Amministrativo

Nuovo Dpcm: la circolare del Viminale ribadisce il ruolo di moral suasion delle “raccomandazioni”

Non serve dunque alcuna autocertificazione per la mobilità interregionale a meno di specifiche ordinanze locali

di Aldo Natalini

L’ultimo Dpcm del 24 ottobre - il terzo, in undici giorni - oltre a contenere le nuove (e contestate) misure prescrittive (chiusure anticipate, sospensioni in toto di talune attività legate all’intrattenimento) con abbinate sanzioni amministrative (rivenienti la loro base legale nella legge), reitera ed implementa l’uso delle (“forti) “raccomandazioni” presidenziali, già “sdoganate” col precedente Dpcm del 18 ottobre riguardo al noto limite (non coercibile) del numero di persone - “raccomandate” non più di sei - ospitabili nelle case private e alla modalità “a distanza” delle riunioni private: ma già sperimentate nei provvedimenti più risalenti della “fase 1” (che pure “promuovevano” la modalità di lavoro agile per le attività professionali private o la differenziazione dell’orario di ingresso dei dipendenti negli uffici e aziende private).

Che alla violazione della “raccomandazione” - la quale è mera esortazionepaternalistica”, priva di alcun carattere prescrittivo, al più espressione (ma non sempre) di una sottesa regola cautelare ex se non coercibile - non è correlabile alcuna sanzione (amministrativa e men che meno penale) ora è lo stesso Viminale a ribadirlo: nell’allegata circolare ai prefetti del 27 ottobre sulle misure dell’ultimo Dpcm del 24 ottobre 2020 il Ministero dell’interno precisa come esso preveda anche «previsioni di contenuto esortativo, formulate in termini di raccomandazione, le quali, benché non correlate a sanzioni, intendono sollecitare l’adozione di comportamenti ispirati alla massima prudenza e al senso di responsabilità dei singoli». Niente più che un consiglio, dunque.

L’odierna puntualizzazione ministeriale - formulata a beneficio dell’attività degli organi accertatori, sul punto richiamati all’impossibilità di irrogare sanzioni (e, ancor prima, evidentemente di richiedere autocertificazioni o chiarimenti di sorta sui movimenti delle persone al di fuori delle ipotesi dei “coprifuoco” regionali) - stimola una breve riflessione.

A ben vedere, la “raccomandazione” (di comportamento) - benché ormai ripetutamente “positivizzata” in seno ad un provvedimento (amministrativo, quale è il Dpcm) avente valore erga omnes, non costituisce tanto una norma imperfetta (come la circolare ministeriale sembrerebbe far pensare), cioè una regola giuridica pur sempre contenente un divieto (precetto) ma priva di sanzione (e, quindi, del connotato della coercibilità o coattività). La raccomandazione è, piuttosto, una “non-norma” (giuridica), un “non-precetto”; al più, essa sembra costituire un moderno esempio di “norma morale” (emergenziale, eretta in funzione anti-pandemia): una “direttiva” che dovrebbe seguire il cittadino autoresponsabile per ottenere la stima degli altri e sentirsi in pace con la propria coscienza (nel senso che la raccomandazione costituisce un semplice consiglio, vedi Enzo Cheli, intervistato ne «Il messaggero» del 26 ottobre 2020, secondo cui l’uso - giudicato «improprio» - della raccomandazione inserita in un decreto suona «stranissima all’orecchio del giurista» ed è sintomatica di una «curvatura verso lo Stato etico che non ha nulla a che fare con lo stato di diritto»).

In breve, la raccomandazione sembrerebbe una semplice forma di moral suasion svolta dal governo verso i cittadini. Eppure la “raccomandazione” - specie in ambito sanitario - può essere (più o meno) dotata di una valida valenza cautelare ad efficacia preventiva di certi eventi avversi (nella specie, la diffusione del contagio): a livello descrittivo, essa può caratterizzarsi per una maggiore o minore astrattezza e/o per una maggiore o minore chiarezza e puntualità. E di queste due possibili “varianti” proprio il Dpcm in commento - oggi “interpretato” in via di prassi dal Viminale - offre un esempio.

 

La “raccomandazione” come forma di soft law e nell’ambito delle linee-guida sanitarie

Peraltro nel panorama europeo la raccomandazione può annoverarsi nell’ambito della cosiddetta soft law (come nel caso delle raccomandazioni emanate dalle autorità che fanno parte del Sevif - Sistema europeo di Vigilanza Finanziaria) in modo da promuovere l’applicazione uniforme della normativa e offrire indicazioni agli operatori (nel senso che il grado di effettività di questi strumenti dipende in gran parte dall’autorevolezza e dalla competenza di chi li utilizza vedi Marcello Clarich, in «Milano Finanza», del 27 ottobre 2020, secondo cui «non è detto che una norma burocratica di un Dpcm sia più persuasiva di un appello ai concittadini come quello della cancelliera tedesca, Angeka Merkel di qualche giorno fa»).

In ambito più squisitamente sanitario, si conosce invece la “raccomandazione di comportamento clinico”, ad elaborazione multidisciplinare, la quale è la definizione (dottrinale) risalente agli anni novanta del secolo scorso delle cosiddette linee-guida sviluppate preferibilmente mediante un «processo di revisione sistematica della letteratura specifica e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche condizioni cliniche» (v. M.J. Field-K.N. Lohr, Clinical Practice Guidelines. Direction for a new Program, 1990; Id., Guidelines for clinical practice: from development to use, Washington, 1992).

In seno al nostro codice penale, le raccomandazioni (delle linee guida) compaiono con la legge Gelli-Bianco, in tema di (esenzione da) responsabilità medica in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle “raccomandazioni” (articolo 590-sexies del Cp).

 

La circolare del Viminale: i “consigli” sulla mobilità personale

Tornando alla circolare in commento, quanto alla mobilità personale interregionale (articolo 1, comma 4: «è fortemente raccomandato atutte le persone fisiche di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità, per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi»), come avevamo scritto in queste pagine a prima lettura del Dpcm del 24 ottobre 2020 (vedi il commento del 25 ottobre 2020), trattandosi per l’appunto di raccomandazione, «non occorre - chiarisce oggi il Viminale - che le persone interessate ai suddetti spostamenti siano munite di autodichiarazione, redatta ai sensi degli articoli 46 e 47 del Dpr 28 dicembre 2000, n. 445. Resta ferma, invece, la necessità di giustificazione degli spostamenti in tutti i casi di limitazioni alla mobilità introdotte con provvedimenti più restrittivi di ambito regionale» (id est: i cosiddetti “coprifuoco notturni”).

Sul punto, questa “raccomandazione” - dotata di un’evitante astrattezza - non sembra esprimere un’efficace (e valida) regola cautelare in funzione preventiva rispetto ad un pericolo (concreto) di contagio (a meno di non ritenere che ogni spostamento in qualunque parte del nostro Paese determini ex se un aumento della diffusione del virus, ma sarebbe una tesi troppo estrema perché, se così fosse, non dovrebbe ammettersi nemmeno lo spostamento “giustificato”). Solo se la raccomandazione - a contenuto puntuale e concreto - fondasse una valida cautela standardizzata la sua violazione, potrebbe rilevare in eventuale sede penale quale vera e propria regola di “colpa specifica” ex articolo 43 del Cp addebitabile al soggetto agente, avuto riguardo a fattispecie incriminatrici come quelle di epidemia colposa, omicidio o lesioni colpose (vedi il precedente commento del 23 ottobre 2020).

 

Ricevimento di ospiti nelle abitazioni private

Per quanto riguarda l’altra raccomandazione sul ricevimento di ospiti presso la propria abitazione, in numero non superiore a sei, il Dpcm del 24 ottobre 2020 rafforza la raccomandazione riferita al medesimo contesto privatistico contenuta nel precedente provvedimento presidenziale.

Secondo il Viminale, tenuto conto della stringente necessità di prevenire la diffusione del virus, «che può essere agevolata da contatti occasionali anche tra familiari non conviventi, e pertanto di adeguare i propri comportamenti, anche nella sfera privata, a un principio di massima cautela, viene raccomandato che nelle abitazioni private si eviti di ricevere persone diverse dai conviventi, salvo che per esigenze lavorative o situazioni di necessità e urgenza. Va da sé che anche ove ricorrano tali particolari circostanze andranno seguite le regole prudenziali legate all’uso dei dispositivi di protezione delle vie aeree».

Dette precisazioni ministeriali sembrano enucleare quel contenuto cautelare - qui concreto e puntuale - che avevamo già commentato rispetto all’identica raccomandazione introdotta col precedente Dpcm (vedi commento del 23 ottobre 2020): in questo caso, come sopra ricordato, la violazione della raccomandazione, sebbene ex se non sanzionabile amministrativamente, potrebbe (indirettamente) rilevare in sede penale ai fini della ricostruzione della colpa (specifica) in capo al soggetto agente, al pari della violazione di un ordine o di una disciplina (si pensi ad un caso di epidemia colposa originato da un cluster esploso all’interno di un’abitazione privata in occasione di una festa con parecchi partecipanti, tra cui uno positivo). Ed in questi termini, il fatto che la “raccomandazione” sia contenuta in un Dpcm non pone alcun problema di rispetto del principio costituzionale della riserva di legge in materia penale, alla stressa stregua in cui non lo pongono le fonti (privatistiche) dell’ordine o della disciplina agli effetti dell’articolo 43 del Cp.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©