Amministrativo

La riduzione di processo quale strumento di miglioramento ambientale: la decarbonizzazione, con particolare riferimento all'ex Ilva di Taranto

Le drammatiche vicende del più grande stabilimento siderurgico d'Europa e l'inderogabile necessità della sua decarbonizzazione, il progetto al centro del Recovery Plan italiano

di Lorica Marturano


Come noto, la decarbonizzazione è il processo di riduzione del rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti di energia e, più precisamente, considerando i diversi rapporti che caratterizzano la composizione delle principali materie prime energetiche, il processo rappresenta la tendenza alla riduzione dello stesso rapporto.

Ad esempio, nel caso della combustione della legna per ogni atomo di idrogeno sono presenti dieci atomi di carbonio (rapporto 10:1). Il carbone ha invece due atomi di carbonio per ogni atomo di idrogeno (rapporto 2:1). Il petrolio ha un rapporto carbonio-idrogeno pari a 1:2, ossia per ogni atomo di carbonio esistono due atomi di idrogeno, mentre quello del gas naturale è pari a 1:4, ed è il più basso tra le fonti di energia fossile. Quindi il gas naturale è la fonte di energia fossile meno inquinante in termini di emissioni di anidride carbonica (CO2). Nel caso dell'utilizzo del solo idrogeno, come fonte energetica, viene completato il processo di decarbonizzazione.

In ambito aziendale, come nel caso dell'ex Ilva, oggi Arcelor Mittal Italia, si parla di decarbonizzazione, quando si attuano politiche per la riduzione delle emissioni di CO2 o quando vengono predisposte delle conversioni di attività che producono CO2 in attività che non ne producono o ne producono meno. Nell'ambito energetico un processo di decarbonizzazione potrebbe essere la conversione di una centrale elettrica a carbone o a petrolio, in una centrale elettrica che utilizza fonti energetiche rinnovabili.

Quando si parla invece di società decarbonizzate, ci si riferisce a quando vengono utilizzate fonti energetiche prive di carbonio, fonti energetiche rinnovabili, ad esempio, esenti da emissioni atmosferiche di CO2.

Il concetto di decarbonizzazione viene spesso citato quando si parla di transizione da una società che utilizza combustibili fossili ad una azienda che utilizza energie rinnovabili (teoria della transizione, transition town, low carbon economy).

Sono stati effettuati studi sulle emissioni di CO2 pro-capite e sono stati messi a confronto i vari paesi dell'Unione Europea. Questi studi sono sempre più frequenti dato che i paesi sono costretti da direttive europee a ridurre le proprie emissioni, In particolare, dopo la conferenza sul Clima delle Nazioni Unite COP21 del novembre 2015, che ha dato luogo all'accordo di Parigi, in cui tutti gli Stati membri si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni di CO2.

Le drammatiche vicende del più grande stabilimento siderurgico d'Europa e l'inderogabile necessità della sua decarbonizzazione.
Si osserva, preliminarmente, che lo stabilimento di Taranto, il più grande d'Europa, determina un impatto sull'ambiente e sulla salute dei cittadini di Taranto, oggetto di numerosi studi scientifici, che hanno riscontrato un elevato tasso di mortalità per tumori. La stessa ARPA, a seguito di approfonditi accertamenti, nel 2016 aveva segnalato che il livello di diossine, nel quartiere Tamburi, era superiore a quello autorizzato. Nel successivo rapporto del 2017, basato sul neo istituito registro dei tumori di Taranto, veniva sottolineato il perdurare della situazione di criticità sanitaria, zona di Taranto, accertando il nesso di causalità tra il pregiudizio sanitario e le emissioni industriali.

La legge della Regione Puglia n.44/2008 aveva fissato per la prima volta i limiti entro i quali l'emissione di diossine era autorizzata nell'ambito di attività industriali; tuttavia i tagli alle emissioni venivano prorogati da successivi provvedimenti legislativi.

Nel 2011 il Ministero dell'Ambiente concedeva all'ex Ilva una prima Autorizzazione Ambientale Integrata (AIA), fissando alcune condizioni per il controllo dell'inquinamento, poi modificate con una seconda autorizzazione che prevedeva l'obbligo di inviare un rapporto trimestrale relativo all'applicazione delle misure necessarie per il miglioramento dell'impatto ambientale.

Parallelamente, venivano instaurati numerosi procedimenti penali nei confronti degli amministratori e dirigenti dell'ex Ilva, ai quali venivano contestate, tra le altre, le condotte di "catastrofe ecologica", avvelenamento di sostanze alimentari, omessa prevenzione di incidenti sul luogo di lavoro, danneggiamento di beni pubblici, emissione di sostanze inquinanti, "inquinamento atmosferico" e, soprattutto "disastro ambientale", per il quale è in corso il procedimento definito "ambiente svenduto".

Nel 2012 il GIP di Taranto, sulla base delle consulenze tecniche di esperti chimici ed epidemiologici, disponeva il sequestro, senza facoltà d'uso, di parchi minerari, cokerie, area agglomerazione, area altiforni, acciaierie e materiali ferrosi.

Ne seguiva una normativa d'urgenza che consentiva la prosecuzione dell'attività fino ai giorni nostri con l'emissione di quattordici decreti legge, con decisioni altalenanti della Corte Costituzionale.

A livello europeo, con sentenza del 31 marzo 2011, la Corte di Giustizia Europea accertava che le autorità italiane erano venute meno agli obblighi derivanti da una direttiva del 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione dell'inquinamento, sottolineando che l'Italia aveva omesso di adottare le misure necessarie affinchè le autorità competenti potessero vigilare sul rispetto del sistema di autorizzazioni previsto nella menzionata direttiva. Constatando le medesime infrazioni alla normativa europea, in particolare di quella 2010/75/UE, nel 2014 la Commissione UE emanava un motivato avviso richiedendo allo Stato italiano di rimediare ai gravi problemi di inquinamento rilevati nella zona dello stabilimento.

Con sentenza del 24 gennaio 2019, la prima sezione della Corte Europea dei diritti dell'Uomo decideva in ordine al ricorso di centottanta cittadini di Taranto che avevano lamentato la violazione dei propri diritti fondamentali derivante dagli effetti delle emissioni dello stabilimento siderurgico Arcelor Mittal (ex Ilva) sulla salute e sull'ambiente. Con il ricorso in esame, i ricorrenti invocavano l'applicazione degli artt. 2, 8 e 13 della Convenzione sostenendo che lo Stato italiano non aveva adottato le misure giuridiche e regolamentari idonee a proteggere la loro salute e l'ambiente in cui vivevano, e di avere omesso le informazioni sull'inquinamento e sui rischi della salute ad esso connessi. La Corte esaminava il gravame unicamente sotto il profilo dell'art. 8 che tutela il rispetto della vita privata.

I giudici di Strasburgo dichiaravano che vi erano elementi per sostenere che l'inquinamento nella zona interessata aveva reso, inevitabilmente, le persone ad esso esposto più vulnerabili a numerose malattie e richiamavano, in punto di nesso causale tra l'attività dell'ex Ilva e la compromissione della situazione sanitaria, i risultati degli studi scientifici sopra menzionati.

Di conseguenza, alla luce degli studi scientifici non contestati dalle parti e della procedura di infrazione intrapresa dagli organi dell'UE, la Corte accertava la sussistenza di una situazione di inquinamento ambientale atta a mettere in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, di quella della popolazione residente nella zona.

La Corte, ritenendo di non dover applicare nella fattispecie la procedura della "sentenza pilota" (adozione di misure legislative amministrative necessarie per far cessare le attività che sono alle origini delle violazioni ed eliminare le conseguenze derivanti da quest'ultime), assegnava al Comitato dei Ministri il compito di indicare al Governo italiano le misure che, in termini pratici, devono essere adottate per l'esecuzione della sentenza.

La citata sentenza del 24 gennaio 2019 diveniva definitiva il 24 giugno 2019, ma in mancanza di un accordo tra lo Stato italiano ed i cittadini di Taranto, la Corte fissava il termine del 20 aprile 2020 entro il quale il Governo avrebbe dovuto presentare le proprie osservazioni di replica, unitamente alla descrizione dei fatti in causa.

Con la dichiarata pandemia da Covid – 19 ", per aziende quali, ad esempio, l'ex Ilva di Taranto, viene richiamata la lettera g) del D.P.C.M. 22 marzo 2020, normativa confermata dal decreto legge n.19/2020, ove "sono consentite le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l'attività produttiva, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all'impianto o un grave pregiudizio all'impianto stesso o un pericolo di incidenti. In tali ipotesi il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistono le condizioni di cui al periodo precedente".

A tal proposito il Prefetto di Taranto, con decreto n.172/2020 del 26 marzo 2020, confermato da un successivo provvedimento, decideva di sospendere, fino ai primi di maggio 2020, l'attività produttiva ai fini commerciali dello stabilimento siderurgico gestito dalla società Arcelor Mittal, mantenendo l'attività dell'impianto per ragioni di sicurezza.
La vertenza Ilva sembra ormai "una grossa matassa fumosa della quale non si comprende né il capo né la coda" e, in una situazione così delicata e complessa, l'unica via d'uscita potrebbe essere la decarbonizzazione del colosso siderurgico.

Lo stesso Ministro dell'economia, in occasione di un'iniziativa dedicata a Taranto - definita capitale del Green New Deal-, ha prospettato nuovi investimenti che dovrebbero "modificare il processo produttivo investendo sulla produzione di preridotto che può essere alimentata a gas e poi anche ad idrogeno. Tale processo sarà la priorità del Recovery Plan italiano".

Nelle intenzioni dell'esecutivo vi è anche l'utilizzo del Just Transition Fund, di cui Taranto sarà uno dei principali progetti pilota, e del Recovery Fund per progettare la progressiva decarbonizzazione e il futuro di una fabbrica moderna, tecnologicamente avanzata, se possibile con la riduzione del perimetro dello stabilimento rispetto a quello attuale.

Infatti per l'Italia sono previsti circa 208 miliardi di euro, la quota più cospicua dei 560 miliardi di euro destinati agli Stati membri dell'Unione Europea per la realizzazione di investimenti e riforme per una ripresa sostenibile. Il nostro Paese dovrà però dotarsi di un dettagliato piano nazionale, per il periodo 2021-2023, che illustri come il governo italiano intenda utilizzare questi investimenti. In sostanza, l'Italia avrà a disposizione 81 miliardi di euro a titolo di sussidi e 127 miliardi di euro sotto forma di prestiti. Per decisione dell'autorità europea il 37% delle risorse destinate al nostro Paese devono essere impegnate in opere green.

Come noto, al centro degli obiettivi ambientali europei c'è anche la riduzione delle sostanze responsabili dei cambiamenti climatici con la progressiva decarbonizzazione delle attività industriali. Di questo si occuperà il citato piano del Just Transition Fund (GTF, 2021-2023), ulteriore fondo per la "giusta transizione", che ammonta a 17,5 miliardi di euro di cui 700 milioni spetteranno all'Italia.

Tra questi, come detto, prioritario è quello dell'ex Ilva di Taranto. Inoltre, il 15 ottobre sono iniziate le prime consultazioni con la Commissione europea per la conclusione della redazione del Piano nazionale.

Sebbene sin dal 2012 l'impianto di Taranto risulti sequestrato dalla magistratura penale, le opere di bonifica si susseguono lentamente, con interventi parziali e non pianificati, soprattutto sul piano della sicurezza degli operai.

Venendo all'esame delle conseguenze sull'economia italiana, un ulteriore vulnus alla crisi aziendale, è stato dato dall'epidemia del coronavirus, che ha determinato una pesante recessione, dalle dimensioni ancora incerte.

A complicare ulteriormente la vicenda, è in intervenuta l'ordinanza del sindaco di Taranto del 27 febbraio 2020 con la quale è stato intimato alla azienda Arcelor Mittal e ad Ilva in amministrazione straordinaria, di risolvere il problema delle emissioni entro trenta giorni.

Non avendo i citati soggetti provveduto, in data 29 marzo 2020 il citato amministratore ha disposto la fermata degli impianti dell'area a caldo, nonostante il ricorso al TAR di Lecce presentato in limine dei termini di scadenza, che ha sospeso il provvedimento sindacale sino all'esame del merito.

Nonostante le opinioni fortemente contrastanti della popolazione tarantina nella definizione delle complesse problematiche, non potrà non tenersi conto della circostanza che l'azienda eroga servizi essenziali e strategici per l'economia nazionale e che consente la sopravvivenza di circa cinquantamila cittadini, considerate le famiglie dei dipendenti diretti e dell'indotto.

Conclusioni
Il percorso di decarbonizzazione dell'ex stabilimento ILVA di Taranto presenta una serie di difficoltà legate sia alle scelte di carattere tecnologico che a quelle di carattere industriale.
Le prime sono destinate a condizionare le seconde.

La scelta, infatti, di seguire una via di ambientalizzazione del ciclo produttivo che comporti una riduzione sia delle emissioni inquinati che di quelle legate ai gas serra (CO2) comporta, allo stato attuale, ed a parere della scrivente, un aumento dei costi di produzione che potrebbe essere accettato solo in presenza di uno scenario legislativo ben definito.

L'implementazione di strategie di decarbonizzazione, in particolar modo, potrebbe essere sostenuta solo in presenza di una cospicua carbon tax che venga adottata dalla Comunità Economica Europea sia per la produzione interna alla sua area che sui prodotti di importazione.

In sua assenza, non vi potrebbero essere gli spazi economicamente sostenibili per l'avvio di un così virtuoso processo di tutela ambientale.

Premesso, comunque, che questo possa aver luogo, i benefici in termini di riduzioni di CO2 sono palesi.

Il processo siderurgico, basato sui cicli di produzione a caldo (coke), generano non meno di 1,3 kg di CO2 per ogni kg di acciaio prodotto.

Lo stabilimento di Taranto, capace di sfornare sino a 9 milioni di tonnellate/anno di prodotti acciaiosi lunghi, produce una quantità di CO2 pari a 12 milioni di tonnellate.
Con l'adozione delle tecniche del preridotto (DRI) sarebbe possibile ridurre le emissioni di CO2 fino ad un massimo del 26% anche se è più realistico considerare una riduzione del 16%, tenuto conto dei fattori di bilanciamento del costo di impianto, necessari per ottenere performance così spinte.

In ogni caso, la riduzione sarebbe significativa, tenuto conto che la produzione dell'idrogeno verde, necessario all'alimentazione dell'impianto, potrebbe tranquillamente essere coperta dal surplus energetico della Regione Puglia grazie alla massiccia presenza di impianti eolici e fotovoltaici sul suo territorio che renderebbero economicamente interessante il costo di produzione, per via elettrolitica, dell'idrogeno.

La riduzione del costo energetico è, infatti, un prerequisito tecnico economico piuttosto importante per rendere economicamente sostenibile la scelta del processo di produzione basato sul preridotto ed è l'unico realizzabile sul territorio. L'alternativa di un basso costo del minerale ferroso, non è realisticamente ottenibile e, pertanto, si può ritenere che, pur in presenza di reti gas potenzialmente utilizzabili per produrre idrogeno per via catalitica, (il gasdotto TAP è certamente una ipotesi realistica ma ben difficilmente l'idrogeno potrebbe essere prodotto a costi equiparabili a quelli degli impianti DRI presenti in Russia o in Qatar, in cui il costo del gas naturale è un decimo di quello praticato in Italia) la produzione elettrolitica, se accompagnata da logiche agevolative fiscali regionali e nazionali potrebbe costituire un elemento positivo nella scelta dell'adozione DRI per lo stabilimento di Taranto.

Pertanto, nonostante le citate difficoltà, si auspica il raggiungimento dell'obiettivo di arrivare ad una produzione finalmente compatibile con la salute umana e l'ambiente, con l'utilizzo di tutte le tecnologie capaci di superare gradualmente la tradizionale produzione a ciclo continuo, utilizzando gas, preridotto e forni elettrici, che costituirebbero una positiva transizione.

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