Amministrativo

La parità di genere nel sistema elettorale italiano con particolare riferimento al caso della regione Puglia ed ai suoi sviluppi giurisdizionali

L'uguaglianza di genere si sta affermando nella maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea, anche con riferimento ai sistemi elettorali, seguendo in Italia un percorso travagliato. Nell'ambito delle elezioni regionali, il caso della Puglia è emblematico, alla luce dei suoi sviluppi giurisdizionali.

di Lorica Marturano*


Il difficile percorso della parità di genere nel sistema elettorale italiano

L'uguaglianza tra uomini e donne è uno degli obiettivi prioritari, ma nonostante il chiaro disposto costituzionale, il legislatore repubblicano si è rivelato molto lento nell'attuare le disposizioni costituzionali, sicchè è toccato alla giurisprudenza costituzionale dover intervenire per affermare la parità tra uomo e donna.

Con le elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 si è avuta una inversione di tendenza in aumento: nella XVII legislatura sono state elette alla Camera 198 donne (31,4%) e al Senato 86 donne (28%). Particolare attenzione meritano le ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018 che, per la prima volta, hanno visto il debutto delle quote di genere. Infatti la legge n.165/2017, nota anche come Rosatellum, prevede il bilanciamento della presenza dei due sessi all'interno delle liste dei candidati. Per favorire la rappresentanza di uomini e donne, nei collegi plurinominali l'elenco dei candidati di ciascuna lista deve seguire l'alternanza di genere ed inoltre nel complesso dei collegi uninominali e nelle posizioni di capolista nei collegi plurinominali i candidati di ciascun genere devono essere compresi tra il 40% e il 60% del totale (a livello nazionale per la Camera, a livello regionale per il Senato).

Certamente la nuova normativa nazionale, che tarda a decollare, dovrà essere armonizzata con la recente legge costituzionale 19 ottobre 2020, n.1 che prevede la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi.

Nella storia della Repubblica le donne hanno continuato, di fatto, a non godere di una pari possibilità di competere nell'assegnazione di seggi nelle istituzioni rappresentative ad ogni livello di governo. Per superare queste barriere e favorire l'effettiva parità di accesso alle donne alle cariche elettive, è stata introdotta una misura specifica: la cosiddetta "quota rosa". Con questa espressione si intende la riserva, all'interno delle liste elettorali, di candidature destinate a candidati di sesso femminile.

Una significativa svolta in questo faticoso percorso si è avuta con la citata legge n.165/2017 che, in merito alla rappresentanza di genere, recepisce quanto già previsto nella l. n. 52 del 2015 riguardo l'introduzione della misura delle "quote rosa" relativamente alla formulazione delle liste. Il Rosatellum ha stabilito che ciascun partito predisponga presso ogni collegio una lista di candidati rigida "corta", cioè costituita da un minimo di due ad un massimo di quattro candidati che siano alternati per genere. A tutela di tale rappresentanza prevede, altresì, che nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione nei collegi uninominale, nessuno due generi possa essere rappresentato in misura superiore al 60%.

In occasione della tornata elettorale del 4 marzo 2018 è stato evidenziato come, pur rispettando le percentuali all'interno delle liste, i collegi uninominali sicuri hanno visto al primo posto candidati di sesso maschile, mentre i collegi plurinominali hanno visto pluricandidature femminili che, potendosi aggiudicare un solo collegio, la doppia eletta portasse con sé l'elezione dei secondi della lista, quasi sempre uomini.

Attualmente è all'esame del Parlamento una nuova legge elettorale che tarda a decollare per il mancato accordo tra le forze politiche. Comunque, il progetto di legge del precedente governo (c.d. germanicum), prevalentemente a carattere maggioritario, potrebbe essere portato quanto prima dal nuovo governo Draghi all'attenzione delle Camere, tuttavia si ritiene, ragionevolmente, che il nuovo testo normativo non intaccherà il rispetto del principio delle quote di genere.

Il tema della rappresentanza di genere nelle istituzioni politiche rappresentative, infatti, si inserisce in un contesto per lungo tempo refrattario all'istituzione di strumenti normativi volti al riequilibrio tra i sessi nell'accesso alle cariche elettive.

Significativa al riguardo è la sentenza della Corte costituzionale n.422 del 12 settembre 1995, con la quale si precisò -in termini tassativi- l'assoluta irrilevanza giuridica del sesso ai fini tanto della eleggibilità quanto della stessa candidabilità, intesa come condizione pregiudiziale e necessaria alla eventuale elezione, reputando contraria alla formulazione originaria dell'art. 51, primo comma, Cost. ed al principio di uguaglianza formale tra i sessi di cui all'art. 3, primo comma, Cost. ogni altra norma nazionale, regionale o locale che imponesse, nella presentazione delle candidature alle cariche elettive, "qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati".

Il mutamento di prospettiva è stato avviato con l'adozione, nel corso dei primi anni duemila, di tre diverse leggi costituzionali, le quali si basano su un principio di uguaglianza sostanziale nell'ottica della valorizzazione della pari dignità sociale.

Ma è con le leggi costituzionali 18 ottobre 2001, n.3 e 30 maggio 2003, n.1, che la prospettiva dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica, seppur in termini diversi, trova ingresso nel nostro ordinamento giuridico. Tale duplice intervento ha per un verso introdotto una prescrizione puntuale in forza della quale la fonte legislativa regionale, promuove «la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive» (art. 117, settimo comma, Cost. cit.). E, per altro verso, ha modificato l'art. 51 Cost. aggiungendo al primo comma la previsione generale per cui, in funzione di un accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive da parte dei cittadini retto da un criterio di assoluta uguaglianza tra i sessi, «La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».
Ma, sul versante nazionale, l'ingresso di misure in tema di rappresentanza politica di genere avviene solo con il sistema elettorale di cui alla l. 6 maggio 2015, n.52 (c.d. Italicum), che non è mai entrata in vigore per le note vicende referendarie.

Mentre, sul versante della legislazione regionale, solo di recente è stata accolta la prospettiva costituzionale della democrazia paritaria, seppure con intervento rivelatosi riduttivo e marginale, in relazione alla effettività e cogenza degli strumenti sanzionatori.

Si osserva anche che la trasformazione del quadro costituzionale ha innescato un immediato cambiamento di prospettiva da parte della Corte costituzionale sui temi di accesso alle cariche elettive in funzione del riequilibrio della rappresentanza politica tra i sessi. Infatti, le nuove formulazioni di cui agli artt. 51, primo comma, e 117, settimo comma Cost., hanno posto le basi di un nuovo corso nella giurisprudenza costituzionale in argomento, che ha preso avvio con la sentenza n.49 del 2003 e si è consolidato con la sentenza n.4 del 2010.

In particolare, con la sentenza n.49/2003, la Corte costituzionale ha rivisto il proprio orientamento con un revirement giurisprudenziale e ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale avanzata nei confronti di una previsione della legge elettorale della Valle d'Aosta che stabiliva come condizione di validità, ai fini della formazione delle liste elettorali, la presenza di candidati di entrambi i sessi, essendo sufficiente quindi la presenza in lista di un solo candidato dell'altro sesso, indipendentemente dalla sua collocazione interna.

E' tuttavia con la citata sentenza n. 4 del 2010 che la Corte costituzionale ha stabilizzato il mutamento di prospettiva sugli strumenti a sostegno della parità di accesso alle cariche elettive, dichiarando in particolare la non fondatezza della questione di legittimità inerente ad una misura dall'impatto più significativo sul piano del riequilibrio della rappresentanza di genere.

Tuttavia, la stessa Corte prende atto della intrinseca inadeguatezza di siffatti strumenti normativi promozionali di fronte alle "resistenze culturali e sociali, ancora largamente diffuse" nel Paese, qualora non accompagnati da un processo di crescita culturale da parte del mondo politico realmente indirizzato nel senso di una presenza paritaria tra i sessi nelle istituzioni rappresentative.


Il difficile approccio delle normative regionali ed il caso emblematico della Puglia

Con la l. n.165 del 2 luglio 2004 il Parlamento ha approvato le disposizioni di attuazione dell'art. 122, primo comma, Cost. concernente il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali.
Infatti, il citato art. 122, primo comma, così recita: «Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge dalla Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi».

In particolare, l'art. 4 della menzionata l. n. 165/2004 prevede che: "Le Regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della giunta regionale e dei consiglieri regionali" nei limiti di alcuni principi fondamentali:
1) qualora la legge elettorale preveda l'espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l'espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato diverso, pena l'annullamento delle preferenze successive alla prima;
2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenze, la legge elettorale disponga l'alternanza tra candidati di sesso diverso;
3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l'equilibrio tra candidature presentate in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.

Ma nonostante questo inequivocabile dettato normativo, prima delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020 erano sei le regioni inadempienti: Puglia, Liguria, Piemonte, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, a queste si aggiungeva la Provincia autonoma di Bolzano; in due casi, Puglia e Liguria, si è votato il 20 e 21 settembre.

Vi è, anche, da rilevare che in Piemonte e Calabria, altre due regioni inadempienti, dove si è votato nel 2019 e 2020, nessun organo giurisdizionale ha messo in discussione la legittimità dei risultati elettorali.

Ma, inaspettatamente, il Governo il 25 giugno 2020, anche su sollecitazione del Ministro per le Politiche Agricole e di quello per gli Affari Regionali, ha deciso di imporre alle Regioni ancora inadempienti il correttivo di genere alla legge elettorale.

Si è trattato di una scelta politica, non tradotta in una norma effettiva: l'intenzione era quella di inserire un articolo ad hoc in un provvedimento legislativo, per aggirare l'iter consiliare e, di fatto, riformare le leggi elettorali regionali. Di conseguenza, inevitabilmente, i partiti e movimenti politici sarebbero stati costretti a correggere la composizione delle liste.

L'intervento governativo avrebbe potuto trovare la sua giustificazione nell'art.117 della Carta costituzionale secondo cui le leggi regionali promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. Il secondo comma, lettera m), precisa, che lo Stato ha una competenza esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».

Tuttavia, un intervento del genere sarebbe stato senza precedenti e avrebbe potuto creare tensioni nei rapporti con le Regioni e, astrattamente, le stesse avrebbero potuto impugnare la norma statale. Inoltre, anche un singolo candidato non eletto avrebbe potuto presentare ricorso ed il giudice adito sollevare la questione di legittimità costituzionale, in quanto non manifestamente infondata.

Proprio per questo, al fine di evitare un'imposizione dall'alto, in data 3 luglio scorso, il Presidente del Consiglio ha inviato una lettera ai Governatori delle regioni che, a distanza di quasi cinque anni, non si sono adeguati alla norma nazionale, con la quale li ha invitati con la massima urgenza ad allinearsi a tale normativa per "garantire l'equilibrio di rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali". La Regione Liguria ha ottemperato a questa direttiva, ma non la Puglia.

A seguito dell'ennesima inadempienza del Consiglio regionale pugliese, verificatasi il 28 luglio scorso, «Il prefetto di Bari Dott.ssa Antonella Bellomo è [stato] nominato commissario straordinario allo scopo di provvedere agli adempimenti» necessari all'adeguamento del sistema elettorale della Puglia alla l. n. 20/2016 ed ai principi di parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive: così recita l'art. 1, comma 3, del d.l. approvato dal Consiglio dei ministri il 31 luglio 2020, n.86, convertito nella l. 7 agosto 2020, n.98. (Disposizioni urgenti in materia di parità di genere nelle consultazioni elettorali delle regioni a statuto ordinario).

Il decreto è autoapplicativo: stabilisce che il mancato recepimento nella legislazione regionale dei principi fondamentali fissati dall'art. 4 della citata legge n. 165/2004, come modificata dalla l. n. 20/2016, «integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all'art.120 della Costituzione e, contestualmente, costituisce presupposto per l'assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate». Poi, «al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l'unità giuridica della Repubblica» introduce in Puglia, unica ancora inadempiente tra le Regioni che sono andate al voto il 20 e 21 settembre scorsi, la doppia preferenza di genere, ovvero che ciascun elettore possa esprimere due voti di preferenza, di cui una riservata ad un candidato di sesso diverso dall'altro. Il provvedimento affida dunque al commissario straordinario gli adempimenti conseguenti per l'attuazione del decreto, ma anche «la ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili» con la legge nazionale.

E' la prima volta nella storia della Repubblica che il governo esercita i poteri sostitutivi ed il principio richiamato è quello della «tutela dell'unità della Repubblica» in vista delle tornate elettorali imminenti, nonché quelli di cui all'art. 8 della l. 131 del 2003 ed alla sentenza Corte costituzionale n. 361/2010.

Il rispetto del criterio della necessità ed urgenza previsto dal secondo comma dell'art. 77 Cost. per l'emanazione dei decreti legge ha fatto sì che il testo limiti la propria validità alla sola Puglia e non anche alle altre due Regioni inottemperanti a statuto ordinario, Calabria e Piemonte.

In data 3 agosto 2020 il Prefetto di Bari ha firmato un "decreto di ricognizione" trasmesso agli uffici regionali. Il provvedimento dà attuazione alla menzionata l. n.98/2020 di attuazione dell'art. 120 Cost., inserendo solo la doppia preferenza di genere nel sistema elettorale pugliese. Non sono, quindi, state accolte le interpretazioni estensive proposte dalla Consigliera di pari opportunità della Puglia e da più parti politiche del vincolo di rappresentanza di genere in lista del 60-40%. La proporzione è prescritta, ma, in caso di violazione, si applica soltanto una sanzione pecuniaria; in sostanza non si determina l'inammissibilità della lista, né la cancellazione dei nomi dei candidati sino a soddisfare il rapporto 60-40%, come avviene, invece, nelle elezioni comunali. Dopo il provvedimento del Prefetto, il Presidente della Regione ha firmato i quattro decreti che hanno dato formalmente l'avvio alla consultazione elettorale.


Il conseguente contenzioso giurisdizionale nella regione Puglia con riferimento alla parità di genere

Come era ampliamente prevedibile, alcune Associazioni che promuovono la parità di genere, che contestavano "l'ammissione delle liste che non avevano osservato l'obbligo di composizione in un rapporto almeno del 60/40% tra i generi" previsto dalla legge n.98/2020, hanno presentato ricorso giurisdizionale al TAR della Puglia.

In particolare, è stato chiesto al TAR di sollevare la questione di legittimità costituzionale, chiamando in causa sei seggi di consiglieri eletti nelle liste di Forza Italia e Puglia Domani, che non avevano rispettato la proporzione di genere in tre delle sei circoscrizioni (Bari, Foggia, Lecce).

I giudici pur ammettendo che le due liste "non hanno rispettato la proporzione di genere tra le candidature in alcune circoscrizioni […]", hanno rigettato il gravame "perché infondato". Con sentenza n. 95 del 16 gennaio 2021, il TAR Puglia ha statuito che il ragionamento delle ricorrenti "per quanto suggestivo e rispondente a condivisibili obiettivi di più efficace tutela del principio qui in discussione, non può dare accesso al giudizio di legittimità costituzionale".

"Dalle norme costituzionali – si legge nella sentenza – emerge l'affermazione di principi di ordine generale, la cui attuazione concreta è rimessa alla discrezionalità del giudice ordinario" e, in particolare, "il sistema di elezione degli organi regionali va ascritto alla competenza legislativa concorrente". Siffatta attuazione, "Non può essere, cioè, intesa nel senso di imporre nel dettaglio le modalità del rispetto delle cosiddette quote rosa nel sistema elettorale regionale".

I giudici, nel caso specifico, ritengono che gli uffici elettorali hanno dovuto ammettere tali liste, stante la mancata previsione nell'attuale legge regionale di un meccanismo che consenta di intervenire a monte. Di conseguenza, è rimasta la sproporzione tra i candidati di sesso diverso e non sono state garantite le effettive pari opportunità di partecipazione alle consultazioni, in quanto non vi è alcuna norma statale o regionale che impedisca a quelle liste di partecipare alla competizione elettorale. V'è di più che la legge nazionale consente alle Regioni di modulare le sanzioni come meglio credono (la Puglia prevede una multa sui contributi ai gruppi politici inadempienti).

I legali delle Associazioni ricorrenti hanno affermato che continueranno la battaglia per le donne pugliesi rivolgendosi al Consiglio di Stato, contestando "l'ammissione delle liste che non hanno osservato l'obbligo di composizione delle liste in un rapporto almeno del 60/40% tra i generi" previsto dalla legge regionale.

Gli stessi legali hanno affermato che "Ciò che più lascia perplessi è che il TAR abbia negato l'accesso alla Corte Costituzionale, nonostante abbia riconosciuto l'inadeguatezza della legge pugliese. L'esperienza, tuttavia, ci dice che i giudizi elettorali non si fermano mai al primo grado. Per questo non ci fermeremo, appelleremo la sentenza, fiduciosi nel Consiglio di Stato, prima, e nella Corte Costituzionale, poi. Restiamo convinti che in un ordinamento democratico nel quale la legge suprema è la Carta costituzionale, tutti gli organi debbano soggiacere ai principi da essa posti".


Conclusioni

Al di là delle considerazioni di carattere politico, l'intervento del Governo è da ritenersi un passo avanti ed un segnale significativo, nonostante l'attuale assenza di previsioni vincolanti in ordine alle conseguenze del mancato rispetto delle quote di genere.

In Italia le forze politiche hanno dimostrato, negli ultimi anni, una maggiore sensibilità sul tema delle "quote rosa" e il risultato si può verificare osservando la posizione dell'Italia nella classifica dei Paesi UE dedotta dalla presenza femminile in Parlamento: il nostro Paese è quattordicesimo, secondo quanto rilevato dall'edizione 2020 del "Gender equality index", la ricerca elaborata dallo "European Institute for gender equality" che misura la disparità di genere in tutti i settori della società.

Si deve ritenere, pertanto, che le censure delle Associazioni, che promuovono la parità di genere, pugliesi siano meritevoli di considerazione al fine di richiedere l'esame del "giudice delle leggi".

In conclusione, la parità di genere, anche nelle rappresentanze politiche, non è – ad avviso della scrivente- una concessione che gli uomini fanno alle donne. Infatti, il genere femminile non porta solo nelle istituzioni una diversa sensibilità, ma soprattutto crea una prospettiva differente sulla nostra convivenza civile, sulla sua organizzazione e sui cambiamenti necessari. L'apporto della donna in politica è un enorme contributo in termini di approccio che, scevro dalle vecchie logiche di potere, deve, come tale, essere valorizzato sempre più, non in termini minoritari o come "specie protette", ma con autorità e capacità di influenza, per il dovere di esserci.

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