Civile

Polizze vita “speculative” nulle se vendute senza adeguata informativa al cliente

Francesco Machina Grifeo

La Corte d'Appello di Milano (sentenza n. 1800/2016) fa chiarezza sulla vendita “prodotti finanziari” camuffati da “polizze vita” ma in realtà indicizzati all'andamento dei mercati, stabilendo che i relativi contratti sono nulli se la compagnia assicurativa oltre ad informare adeguatamente il consumatore sui rischi del contratto non abbia valutato anche il “profilo di rischio” dell'investitore, così come previsto dalla disciplina, primaria e secondaria, in materia di intermediazione finanziaria. E questo anche per i contratti siglati prima che la legge 262/2005 ricomprendesse espressamente negli obblighi informativi i “prodotti finanziari” emessi dalle assicurazioni.

I giudici di secondo grado hanno così rigettato l'appello di una compagnia che - insistendo sulla natura “assicurativa” e non “finanziaria” della polizza – aveva richiesto la restituzione di quanto versato ad un cliente, a seguito della pronuncia a lui favorevole del Tribunale di Como. Secondo il giudice di primo grado, infatti, il contratto non era un'assicurazione sulla vita ma una forma di investimento finanziario di tipo non previdenziale, come tale sottoposto al Tuf ed al Regolamento Consob (11522/1998). E questo perché la prestazione dell'assicuratore «non era legata ad un evento della vita umana, ma al valore di strumenti finanziari assunti ad indice di riferimento, senza neppure la garanzie del capitale investito».

Spiega, infatti, la Corte di appello che per comprendere la vera natura della polizza bisogna guardare «all’effettiva incidenza del rischio demografico» valutando «in quale misura la prestazione sia correlata all'andamento dei mercati finanziari ed in quale misura, invece, sia correlata ai versamenti eseguiti dall'assicurato e ad un evento attinente alla vita umana». Nel contratto di assicurazione sulla vita (1882 Cc), infatti, l'assicuratore si obbliga a versare un capitale o una rendita dietro il pagamento di un premio al verificarsi di un evento della vita umana. Diversamente un “prodotto finanziario” ha un andamento legato alle oscillazioni dei mercati. Dunque, mentre per le polizze vita “pure” «l'investimento finanziario è stabile, essendo finalizzato alla conservazione del capitale investito», gli strumenti finanziari denominati “polizze vita” «sono soggetti a fluttuazioni in positivo e in negativo del benchmark».

Nel caso concreto, prosegue la sentenza, è pacifico che si tratti di una “polizza vita unit linked” di tipo non previdenziale, in cui il premio pagato dall'assicurato «viene investito in quote di fondi separati di investimento in modo tale che il rendimento della polizza sia legato al rendimento del fondo, senza garanzie di rendimenti minimi» e neppure della «restituzione del capitale alla scadenza contrattuale con il rischio di perdere in parte o del tutto i premi versati». Nel caso specifico infatti il cliente ha dovuto sottoscrivere una clausola aggiuntiva per garantirsi un capitale minimo - solo nel caso in cui si fosse verificato l'evento morte - pari al totale dei premi versati. Tuttavia, prosegue la sentenza, ciò «non rende in alcun modo prevalente la natura previdenziale su quella speculativa, trattandosi di un'opzione secondaria e che, in ogni caso, consente all'assicurato di rientrare delle somme già versate a titolo di premio, senza garantire neppure un minimo incremento». Dunque, neppure la “causa mista” esonera la compagnia dagli obblighi informativi degli intermediari, dovendosi applicare «la disciplina del rapporto prevalente».

Del resto, conclude la sentenza, la Cassazione (6061/2012) ha stabilito che, anche prima della legge 262/2005 e del Dlgs 303/2006, «nel caso in cui le somme corrisposte dall'assicurato a titolo di premio vengano versate in fondi d'investimento» e che «alla scadenza del contratto o al verificarsi dell'evento in esso dedotto, l'assicuratore sarà tenuto a corrispondere all'assicurato una somma pari al valore delle quote del fondo mobiliare al momento stesso (polizze denominate united linked)», il giudice di merito per stabilire se l'impresa emittente, l'intermediario ed il promotore abbiano violato le regole, deve accertare «se il contratto, al di là del “nomen iuris” attribuitogli, sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita - in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell'esistenza dell'assicurato è assunto dall'assicuratore - oppure si concreti nell'investimento in uno strumento finanziario - in cui il rischio di “performance” sia per intero addossato all'assicurato» .

Dunque, nel caso di specie, accertato che il rischio gravava interamente sull'assicurato e che la prestazione della Compagnia era connessa in maniera preponderante alla performance delle quote del basket di investimento, la Corte, confermando il giudizio di primo grado, ha ritenuto «violato l'obbligo di informazione previsto dall'art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/98 che impone un esame della figura e delle prospettive del singolo investitore ogni qualvolta sia proposto un prodotto finanziario, non essendo sufficiente in tal senso il questionario allegato alla polizza n'è tantomeno la nota informativa».

Corte d'Appello di Milano - Sezione 4 - Sentenza 11 maggio 2016 n. 1800

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