Famiglia

L'assegno di mantenimento

di Avv.ti Maria Livia Ferrazza, Michela Orefice e Pina Scialanca

1 - La natura dell'assegno di mantenimento
Il provvedimento economico assunto dal giudice, o liberamente stabilito dalle parti in sede di regolamentazione della crisi famigliare è disciplinato nel nostro ordinamento dall'art. 156 c.c. in sede di separazione personale dei coniugi e dall'art. 5 L.898/70 in sede di divorzio. Va innanzi tutto esaminata la natura delle due previsioni. L' art. 156 c.c. prevede che il Giudice pronunciata la separazione dei coniugi, stabilisce il diritto di ricevere dall'altro coniuge, quanto è necessario per il suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. La condizione per l'ottenimento dell'assegno di mantenimento è determinata dalla non addebitabilità al beneficiario della separazione. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.
L'art. 5 VI comma L. 898/70 dispone che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e a quello comune, del reddito di entrambi e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro, quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive'.


Il D.Lgs 21 del 1 marzo 2018 ha inserito, il comma 6 all'art. 5 della legge del 1970, l'espressione: qualora egli non abbia adeguati redditi propri, è stato pertanto attribuito all'assegno divorzile una funzione meramente assistenziale, subordinando la concessione dell'assegno alla circostanza che la parte beneficiaria non abbia mezzi adeguati o non abbia modo di procurarseli per poter mantenere il precedente tenore di vita. Esaminiamo la differenza che corre tra le due previsioni normative. Innanzi tutto, nella separazione personale dei coniugi il Giudice si trova dinanzi alla valutazione in ordine alla addebitabilità della separazione, difatti ove la separazione sia addebitabile al coniuge avente diritto al mantenimento, è previsto esclusivamente un assegno alimentare determinato ex art. 433 c.c. Escluso il caso di addebito, la determinazione dell' assegno di mantenimento dovrà tener conto “alle circostanze e ai redditi dell'obbligato”, quindi sicuramente al tenore di vita tenuto dalla coppia in costanza di matrimonio. In sostanza nella separazione sussiste la permanenza del vincolo matrimoniale sicché i redditi adeguati, ai quali va rapportato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (rimane attuale il dovere di assistenza morale).
Secondo il consolidato orientamento della Corte, “al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, compito del giudice di merito è accertare, per valutare la congruità dell'assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell'onerato. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti - anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria - rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell'onerato (incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e, nell'esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacità reddituale, l'entrata derivante dalla percezione dell'assegno di separazione.” Ciò significa che il reddito è uno degli elementi e non l'unico a determinare l'assegno di mantenimento.


In sede di divorzio l'assegno deve essere determinato in base ad una serie di valutazioni: contributo personale ed economico di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio, sia personale che famigliare, del reddito di entrambi e della durata del matrimonio, si deve tener conto in breve, della definitività della cessazione del vincolo coniugale; nessun richiamo in ordine alla responsabilità in ordine al fallimento del matrimonio, che sarà quindi valutato dal Giudice relativamente alla determinazione dello stesso.
Quindi nella determinazione dell'assegno di divorzio si tiene conto della definitiva cessazione del vincolo matrimoniale e, la previsione economica di una parte a favore dell'altra ha il solo scopo di garantire all'ex coniuge economicamente più debole, quanto necessario ad essere autosufficiente, per lo meno per il tempo necessario affinché detta autosufficienza sia raggiunta.
In breve sembrerebbe non deversi tenere più conto del tenore di vita avuto in pendenza di matrimonio. Naturalmente inciderà comunque nella determinazione dell'assegno, l'età dell'avente diritto, la durata del matrimonio, senza però si ripete ci debba essere una persistenza al mantenimento del tenore di vita tenuto durante il matrimonio.


2 - L' Orientamento della Cassazione in tema di assegno di mantenimento
Dal 1990 alla Sentenza “Grilli” estesa anche alla separazione - abbandonato il criterio del tenore di vita.
A – concetto di solidarietà post coniugale – tenore di vita goduto in costanza di matrimonio
Presupposto legale per l'attribuzione sia dell'assegno di separazione che di quello divorzile consiste pertanto, nel non avere mezzi o redditi adeguati o comunque di non potersi procurare tali redditi per ragioni oggettive. In altri termini, nel segno di una sostanziale continuità tra vita coniugale e vita post-coniugale, sopravvive il principio di solidarietà economica tra i coniugi anche dopo il divorzio. Tuttavia la giurisprudenza, in merito al concetto di “solidarietà post coniugale”, si è divisa e così, ad un primo orientamento – Cass. del 17 marzo 1989 n. 1322 -
secondo il quale l'obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente, a favore dell'altro, un assegno di mantenimento sorge quando l'altro coniuge è privo di mezzi adeguati propri che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio; è seguito un secondo – Cassazione del 2 marzo 1990 n. 1652 - in cui si è sostenuto che la valutazione sull'adeguatezza dei mezzi economici, o sulla possibilità di poterseli procurare, deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita di cui si è goduto durante il matrimonio ma, alla carenza dei mezzi conseguenti alla dissoluzione del matrimonio. Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere tale contrasto, aderirono, - n. 11490 e 11492 del 1990 - al primo dei due orientamenti. Dal 1990 in poi è dunque prevalso l'orientamento interpretativo secondo il quale a
fondamento della determinazione dell'assegno divorzile deve porsi il “tenore di
vita goduto in costanza di matrimonio”.
B – Inversione di tendenza. Ordinanza 22 maggio 2013 del Tribunale di Firenze - Cass. 9 giugno 2015 n. 11870
Una inversione di tendenza è stata segnata dall'Ordinanza del 22 maggio 2013 n. 239 con cui il Tribunale di Firenze ha posto la questione di legittimità Costituzionale dell'art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 sul presupposto che: “l'obbligo di assegnare al coniuge economicamente più debole un assegno volto a garantire il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio viola il principio costituzionale di ragionevolezza il cui fondamento è nell'art. 3 della Costituzione”
Con la sentenza n. 11 dell'11 febbraio 2015 la Corte Costituzionale, pur non dimostrandosi contraria all'analisi prospettata dal Tribunale di Firenze, dichiarava infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, sul solo presupposto che il tenore di vita goduto durante il matrimonio non deve essere considerato l'unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull'assegno divorzile. Essa ha quindi costituito un'apertura all'interpretazione dell'art. 5. Tuttavia è solo con la sentenza del 9 giugno 2015 n. 11870 che la Cassazione segna uno spartiacque tra le situazioni in cui vi è un'effettiva situazione di bisogno– in cui l'assegno di mantenimento assume una valida giustificazione - e le altre in cui lo stato di bisogno è solo il frutto di un capriccio o della pigrizia – nel cui caso l'assegno va negato.


L'inversione di rotta segnata dalla sentenza di cui sopra consiste pertanto nel ritenere che, indipendentemente dal tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quando si è in grado di lavorare e quindi, di reperire con la propria attività, il reddito necessario per mantenere lo stesso tenore di vita in cui si in costanza di matrimonio, non si ha diritto ad alcun mantenimento. Ciò anche se durante l'unione il coniuge ad es. svolgeva funzioni di casalinga. L'aspetto centrale assume l'onere della prova che è a carico della parte che richiede l'assegno. Sarà quindi quest'ultima a dover dimostrare che sussistono i presupposti e quindi l'assenza di mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio e la impossibilità di procurarsele per ragioni oggettive. In altre parole l'importanza del principio affermato nella sentenza in esame è quello secondo cui la dimostrazione delle difficoltà economica e della impossibilità di procurarsi reddito spetta a chi richiede l'assegno di mantenimento.
Il concetto del “tenore di vita in costanza di matrimonio” non è più, quindi, un concetto statico ma dinamico da valutarsi adeguando il presente al passato e ad un presumibile futuro.
C – Cassazione sentenza n. 1104 del 10 maggio 2017 – abbandono del tenore di vita - criterio dell'indipendenza economica e dell'autoresponsabilità
Il criterio di adeguamento dell'assegno divorzile al tenore di vita viene definitivamente abbandonato con la cd. sentenza Grilli emessa dalla Corte di Cassazione sez. I in data 10 maggio 2017 n. 11504 che muta il proprio orientamento in materia di assegno divorzile e che, partendo dalla premessa che “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano dello status personale dei coniugi”, ha stabilito che “il diritto all'assegno divorzile va riconosciuto alla persona dell'ex coniuge non già in ragione del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, ma soltanto in considerazione di esso ove si valuti positivamente la sussistenza del presupposto della mancanza dei mezzi adeguati o dell'impossibilità di poterseli procurare per ragioni oggettive”. “Scopo del contributo mensile successivo al divorzio – afferma la Corte – non è più garantire (vita natural durante) lo stesso «tenore di vita» goduto durante il matrimonio (se così fosse, le nozze sarebbero un'assicurazione), ma solo l'autosufficienza economica.”
Il nuovo criterio è quindi quello dato dall'indipendenza economica. Restano però le vecchie regole per l'assegno di mantenimento: finché la coppia non è divorziata resta l'obbligo di pagare un assegno rapportato al vecchio tenore di vita.
Nel giudizio di accertamento del diritto all'assegno divorzile però, il parametro di riferimento per valutare l'adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi, ovvero la possibilità-impossibilità a poterseli procurare, non può coincidere con il tenore di vita matrimoniale; parametro quest'ultimo che, secondo il ragionamento seguito dalla Cassazione, collide con la natura stessa dell'istituto del divorzio che è quello di estinguere definitivamente il rapporto matrimoniale, sia dal punto di vista personale che da quello economico – patrimoniale.


In particolare la Corte rileva come a seguito dello scioglimento del matrimonio civile, ovvero alla cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sia per quanto riguarda lo status personale dei coniugi, “i quali devono considerarsi da allora in poi persone singole”, sia con riferimento ai loro rapporti economico patrimoniali, fermi gli obblighi nei confronti della prole derivanti dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Una volta dunque perfezionatasi l'estinzione del rapporto, il diritto all'assegno divorzile viene subordinato all'accertamento “della mancanza dei mezzi adeguati dell'ex coniuge richiedente o, comunque all'accertamento dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.
Viene inoltre ribadito che l'onere della prova grava sul coniuge richiedente cosicché, in concreto, l' accertamento, nelle singole fattispecie, dell'adeguatezza – inadeguatezza dei mezzi e della possibilità-impossibilità di procurarseli può dar luogo solo a due ipotesi 1) Se il richiedente l'assegno possiede mezzi adeguati o è effettivamente in grado di procurarseli, il diritto all'assegno divorzile deve essergli negato tout court; 2) se, invece, lo stesso dimostra di non possedere mezzi adeguati e prova anche che non può procurarseli per ragioni oggettive, il diritto deve essergli riconosciuto. Il criterio dell'indipendenza economica dell'ex coniuge impone quindi allo stesso richiedente di allegare, dedurre e dimostrare, “di non avere mezzi adeguati” e “di non poterseli procurare per ragioni oggettive” .
Il giudizio sull'adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente dovrà pertanto risolversi in un accertamento circa l'eventuale indipendenza economica dello stesso, o sulla sua idoneità ad esserlo, condizioni, queste, che certamente farebbero venir meno il riconoscimento del diritto all'assegno divorzile.


Sulla scorta di tale premessa, pertanto, la Suprema Corte è giunta ad escludere, nel giudizio di valutazione del diritto all'assegno divorzile, il criterio del preesistente tenore di vita in cambio di quello dell'autoresponsabilità, affermando che “non è configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. L'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell'indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente assistenziale – dell'assegno divorzile.”
Ma cosa deve intendersi per indipendenza economica?
Sul punto rilevano alcune pronunce di merito che, all'indomani della innovativa sentenza, hanno fatto applicazione del suindicato nuovo principio. Il Tribunale di Milano sez. IX civile con l' ordinanza del 22 maggio 2017 ha evidenziato che per “indipendenza economica” deve intendersi “la capacità per una determinata persona, adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento - di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”. La soglia stabilita dal Tribunale, perché possa dirsi raggiunta l'indipendenza economica, è di 1.000,00 euro mensili ed inoltre, il Giudice, nel compiere questa analisi, ben può adottare come parametro di riferimento quello rappresentato dall'ammontare degli introiti che, per legge, se non superato consente all'individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato.


Questo perché, l'assegno divorzile non deve tradursi in una impropria misura, finalizzata a colmare eventuali sperequazioni tra i redditi degli ex coniugi, ma nella verifica delle rispettive posizioni, le quali devono essere lette secondo il principio della auto-responsabilità economica di ciascuno dei coniugi, come persone singole; fermo restando l'onere probatorio dell'esistenza del diritto sul richiedente, e sempre salvo l'ulteriore irrinunciabile principio del «non pregiudicare» la possibilità per l'onerato di condurre anch'esso una vita dignitosa.


Il Tribunale di Roma - sentenza 23 giugno 2017 n. 12899 - ha seguito l'orientamento della Cassazione ed ha evidenziato che per la verifica dei criteri dell'an debeatur è il richiedente a dover fornire la prova della insussistenza dei criteri elaborati dalla Corte di Cassazione. Tale principio prevede che sia il richiedente a doversi attivare a dimostrare di aver cercato un lavoro e non può limitarsi a semplici prove generiche e non circonstanziate. Deve infatti dimostrare di essere nell'impossibilità - per impedimento fisico od altro - di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Se dovesse limitarsi a dedurre di aver svolto incarichi occasionali non avrebbe sufficientemente provato di essere nell'impossibilità di svolgere un'attività lavorativa e perderebbe il diritto all'assegno di divorzio. Il Tribunale di Roma ha evidenziato altresì che la scelta di trasferirsi presso la casa dei genitori è dimostrazione di avere una ulteriore disponibilità economica derivante dagli aiuti di quest'ultimi e dalla disponibilità di un domicilio gratuito.
In questo senso la Corte d'Appello di Roma con il decreto 1786/2017 che ha negato alla moglie la richiesta di revisione dell'assegno di mantenimento. La particolarità della sentenza della Corte di appello di Roma è di aver confrontato due situazioni in cui i due coniugi presentavano due redditi tra loro diversi, dove la moglie aveva uno stipendio più basso del marito. Ma poiché questa risultava titolare di immobili, è stata ritenuta comunque «autosufficiente economicamente» e, pertanto, le è stato negato anche l'assegno di mantenimento.


La moglie è stata considerata in grado “per capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, di provvedere con i propri mezzi a sé stessa”. Niente più assegno di mantenimento, quindi. E anzi, la revoca è stata disposta con decorrenza dall'ordinanza presidenziale reclamata: si è così aperta la via affinchè il ricorrente ottenga la restituzione di quanto pagato sino ad allora e non dovuto per mancanza dei presupposti.


Il Tribunale di Venezia, poi, nel di poco successivo decreto n. 4443/2017, ha richiamato anche ulteriori indici dai quali è possibile desumere l'indipendenza economica, ovvero il possesso di redditi propri, l'effettiva capacità e possibilità lavorativa, la disponibilità di un patrimonio mobiliare ed immobiliare, nonché di una stabile abitazione. Il Tribunale di Venezia ha infatti rigettato la richiesta avanzata dalla moglie laureata, considerate le sue capacità e possibilità effettive di lavoro, oltre alla stabile disponibilità della casa familiare assegnatele.


La Cassazione peraltro, con la sentenza n. 11538/2017 , sulla scorta di quella emessa precedentemente, ha precisato che “l'assegno divorzile deve essere disposto in favore della parte istante la quale disponga di redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa”, condizione da valutarsi, in ogni caso, avendo a mente i criteri indicati nella prima parte dell'art. 5 della legge sul divorzio. Con la sentenza n. 12196 del 16 maggio 2017 la Cassazione, riconfermando i principi di cui sopra, ha poi evidenziato che detti criteri valgono esclusivamente nella valutazione di un assegno di divorzio ma non possono essere applicati all'assegno di mantenimento perché è chiaro che, vige una profonda differenza tra il dovere di assistenza coniugale nell'ambito della separazione personale e gli obblighi correlati alla cd. “solidarietà post coniugale” nel giudizio di divorzio.


3 - Sentenza di Cassazione S.U. 18287/18
Nello scenario giurisprudenziale così delineato grande significato giuridico assume la Sentenza dell'11 Luglio 2018 n. 18287 Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili - Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, al quale deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione di un criterio composito, che costituisce il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare “alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla condizione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto”.


Dopo che la sentenza c.d. “Grilli” n.11504/2017 aveva archiviato quel criterio del tenore di vita, cui adeguare l'importo dell'assegno, che per circa trent'anni aveva costituito per gli stessi giudici il riferimento prinicipale, la decisione n. 18287 del 2018 restituisce dignità al valore della vita matrimoniale e al determinante apporto fornito sia alla formazione dei suoi componenti che a quella del patrimonio familiare. Per i giudici di legittimità pertanto è opportuno riconoscere l'apporto dato alla vita familiare dal coniuge economicamente più debole e all'inevitabile squilibrio determinato dal divorzio; ragione per la quale la verifica dell'adeguatezza dei mezzi non potrà essere valutata solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione a quello che si è contribuito a realizzare nello svolgimento della vita familiare e che, sciolto il vincolo coniugale, produrrebbe effetti vantaggiosi a favore di una sola parte.


L'accertamento sulla disparità attuale dei redditi tra le parti non potrà prescindere dalle scelte operate dalla coppia durante la vita matrimoniale, soprattutto laddove questa sia di lunga durata.


Si evidenzia come le Sezioni Unite danno voce al portato dell'art. 29 della Costituzione nel combinato disposto con l'art. 143 c.c. conferendo valore alla solidarietà coniugale e post-coniugale e, quindi alla circostanza che la pregressa vita familiare non può essere esclusa dal giudizio relativo all'assegno divorzile e al fatto che il vincolo matrimoniale abbia prodotto conseguenze nella distribuzione dei ruoli e dei compiti assunti dai due partners.
Non casuale il richiamo delle Sezioni Unite alla sentenza della Corte Costituzionale 11 febbraio 2015 n. 11 sollecitata proprio in sede di denunzia d'illegittimità costituzionale del criterio attributivo dell'assegno di divorzio costituito dal tenore di vita goduto durante il matrimonio.


L'art. 5 comma 6 attribuisce all'assegno di divorzio una funzione assistenziale, riconoscendo all'ex coniuge il diritto all'assegno di divorzio quando non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli da sè per ragioni oggettive. Tuttavia avendo il parametro dell'adeguatezza un carattere relativo, si impone una verifica concreta fondata sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da collegarsi causalmente con la valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5 comma 6.: occorrerà accertare se la disparità economico-patrimoniale tra i coniugi al momento di scioglimento del vincolo coniugale possa discendere dalle scelte di vita familiare adottate e perseguite durante la vita matrimoniale, tali che il sacrificio dal punto di vista reddituale e professionale di una parte abbia consentito e agevolato la crescita professionale e reddituale dell'altro, per un numero significativo di anni e tale che, queto fattore sia determinante nella formazione del patrimonio familiare e/o dell'altro coniuge, tenuto anche conto dell'età del coniuge richiedente e della situazione del mercato del lavoro.


Altro punto di rilievo della ricostruzione operata dalle Sezioni Unite è costituito dal rilievo dato, ex art. 143 c.c. al lavoro casalingo , di cura della casa, di crescita dei figli, di supporto alla crescita della dimensione e realizzazione professionale dell'altro coniuge, da ritenersi su un piano di perfetta parità con l'apporto professionale ed extra-domestico fornito dall'altro coniuge, tantochè, al fine di rendere effettiva la funzione perequativa e riequilibratrice attribuita all'assegno divorzile, sarà essenziale l'accertamento probatorio dei fatti posti alla base della disparità economico patrimoniale delle parti, conseguenti allo sciogliemento del vincolo matrimoniale e rinvenienti una giustificazione causale negli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5 comma 6. Da un punto di vista processuale la parte richiedente l'assegno dovrà fornire la prova del contributo personale dato nel corso del matrimonio con ogni mezzo , anche mediante presunzioni. Di contro la parte che invocherà la riduzione o la eliminazione dell'assegno ,posto originariamente a suo carico dovrà fornire la prova contraria e, quindi, il superamento delle disparità derivanti dalle cause sopra indicate.
In conclusione appare evidente che il tenore di vita durante il matrimonio non è più criterio essenziale su cui fondare la prova. Criteri essenziali risultano invece i parametri oggettivi costituiti dall'età dell'avente diritto all'assegno e dalla durata del matrimonio, dovendosi ritenere che questi rafforzeranno il giudizio di plausibilità del giudice in relazione all'apporto fornito dal coniuge più debole alla vita coniugale. Con riferimento invece alla domanda di revisione dell'assegno divorzile determinato anteriormente all'evoluzione giurisprudenziale recata da Sez.I 10 maggio 2017 n.11504 e Sezioni Unite11 Luglio 2018 n. 18287in ordine alla sua natura e funzione, la I Sez. Civile Corte Cass. con sentenza n. 1119 del 2020 ha affermato che tale mutamento dell'orientamento della Suprema Corte non integra ex se i giustificati motivi sopravvenuti richiesti dall'art. 9 co.1 della L.1 dicembre 1970 n. 898 per la revisione dell'assegno, atteso che, in forza della formazione rebus sic stantibus del giudicato sulle statuizioni c.d. determinative e del carattere meramente ricognitivo dell'esistenza e del contenuto della regula iuris proprio della funzione nomofilattica, che non soggiace al principio di irretroattività, il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi attiene agli elementi di fatto e deve essere accertato dal Giudice ai fini del giudizio di revisione, da rendersi, poi, al lume del diritto vivente.

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