Amministrativo

Nuova legge elettorale: maggioritario-proporzionale con premio alla lista e ballottaggio eventuale

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di Carlo Fusaro

Il 4 maggio 2015, dopo un iter di quattordici mesi e una navetta (la proposta approvata dalla Camera era stata incisivamente modificata al Senato),la Camera dei deputati ha approvato fra le solite polemiche, la nuova legge elettorale; il presidente della Repubblica l'ha promulgata due giorni dopo, ed è stata pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 105 dell'8 maggio 2015 per entrare in vigore il 23 successivo (è divenuta così la legge 6 maggio 2015 n. 52, “Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati”, d'ora in avanti solo legge n. 52).
Contrariamente all'impressione generata nell'opinione pubblica dal dibattito drogato delle forze politiche, la legge chiamata Italicum, con 334 voti favorevoli (su 399 presenti, con 4 astenuti, 61 contrari) otteneva il 53% di voti a favore sul plenum di 630 componenti della Camera (lo stesso testo ne aveva avuti il 58.4% al Senato):
•più di quanti ne aveva avuti la legge 270/2005 (Calderoli) con il 51.2% dei componenti a favore;
•poco meno della legge 277/1993 (Mattarella, per la Camera) con il 55.4%; assai più della 276/1993 (Mattarella, per il Senato) che ne ebbe solo il 39.3%;
•più della legge con premio 148/1953 (la cosiddetta legge truffa) che ebbe il 52.6% di voti a favore. In pratica la più votata delle leggi elettorali degli ultimi sessant'anni.

E’ una novella - Si tratta, per lo più, di una novella: cioè di una legge contenente una serie di disposizioni che vanno a modificare il testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957 n. 361 (d'ora in poi Tu 361/1957 o anche solo Tu). Consta di soli quattro articoli, più due allegati (il modello di scheda elettorale e la tabella delle circoscrizioni elettorali in cui l'Italia è divisa ai fini dell'elezione): ma praticamente tutto il nuovo sistema elettorale si trova nel lunghissimo articolo 2 (commi da 1 a 38). Il numero ridotto di articoli si deve a un normale espediente di lotta parlamentare: ridurre al massimo le votazioni di fiducia eventualmente necessarie (com'è poi è stato) per superare l'ostruzionismo. Ma in realtà siamo di fronte a un testo lungo e complesso che occupa oltre venti pagine di “Gazzetta Ufficiale”: esso disciplina molto più della semplice formula elettorale intorno alla quale si è sviluppato tutto il dibattito pubblico.

Logica istituzionale complessiva - La legge n. 52 risponde a una logica istituzionale precisa e si colloca in linea di continuità con quelle - pur diverse - che l'hanno preceduta da vent'anni in qua. Si combina inoltre perfettamente con la riforma costituzionale in itinere della quale è il complemento: infatti essa si occupa solo della Camera dei deputati nel presupposto che in futuro non sarà necessario eleggere con voto popolare diretto il Senato e che comunque quel Senato non sarà più titolare del rapporto fiduciario.

Se il sistema politico istituzionale italiano implose agli inizi degli anni Novanta ciò si dovette a un complesso di cause molteplici, ma in quella occasione fu determinante l'attacco per via referendaria alla legislazione elettorale proporzionale che aveva caratterizzato il periodo successivo al fallimento della legge elettorale con premio del 1953. L'obiettivo era di influire sul funzionamento assai insoddisfacente della forma di governo attraverso riforme elettorali. Basti vedere cosa è avvenuto a tutti i livelli di governo sub-nazionali a partire dalla legge elettorale per i comuni legge 81/1993 alla legge per le regionali 43/1995, all'articolo 5 della legge costituzionale 1/1999. Tutte queste leggi elettorali, sostanzialmente tuttora vigenti e apprezzate, furono caratterizzate dal tentativo, per via di legislazione elettorale, di incidere sulla forma di governo mediante elezione diretta del vertice dell'esecutivo (regionale o comunale, prima anche provinciale) e contestuale elezione con premio di una omogenea maggioranza consiliare, insieme, e questo è essenziale, alla garanzia di un ampio pluralismo rappresentativo.

Questa strategia non è stato possibile perseguire a livello nazionale per le resistenze, tuttora perduranti, a modificare la Costituzione. Le leggi Mattarella del 1993 (che eleggevano tre quarti dei membri della Camera e del Senato in collegi uninominali con formula maggioritaria a un turno, e il quarto rimanente su base proporzionale) si inserivano però parzialmente nella stessa logica: e in effetti sin dal 1994 (e poi sempre più nitidamente nel 1996 e nel 2001), sia pure non senza qualche contraddizione, condussero a una virtuale investitura diretta di chi avrebbe dovuto governare il Paese, nonché a “premiare” in vincitori nel rapporto voti/seggi. Allo stesso modo, quando nel 2005 il governo Berlusconi varò la legge 270/2005 (Calderoli) che recuperava il premio diretto in seggi alla coalizione vincitrice in cambio dell'abbandono dei collegi uninominali e un ritorno alla distribuzione dei seggi su base tendenzialmente proporzionale, l'obiettivo era parallelamente quello di ottenere lo stesso esito della legge elettorale per i comuni e di quelle per le regioni. Ciò emergeva ancora più chiaramente tenendo conto della riforma costituzionale approvata nello stesso anno 2005 dalla medesima maggioranza di centro-destra (poi bocciata al referendum confermativo del giugno 2006).

A ben vedere, ancora da più lungo tempo una precisa strategia elettorale è emersa in Italia volta a rafforzare la capacità di funzionamento del governo parlamentare. Questo fondandosi sul rapporto fiduciario comporta che il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, nel combinarsi con il sistema dei partiti concretamente in essere, deve necessariamente produrre - di norma, s'intende -una maggioranza omogenea e durevole, in grado di sorreggere il suo governo. Senza di ciò nulla funziona (e lo sappiamo bene). Di qui la centralità delle formule elettorali e il tanto ragionare intorno a esse.

Ora i casi sono tre: o il sistema partitico è così semplice e solido che qualsiasi legge elettorale è suscettibile di garantire quel risultato funzionalmente necessario (si immagini un sistema a due soli partiti rilevanti, v. Usa), o si può sempre e comunque contare sulla leale collaborazione fra partiti (cosa che dappertutto anche in Europa risulta sempre più difficile) e allora ci si può permettere una formula proporzionale, oppure la legge elettorale deve avere un qualche effetto maggioritario tale da favorire se non garantire la formazione di efficienti maggioranze parlamentari. Ebbene, ciò si può ottenere principalmente in due modi: mediante il ricorso a formule maggioritarie di collegio (Regno Unito, Francia) o a formule maggioritarie di lista (Spagna, per via delle circoscrizioni piccole che producono esito maggioritario anche se con base proporzionale; e soprattutto Italia 1953 e Italia 2005 oltre che Francia per le elezioni regionali e comunali).

La strategia della legge n. 52 - La legge n. 52 conferma la strategia che fa ricorso a formule maggioritarie di lista a base proporzionale caratterizzate da assegnazione di un premio che assicura un numero di seggi superiore alla metà più uno dei componenti dell'assemblea a chi vince. In questo senso la nuova legge corona una strategia che risale almeno ai tempi della Commissione Bozzi (anni 1983-1985) quando fu proposta e sostenuta, con ipotesi lievemente differenziate, da Gianfranco Pasquino e Roberto Ruffilli). In altre parole:la strategia è quella di incidere sulla forma di governo senza necessariamente modificare la Costituzione (anche se adeguamenti costituzionali sarebbero certamente utili, per esempio per rafforzare le prerogative del presidente del Consiglio che giuridicamente è ancora poco più di un primus inter pares) grazie a un'appropriata legge elettorale: tenendo conto che il mantenimento di una logica proporzionale garantisce che la rappresentatività dell'assemblea che si elegge sia solo limitatamente sacrificata all'obbiettivo governabilità, a differenza di quanto avviene con sistemi maggioritari di collegio. I casi francese e inglese fan capire a cosa ci si riferisce: non solo, esattamente come sarà con l'Italicum la legge elettorale in quegli ordinamenti trasforma una minoranza in voti in una maggioranza in seggi, ma può portare a escludere dalla rappresentanza delle forze politiche anche di grande consistenza, cosa che con l'Italicum non avverrà perché ogni forza con più del 3% dei voti sarà rappresentata (sia pure con qualche limitazione rispetto alla proporzione teorica). Invece, per fermarsi alle elezioni nel Regno Unito del 7 maggio 2015, s'è visto che partiti del 13% (Ukip), hanno avuto 1 (un) eletto alla Camera dei comuni; altri (liberaldemocratici) con oltre l'8%, solo 8 seggi, pari all'1.2%; altri ancora con il 4.9% (il partito scozzese) ben 56 pari al 9%.

Il contesto politico-istituzionale - Qualsiasi valutazione della legge 52/2015 deve poi tenere conto del contesto nel quale essa ha trovato approvazione: un contesto di estrema difficoltà e peggio che logorato.
Da un lato l'esigenza di modificare la legge elettorale 270/2005 (Calderoli) era emersa da tempo - da cui sollecitazioni praticamente costanti del presidente della Repubblica Napolitano, dall'altro anche l'apparente consenso di quasi tutte le forze politiche (salvo ovviamente litigare sul da farsi, in concreto), dall'altro ancora l'avvio stentato della XVII legislatura (febbraio 2013) caratterizzata dalla trasformazione di un sistema bipolare in un sistema tripolare, nel quale però uno dei tre poli si mostrava sin dall'inizio indisponibile a qualsiasi collaborazione di governo, mentre gli altri due si erano presentati agli elettori come alternativi.

Si ricorderà l'invocazione della rielezione, per la prima volta nella storia repubblicana, del presidente Napolitano come unica via d'uscita possibile e il suo appassionato discorso in occasione del giuramento, quando subordinò l'accettazione del secondo mandato all'impegno delle forze parlamentari a superare le divisioni e procedere d'urgenza alle necessarie riforme costituzionali ed elettorali. Si ricorderà pure l'avvio con slancio nella prima fase del governo Letta (fino al voto di una legge costituzionale sul procedimento di revisione e alla presentazione del rapporto della Commissione dei saggi presieduta dal ministro Quagliariello: che tra l'altro ipotizzava innovazioni proprio del tipo della futura legge n. 52), ma anche l'arenarsi di ogni buona volontà dopo la decadenza del senatore Berlusconi. Si ricorderà pure l'avvio con slancio nella prima fase del governo Letta (fino al voto di una legge costituzionale sul procedimento di revisione e alla presentazione del rapporto della Commissione dei saggi presieduta dal ministro Quagliariello: che tra l'altro ipotizzava innovazioni proprio del tipo della futura legge 52), ma anche l'arenarsi di ogni buona volontà dopo la decadenza del senatore Berlusconi. Si ricorderà, infine, la sentenza 1/2014 con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune caratteristiche chiave della legge elettorale del 2005, per cui ciò che ne derivava erano diventate due leggi elettorali (per Camera e Senato) puramente proporzionali che andavano in direzione diametralmente opposta rispetto alla strategia di riforma illustrata sopra, quasi una garanzia di ingovernabilità presente e futura.

In altre parole, una legislatura senza maggioranza espressa dagli elettori, con maggioranza innaturalmente fondata sulla collaborazione fra forze contrapposte (e dalla seconda fase del governo Letta in poi, oltre al Pd e alcuni centristi, su un pezzo minoritario di quello che era stato il Popolo delle Libertà), politicamente se non giuridicamente delegittimata dalla sentenza della Corte si trovava paradossalmente nella condizione di dover varare impegnative riforme. Se a tutto ciò si aggiunge la fronda consistente che finiva con il dar vita, all'interno dello stesso partito di maggioranza relativa, il Pd, principale sostegno del governo Renzi, a una sorta di componente organizzata... di opposizione alla strategia riformatrice del Governo stesso, si comprende bene quale impresa sia stata il varo della nuova legge elettorale (e quale impresa sarà condurre in porto l'altrettanto necessaria pur parziale riforma costituzionale volta a superare il bicameralismo paritario, a rivedere le competenze legislative Stato-regioni, a rafforzare la democrazia diretta, a cancellare ogni riferimento alle province in Costituzione e ad abolire l'inutilissimo Consiglio dell'economia e del lavoro). Si può comprendere anche, infine, perché (come del resto è sempre accaduto in passato) non è stato proprio possibile perseguire con la coerenza della progettazione accademica a tavolino soluzioni “perfette” o prive di qualsivoglia controindicazione.

Legge 6 maggio 2015 n. 52

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