Professione e Mercato

Emergenza coronavirus: per la fase 2 vince lo studio in grado di fare rete

di Antonello Cherchi e Valeria Uva

Anche gli studi professionali, che pure non hanno mai chiuso del tutto (se non in certe zone), si preparano alla fase 2. Per quanto con le peculiarità proprie di ciascuna categoria, avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e notai puntano sulla tecnologia: smart working e videoconferenze, che hanno consentito la prosecuzione dell’attività nel primo periodo dell’emergenza, contineranno a funzionare, sia per garantire una turnazione in sicurezza presso gli studi, sia per mantenere i contatti con i clienti. L’uso più consapevole della tecnologia è una delle eredità di questa crisi che rimarrà anche con il graduale ritorno alla normalità e rappresenterà un elemento su cui avviare un ripensamento delle professioni.

Avvocati

«Sicuramente è un’occasione - commenta Maria Masi, presidente facente funzioni del Consiglio nazionale forense - per emanciparsi da sistemi tradizionali di lavoro e di comunicazione». Per esempio, le videoriunioni con alcuni clienti «saranno probabilmente utilizzate per ottimizzare i tempi», ma con la raccomandazione che «il rapporto tra cliente/assistito e avvocato ha natura fiduciaria ed è caratterizzato da aspetti “empatici” non trascurabili».

Per Luigi Pansini, segretario dell’Associazione nazionale forense (Anf),«l’inizio della fase 2 sembra imminente e si renderà necessario un protocollo unico di comportamento per tutti i tribunali, altrimenti sarà il caos». È prevedibile l’adozione di soluzioni miste con attività da remoto e in studio e una turnazione delle presenze. L’emergenza sanitaria ha poi «evidenziato la fragilità dell’assetto e dell’organizzazione della professione forense»: occorre una riflessione che si concentri, tra l’altro, sulle aggregazioni e le reti professionali.

Commercialisti

Si dovrà valutare se entrare nella fase 2 converrà economicamente. Per esempio, capire se gli studi potranno rispettare le misure di sicurezza. «Un eventuale obbligo di sanificare gli ambienti due volte al giorno - spiega Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti - può comportare, infatti, costi superiori ai benefici della riapertura».

Le videoconferenze saranno un lascito di questo periodo, così come il lavoro a distanza e la consapevolezza che di fronte a contraccolpi simili sono gli studi piccoli a soffrire di più e che, sottolinea Miani, «studi associati e processi di aggregazione pagano».

È preferibile che in questo momento lo studio non riapra ai clienti: «Se sarà necessario - afferma Maria Pia Nucera, presidente dell’Associazione dottori commercialisti (Adc)- saremo a noi a recarci da loro». Certo, le difficoltà non mancano, come i servizi in comune: nello studio, infatti, libri e carte devono essere consultati da tutti. Nella fase 2 e pure dopo la tecnologia sarà fondamentale, «ma - prosegue Nucera - abbiamo bisogno di un aiuto statale non simbolico per i costi della transizione».

Consulenti del lavoro

Travolti dalle richieste (prima per lo smart working e poi per la cassa integrazione), i consulenti hanno gestito i picchi da remoto. «Ma non si può continuare sempre così: in molte zone d’Italia la rete non lo consente - avverte Massimo Braghin del consiglio nazionale - per la fase 2 sarà necessario tornare in studio». Anche Braghin intravede comunque un potenziamento dello smart working per i dipendenti: «Da regolare meglio, con accordi sugli obiettivi, sulla salute e sulla sicurezza». Anche l’assetto degli studi dovrà cambiare. «Non solo per mascherine e distanze - prevede Enrico Vannicola, consulente del lavoro alla guida di Confprofessioni Lombardia - bisognerà misurare la temperatura e prevedere accessi separati per i clienti». Una cosa è già chiara: la necessità di fare rete tra colleghi di diverse competenze. «Nel futuro - prevede Braghin - sempre di più dovremo saper fornire assistenza a 360 gradi, la chiave sarà la specializzazione».«L’emergenza ci ha insegnato che il professionista che si occupa di tutto è un modello che non ha più mercato» aggiunge Vannicola. E indica due strade: uno studio multidisciplinare, oppure la rete esterna.

Notai

La fase 2 significherà grande attenzione alle misure di sicurezza. E anche se ciò per lo studio rappresenterà una complicazione, sarà comunque preferibile all’assetto attuale dove manca il contatto umano. È l’opinione del Consiglio nazionale del notariato, secondo il quale occorrerà ripensare gli spazi, ridurre le presenze concomitanti sui luoghi di lavoro e adottare metodi di protezione dei più vulnerabili. E in questo senso continueranno a essere utili smart working e videoconferenze.

Non solo allargamento delle presenze fisiche negli studi. Sarà necessario anche aprire ai clienti, seppure in modo graduale: «È plausibile - sottolinea Giovanni Liotta, presidente di Federnotai - che gli appuntamenti saranno diluiti nell’arco delle giornate e delle settimane in modo diverso e maggiore che in passato». Lo smart working rimarrà, ma Liotta non reputa «realistico un massiccio impiego di collaboratori tutti i giorni attraverso il lavoro a distanza». La novità della fase 2 potrà essere la videoconferenza «quale strumento alternativo (e talora più efficace) per alcune fasi dell’istruttoria della pratica».

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