Penale

Ancora in tema di profitto del reato

Con la decisione n. 30206 del 2020 la Suprema Corte conferma alcuni precedenti attesti sul tema del riciclaggio

di Mattia Miglio, Paolo Comuzzi


Nella vicenda che ci occupa, il G.U.P. di Nola aveva escluso la sussistenza della fattispecie di riciclaggio sull'assunto per cui "…il giudice riteneva che gli assegni che il coimputato accusato di avere emesso fatture inesistenti consegnava agli imputati a giustificazione degli importi fittizi non costituivano "profitto" del reato fiscale, che doveva essere individuato nel risparmio di imposta; pertanto le condotte di "gestione" di tali assegni (riconsegna tramite girata o sostituzione con assegni circolari) non potevano integrare né il reato di favoreggiamento reale, né quelli di riciclaggio e reimpiego, dato che tali illeciti avrebbero dovuto avere come oggetto il "profitto" del reato fiscale …".

Tale decisione viene confermata dalla Suprema Corte, la quale ricorda che il profitto del reato è costituito dal risparmio di imposta, ovvero dalla somma che il contribuente non deve versare all'erario in quanto inserisce in contabilità e poi porta come costo deducibile un onere che tale non è, poiché trova fondamento in una fattura oggettivamente falsa ovvero emessa per una prestazione che possiamo dire non esistente (in tutto o in parte).

Scorrendo le motivazioni, si precisa infatti che non rientra nella nozione di profitto del reato la somma che il soggetto ricevente la fattura falsa consegna alla controparte per dare una parvenza di sostanza alla transazione, costituendo profitto del reato solo il risparmio di imposta che insorge a seguito della deduzione di questo costo: "…In materia è stato affermato, con giurisprudenza che si condivide, che non costituiscono il profitto del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 274 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) le somme fittiziamente fatte pervenire ad una società per dare parvenza di effettività all'emissione, da parte della stessa, di fatture relative ad operazioni inesistenti, in quanto il profitto del predetto reato coincide con il risparmio di imposta che si ricava attraverso l'annotazione in contabilità e successiva indicazione delle anzidette fatture nelle prescritte dichiarazioni fiscali …".

Ne consegue così che la somma pagata alla controparte (colui che ha emesso la fattura falsa) non risulta avere provenienza delittuosa e quindi che "…non è configurabile né il reato di riciclaggio né la condotta illecita prevista dall'art. 12 quinquies D.L. n. 306 del 1992, conv. in legge n. 356 del 1992 …"; ragion per cui la movimentazione delle somme trasferite all'emittente e che questo soggetto potrebbe anche consegnare al ricevente della falsa fattura non sono tali da configurare il reato di riciclaggio.

In conclusione, l'impostazione appena riportata risulta conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "non integra il delitto di riciclaggio l'operazione consistita nel versamento sul proprio conto corrente di un assegno bancario giustificativo del pagamento di una fattura ed il successivo prelievo di una parte della somma versata con la restituzione all'emittente il titolo, funzionale ad ostacolare l'identificazione del delitto di fatture per operazioni inesistenti. La corte ha rilevato la carenza del presupposto per ritenere configurabile il delitto di riciclaggio e cioè la provenienza da delitto del denaro versato sul conto (Sez. 2, n. 41499 del 24/09/2013 - dep. 08/10/2013, Caldart, Rv. 257428) …".

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