contrattuale tra franchisor e franchisee

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di Daniela Della Rosa, Maria Elena Sarvia*

Il contratto di franchising può essere uno strumento efficace per regolare le relazioni tra le parti nel contesto dell’industria della moda perché un tale accordo può massimizzare gli affari delle parti, preservando al contempo un corretto equilibrio contrattuale tra franchisor e franchisee. Tuttavia, è necessario prestare attenzione, per non trovarsi a dover fare i conti con le conseguenze di un’applicazione impropria della legge.

I diversi modelli di business si riflettono nei vari modelli di distribuzione e, tra questi, due rappresentano i principali canali che le aziende del settore moda utilizzano per fare affari: il wholesale e il retail.

Questi canali, tradizionalmente di tipo “brick & mortar ”, vengono utilizzati sempre più nella loro versione digitale. È anche per questo che oggi nell’industria della moda si parla di distribuzione omnicanale ”.

Il canale di distribuzione determina il modello specifico di distribuzione. Nella distribuzione all’ingrosso, per esempio, i prodotti sono solitamente venduti ai consumatori finali attraverso grandi magazzini e boutique multimarca. Al contrario, la distribuzione al dettaglio si avvale di boutique monomarca, flagship store o franchising.

Ogni modello di distribuzione ha i suoi pro e i suoi contro. Un modello di distribuzione che pone il marchio ma anche il distributore in una posizione di forza (anche se non in tutti i casi) è il franchising.

Il termine deriva dalla parola francese “franchise”, che può essere tradotta come franchigia o privilegio ed oggi identifica una tecnica di marketing che le aziende sfruttano per sviluppare una distribuzione più rapida ed efficace. Questo è possibile grazie al coinvolgimento di rivenditori dei prodotti che sono situati in aree lontane dalla sede centrale dell’azienda.

La storia dimostra che lo scopo economico del contratto di franchising è quello di creare una rete di distribuzione con caratteristiche organizzative coerenti, segni distintivi e marchi facilmente identificabili dai clienti e una rete gestita da singoli imprenditori (cioè l’affiliato ) che collaborano con un unico produttore (cioè l’affiliante ). Oggi non c’è settore che non possa essere strutturato nella forma contrattuale del franchising ed è per questo che tale modello distributivo è in continua crescita.

Il franchising, infatti, consente all’affiliato di ammortizzare l’investimento iniziale attraverso il trasferimento di un know-how di successo e del diritto d’uso di un nome commerciale o di un marchio, permettendo agli affilianti di sviluppare e ampliare la propria rete di distribuzione con investimenti limitati. Allo stesso tempo, il franchisor viene percepito come gestore diretto del negozio, che segue le proprie linee guida di immagine, identiche a quelle utilizzate per i negozi gestiti direttamente dalla casa di moda.

Dal momento che il franchising è soggetto a molteplici normative all’interno dell’Unione Europea, è stato difficile ottenere un approccio unificato al contratto di franchising. Una definizione unificata di cosa sia un franchising o un contratto di franchising non è stata ricavata né dalla giurisprudenza né dagli scritti accademici fino a quando la legalità del franchising non è stata messa in discussione nel caso “ Pronuptia ”.

La causa Pronuptia si è svolta nel 1986 e ha visto la Corte di Giustizia esprimere espressamente i principi fondamentali sul franchising. Nel 1988, poi, la Commissione europea ha incorporato questi principi nel Regolamento della Commissione n. 4087/88.

Tale regolamento ha fornito le definizioni del concetto di franchising – descritto come “un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni e modelli, diritti d’autore, know-how o brevetti, da sfruttare per la rivendita di beni o la fornitura di servizi agli utenti finali” – ma anche dell’accordo di franchising – “un accordo con il quale un’impresa, l’affiliante, concede all’altra, l’affiliato, in cambio di un corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising ai fini della commercializzazione di determinati tipi di beni e/o servizi”.

Da qui si è partiti per sviluppare la legislazione nazionale degli Stati membri dell’UE. In Italia, ad esempio, il franchising è stato espressamente disciplinato dalla legge a partire dagli anni 2000, in particolare dalla legge n. 129/2004 .

Inoltre in Italia, Francia, Germania e Regno Unito si è registrato un significativo aumento delle decisioni dei tribunali europei in materia di antitrust, divulgazione e analogia con il diritto di agenzia e del lavoro, a vantaggio del franchisee.

Alla luce di questi nuovi sviluppi e delle normative previste, sia l’affiliato che l’affiliante devono prendere attentamente nota di tutte le nuove interpretazioni e/o legislazioni riguardanti il contratto di franchising e, più specificamente, i suoi obblighi contrattuali e le procedure. Infatti, per realizzare un contratto di franchising equilibrato, è necessario prestare attenzione a molti aspetti diversi, e la mancanza di ciò porta a conseguenze che possono essere dannose per le parti, a volte con costi elevati.

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*A cura dell’Avv. Daniela Della Rosa - Partner Studio Legale Internazionale Curtis, Mallet-Prevost, Colt & Mosle LLP e della Dott.ssa.Maria Elena Sarvia

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