Penale

Decreto sicurezza: "porti chiusi", l'inosservanza dei divieti di sbarco in acque territoriali diventa reato

Spunta la criminalizzazione della violazione del divieto ministeriale di ingresso e transito delle navi in acque territoriali italiane.

di Aldo Natalini

“Porti chiusi”: d’ora in poi è reato trasgredire agli ordini del Viminale che però non si applicano alle operazioni di soccorso in mare, sempre scriminate.

Tra le novità del Dl n. 130/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 173/2020 spunta la criminalizzazione della violazione del divieto ministeriale di ingresso e transito delle navi in acque territoriali italiane.

La previsione - già in vigore dal 22 ottobre scorso, essendo stata introdotta all’articolo 1, comma 2, del decreto, in parte qua non modificato dal Parlamento - nonostante la sua rilevanza dal punto di vista della politica penale dell’immigrazione è passata del tutto inosservata nel dibattito - politico e mediatico - che ha preceduto ed accompagnato l’atteso varo del decreto immigrazione-sicurezza, divenuto ormai legge dello Stato.

 

Dal Dl “sicurezza-bis” al Dl 130/2020

Come noto, ai fini dei controlli di frontiera marittima, l’art. 1 del Dl n. 53/2019, convertito, con modificazioni, in legge n. 77/2019 (“decreto sicurezza-bis”, varato su proposta dell’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini) aveva attribuito al Viminale la facoltà di “chiudere i porti”, ovvero, tecnicamente, di vietare (o limitare) l’ingresso e la sosta delle navi nelle acque territoriali italiane in due ipotesi:

- per (generici) motivi di ordine e sicurezza pubblica;  

- per il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero (articolo 19, comma 2, lettera g), della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare) ove pregiudicato dal carico e scarico di naufraghi-migranti in violazione delle leggi d’immigrazione

Era stata quest’ultima previsione a legittimare, nel 2019, l’emanazione di varie direttive ministeriali - dapprima generali poi “ad navem”­- emanate ex articolo 11 del Testo unico immigrazione contestualmente o immediatamente dopo ogni soccorso effettuato dalle ONG, ritenute responsabili dal Viminale di condotte descritte per lo più in termini di “possibile strumentalizzazione degli obblighi internazionali in materia di serach and rescue (SAR).

In taluni casi i divieti determinarono il prolungato stallo di decine e decine di migrati a bordo delle imbarcazioni delle ONG, in attesa delle determinazioni politiche sulla loro ripartizione, con avvio, in taluni casi, anche di procedimenti penali: si pensi, per tutti, al noto caso Sea Watch 3 (sulla fattispecie cautelare relativa alla non convalida dell’arresto della capitana Rackete per il reato di resistenza a nave di guerra in relazione al ravvisato dovere di soccorso in mare vedi Cassazione, Sezione III penale, n. 6626/2020, con commento di Clara Trapuzzano Molinaro, «Caso Sea Watch 3: l'illegittimità dell'arresto in flagranza compiuto in presenza di "verosimile" rappresentazione» qui pubblicato).

 

Dalla sanzione amministrativa al reato

Alla violazione degli ordini ministeriali, fino al 21 ottobre scorso, era connesso un regime amministrativo-sanzionatorio divenuto particolarmente afflittivo all’esito della conversione in legge n. 77/2019: si prevedeva la sanzione amministrativa pecuniaria da 150.000 a 1.000.000 euro (aumentata dal Parlamento 15 volte nel minimo e 20 volte nel massimo rispetto al testo del Dl) e la confisca obbligatoria della nave utilizzata per la violazione.

L’articolo 1, comma 2, del Dl n. 130/2020, nel “riallocare” - confermandole - dette attribuzioni ministeriali (che sono state del pari espunte dal testo unico dell’immigrazione ma qui riproposte “tal quali”), rivede l’apparato sanzionatorio che era stato oggetto anche dei preoccupati rilievi del Quirinale in punto di sproporzionalità (vedi comunicato ufficiale in www.quirinale.it/elementi/32099 ).

In particolare il provvedimento d’urgenza, convertito, sul punto, senza modificazioni in legge n. 173/2020, “alleggerisce” il previgente carico sanzionatorio ma trasforma la violazione dei divieti ministeriali da illecito amministrativo a rango di reato: d’ora in poi in caso di inosservanza del divieto o del limite di navigazioneeventualmente fissato (in via generale o ad navem) dal Ministro dell’interno è punito “ai sensi” dell’articolo 1102 del Codice della Navigazione, cioè con la reclusione (da quindici giorni) fino a due anni e con la multa (qui autonomamente determinata) da euro 10.000 ad euro 50.000.

 

Natura e contenuto del reato di mera inosservanza

Il reato di nuovo conio, formalmente in vigore, perché sia concretamente contestabile suppone l’emanazione dei provvedimenti ministeriali di divieto, ai quali offre presidio penale in ottica meramente sanzionatoria. Fintantoché detti provvedimenti non saranno emanati - e ad oggi il Viminale non risulta aver esercitato tale facoltà - il delitto è “monco”, perché mancante della regola di condotta materiale fissata ab externo.   

Trattasi di reato di mera disobbedienza, integrato dalla semplice inosservanza dell’ordine ministeriale.

Ha natura formale di pericolo e si consuma istantaneamente nel luogo e nel tempo ove avviene la (prima) violazione cioè all’atto stesso dell’ingresso in acque territoriali - rilevanti anche a fini di giurisdizione (articolo 4 del Codice penale) - anche se poi, in concreto, può avere effetti permanenti che si protraggono fin quando perdura la condotta inosservante (la sosta).

Poiché ha natura delittuosa, è punibile solo a titolo di dolo, consistente nella coscienza e volontà di disobbedire ad un ordine amministrativo (legalmente dato per ragioni di ordine o sicurezza pubblica o legate a violazioni delle leggi sull’immigrazione) di cui il soggetto agente - naturaliter il comandante della nave - sia venuto a conoscenza attraverso qualsivoglia canale di diffusione, ivi compresi gli ordini esecutivi (alt!) intimati ai limiti delle acque territoriali dalle autorità militari e di pubblica sicurezza preposte ai controlli di frontiera marittima.  

Quanto agli istituti processuali, non è consentito né l’arresto (neppure facoltativo) né il fermo. È procedibile d’ufficio ed è di competenza del Tribunale monocratico a citazione diretta.

 

La non punibilità del divieto alle operazioni di soccorso in mare

Una rilevante novità che marca ideologicamente la differenza di impostazione del Dl in commento rispetto al Dl Sicurezza-bis sta nell’espressa esclusione dell’applicabilità dei (pur riconfermati) divieti (o limitazioni) ministeriali di transito e sosta di navi nel mare territoriale «nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione della Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria» reso esecutivo dalla legge n. 146/2006 (articolo 1, comma 2, secondo periodo, Dl n. 130/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 173/2020).

Dunque, viene coniata una sorta di scriminante procedurale secondo la quale: da un lato la tempestiva comunicazione delle operazioni di soccorso dei naufraghi alla centrale operativa dell’IMCRC, dall’altro il rispetto delle indicazioni impartite dall’Autorità SAR competente in osservanza degli obblighi internazionali in materia di diritto del mare, delle norme della CEDU e di quelle internazionali, unionali e interne in tema di diritto d’asilo) eliminano l’antigiuridicità alle condotte di transito e sosta in acque territoriali, ove fatte oggetto di previo divieto (generale o ad navem).

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