Civile

Sui risarcimenti, un’operazione ad alto rischio

di Filippo Martini

Ristrutturazione del danno non patrimoniale nella Rc auto insufficiente. L'articolo 7 del Ddl concorrenza risulta essere il più problematico dal punto di vista tecnico e lontano dall'assicurare un assetto stabile all'istituto. Ma andiamo con ordine.

Risarcimento del danno non patrimoniale - Certamente, nel contesto disciplinare della Rc auto, la norma di maggior impatto dispositivo e pratico è quella contenuta nell'articolo 7 del Ddl intitolato «risarcimento del danno non patrimoniale» con la quale il Governo si propone di contenere in via definitiva il risarcimento del danno non patrimoniale da sinistro stradale e, al tempo stesso, di limitare l'esercizio discrezionale del magistrato nella personalizzazione del danno alla salute.

Lo strumento per raggiungere lo scopo è rinvenuto nell'artificio di “battezzare” con diversa terminologia una norma oggi pacificamente riferibile alla sola componente biologica della menomazione da lesione della integrità psicofisica, rivedendo con quest'ottica globale gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni che appunto in precedenza erano delimitati al “danno biologico” da lesione di lieve e non lieve entità.
I due articoli del Dlgs n. 209 del 2005 sono quindi ritrascritti con la chiara finalità di comprimere nella tabella di legge (l'una, quella delle micro, già in essere, l'altra, quella delle macro, per la quale è previsto un termine di adozione di 120 giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del Ddl) ogni aspetto soggettivo conseguente alla lesione del bene salute e oggi regolato dalla funzione para-normativa della giurisprudenza di legittimità e di merito.
Vengono infatti inseriti, nella struttura ontologica e semantica del danno liquidato dalle tabelle di legge, terminologie escluse dal corpo normativo tutt'ora vigente, includendo nel testo del comma 3 il riferimento alla «sofferenza psicofisica di particolare intensità» quale condizione perché il giudice possa incrementare il valore base della tabella di legge (sino al 40% per le macro e sino al 20% per le micro), precisando altresì poco oltre che «l'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche».

Impatto pratico delle norme - Sul piano semantico l'operazione appare persino banale: si ritiene che, cambiando il significato al testo normativo preesistente e includendovi espressioni precedentemente escluse, si possa contenere e battezzare come “esaustivo” il risarcimento come determinato in via endogena (dalla tabella ministeriale) e delimitando, quanto alla componente esogena, il potere discrezionale del giudice di personalizzare la menomazione al caso concreto.

Me se si definisce con accezione diversa un medesimo parametro economico (migliorato solo per la personalizzazione delle macro dal 30 al 40% del valore tabellare) ne deriva, per semplice intuizione matematica, una sensibile contrazione dei risarcimenti del danno, almeno nelle intenzioni del Governo, pari a quella differenza sostanziale che sarà tanto maggiore quanto il futuro indice monetario elaborato dalla tabella 138 si discosterà dalla consuetudine giurisprudenziale nazionale (oggi sintetizzata, come noto, nella tabella milanese).

Va detto chiaro che si tratta, quindi, nel progetto di legge governativo, di un tentativo di comprimere i confini del risarcimento del danno anche per le lesioni di grave o gravissima entità, impostando una operazione meccanica che si basa su un artifizio solamente terminologico e non di sostanza.

Diremo subito che, per lesioni gravi che incidano sulla efficacia psicofisica della persona annullandone ogni espressione dell'esistenza, l'operazione appare essere del tutto inadeguata e inefficace e, semmai, foriera di ulteriori conflitti dottrinali e giurisprudenziali.
Si dirà che la proposta di legge appare ispirata alla recentissima decisione della Corte costituzionale che, con sentenza 16 ottobre 2014 n. 235 ha respinto tutte le eccezioni di incostituzionalità dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni riconoscendo validità alla contrazione dei risarcimenti (per le sole lesioni di lieve entità) in un sistema di trattamento della vittima da sinistro stradale improntato a una tutela privilegiata dei diritti, con particolare riferimento proprio alla risarcibilità del danno, vista non solo come entità monetaria, ma, più ampiamente e complessivamente, come impianto finalizzato alla certezza del ristoro e alla sostenibilità economica del regime obbligatorio della copertura assicurativa.
Ma il riferimento alla decisione della Corte non può scavalcare il limitato contesto nel quale è dettato il principio e quindi non può costituire la base di ragionamento per ispirare un innovativo canone di integralità del danno anche alle lesioni di non lieve entità, come propone il testo dell'articolo 7 del Ddl in esame.
La lesione grave o gravissima che incida sull'esistenza della persona vittima o meno di sinistro stradale, comporta la compromissione di valori primari dell'individuo che il nostro ordinamento ha sempre ricercato nei canoni della carta costituzionale (come la salute, la dignità della persona, la famiglia e le altre espressioni esistenziali dell'individuo), generando così il sistema di tutele in un contesto endogiurisprudenziale.
È la giurisprudenza che ha sempre tracciato le regole del diritto e della tutela della persona, attingendo a norme gerarchicamente superiori, come la Costituzione, le direttive comunitarie e le costituzioni europee.

Osservazioni - Ci sembra che la proposta di legge oggi avanzata non abbia tenuto conto della struttura complessa e composita del danno alla persona e del danno non patrimoniale e che il solo artificio semantico e terminologico rischi di banalizzare l'iter giuridico e formativo che ha portato all'attuale sistema di liquidazione del danno.
Infatti, nel valore composito e unitario della tabella milanese (allineatasi ai dettami delle sentenze della Corte di cassazione rese a sezioni Unite nel 2008 e che oggi costituiscono il manifesto del danno alla persona) rientrano indici che attengono tanto al valore biologico della lesione, quanto alla sua sofferenza soggettiva e privativa, quanto (si badi) alla compromissione di parametri esistenziali, quali la dignità dell'individuo e la lesione del libero esercizio di funzioni assolute, come la famiglia, il lavoro, il godimento dei beni di proprietà, la vita sociale e ogni altra componente esistenziale dell'uomo.
Se l'intenzione del Governo è insomma quella di comprimere in una sola voce l'intero danno alla persona conseguente a lesione subita in sinistro stradale, temiamo che il semplice richiamo a valori come danno biologico, sofferenza e danno non patrimoniale, appaia una ingenua pretesa di fornire quel valore unitario che certamente la giurisprudenza impone, ma sempre nel rispetto della articolazione dei diritti primari lesi.
Si vuol dire che la genesi del danno alla persona ha portato a enucleare e definire tutti gli aspetti costituzionali compromessi con la lesione del bene salute, prima articolandoli con riferimento a norme gerarchicamente superiori a quelle ordinarie (come è il codice delle assicurazioni) e rinvenute nella nostra Carta costituzionale; poi (secondo il dettato delle sentenze del 2008 nn. 26972-5 rese a sezioni Unite) componendole nella unitarietà dell valore pecuniario, infine sintetizzato nella tabella milanese.
La pretesa ora di includere in una sola accezione normativa («danno non patrimoniale») l'integralità compensativa di questo composito e articolato pregiudizio, appare superficiale se non ingenua, non avendo il Governo tenuto in conto la complessità della evoluzione giurisprudenziale che ha portato a definire la tutela della persona lesa nel diritto primario della salute.
La tabella milanese non costituisce, come ampiamente noto, una mera elaborazione empirica autogeneratasi nella consuetudine meneghina, ma è principalmente il terminale di un lunga esperienza di confronto e di sintesi che risale addirittura ai primi anni Novanta, quando alcuni giudici del distretto decisero di rendere uniforme un criterio di compensazione del bene salute prima rimesso al mero arbitrio del giudice.
La nostra costruzione giurisprudenziale della tutela della salute, come ispirata ai dettami costituzionali e affinata dalla magistratura delle più alte Corti dello Stato, specie quando riferita a contesti di gravi compromissioni del bene e della libertà individuale (si pensi alle lesioni massimali con privazione delle principali funzioni vitali ed esistenziali della vittima), mal si presta a essere compressa e schematizzata in formule normative rigide nelle quali la funzione di personalizzazione della magistratura sia costretta e limitata.
È nella lesione grave che si dipana la complessità esistenziale dell'individuo, che diversamente subisce la privazione dei diritti primari, e la compressione in schemi rigidi si è sempre storicamente scontrata con il rifiuto della magistratura di sentirsi limitata nell'esercizio della sua valutazione discrezionale e della funzione di ricerca di equilibrio tra lesione e sofferenza soggettiva.

Pensiamo, in conclusione, che - ove l'accezione semantica di danno non patrimoniale generata dell'articolo 7 del Ddl in argomento venisse convertita in legge - il dettato normativo del nuovo «danno non patrimoniale» dovrà confrontarsi con l'esame di esaustività che è rimesso solo la magistratura di merito e di legittimità. Ove, come ci sembra, la valutazione del corpo normativo non garantirà l'ampiezza “pan-compensativa” rispetto ai valori costituzionali globalmente lesi (presenti nelle lesioni più gravi), temiamo che il giudizio della giurisprudenza non potrà che essere di insufficienza e inadeguatezza del conseguente valore tabellare di legge.

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