Penale

Ex Ilva, annullata la confisca sugli immobili intestati ai figli di Fabio Riva

di Paola Rossi

Ai figli di Fabio Arturo Riva - o meglio alle società semplici da loro possedute al 99% delle quote e proprietarie degli immobili a Milano sottoposti a confisca - la Cassazione con la sentenza n. 7433 depositata ieir, ha dato ragione annullando la misura cautelare reale legata alla condanna del padre per la truffa ai danni dello Stato per circa 100 milioni di euro di contributi pubblici all'esportazione. La Cassazione, sia per i tempi sia per i modi, ha ritenuto giustificata - in base a quanto normalmente accade nelle famiglie tra padri e figli - la creazione di due persone giuridiche possedute dal padre solo all'1% e ognuna con un patrimonio di un immobile intestato ai figli solo in nuda proprietà. Per la Cassazione, Riva mantenendo l'usufrutto a vita su tali beni non avrebbe creato un'intestazione fittizia a favore dei figli, ma avrebbe fatto un'operazione di gestione del patrimonio immobiliare familiare totalmente legittima, almeno in punta di diritto.
I giudici della confisca dovranno ora nuovamente valutare la possibilità o meno di rinnovare la misura cautelare mirata al sequestro dei beni dell'ex imprenditore Ilva. Infatti, secondo il ricorso in Cassazione, la finalità di occultare il patrimonio non si poteva raggiungere con l'operazione realizzata, la quale infatti non ha impedito la facile individuazione di tali immobili come riferibili al Riva padre. Spetta perciò ai giudici - a cui la Cassazione ha rinviato la questione - dimostrare l'esistenza di indizi gravi e concordanti sulla fittizietà della nuda proprietà intestata ai figli. E nel farlo dovranno rispondere compiutamente ai plausibili rilievi della difesa sulla non strumentalità di un'operazione avvenuta a poco meno di un decennio dalla vicenda penale del padre. O vagliare se al limite non sia ravvisabile una donazione, lecita o meno. Il nuovo giudizio dovrà smentire o confermare le affermazioni difensive secondo cui a Riva erano già riferibili altri beni per circa 30 milioni, di valore superiore a quello dei beni confiscati e che se lui ha mantenuto la disponibilità, cioè il possesso di quest'ultimi è solo in base al legittimo titolo giuridico di usufruttuario. Invece, è stato ritenuto totalmente inconferente il rilievo negativo, posto a base della confisca per equivalente, secondo cui tali società non avrebbero svolto alcuna attività commerciale. La Cassazione conferma, infatti, che si tratta di attività precluse dalla legge alle società semplici.

Corte di Cassazione – Sezione I – Sentenza 25 febbraio 2020 n. 7433

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