Civile

Il riconoscimento della filiazione verso due madri spetta al legislatore

Corte costituzionale, sent. 4 novembre 2020, n. 230

di Valeria Cianciolo *

Nietzsche diceva che tutto nella donna è un enigma e tutto nella donna ha una soluzione. Che si chiama gravidanza.

Se la maternità è un dato visibile, è anche vero che l'uomo ha impiegato un certo tempo a rendersi conto che anche lui aveva una parte nella generazione. La "paternità" resta tangenziale, un dato esclusivo. Essere padre suggerisce il fornire gli spermatozoi che fecondano l'uovo. Essere madre implica una presenza continua, protratta per almeno nove mesi, e poi per anni. Alla maternità si giunge prima attraverso un rito di passaggio di grande intensità fisica e psichica – gravidanza e parto – e in seguito, con l'apprendimento delle cure necessarie al bambino, che non si conoscono per istinto.

E dunque, la circostanza che le funzioni tradizionalmente svolte da una sola donna possano essere adempiute da soggetti diversi, (la madre genetica che mette a disposizione l'ovocita e la madre gestante che accoglie l'embrione), scalfisce una certezza che parte dalla notte dei tempi. Quello della derivazione materna.

Il concepimento è diventato una pratica trasversale che va al di là dei sessi, dei generi e delle età: non è una provocazione, sebbene il significato sia molto forte, ma stiamo entrando in un'era in cui a dettare legge non è la natura, ma la scienza.

I concetti tradizionalmente unitari di maternità e paternità hanno subito un declino: oggi si possono avere una madre e/o un padre "giuridici", se fra i due e il figlio sia sorto uno iuris vinculum; "biologici", se lei ha partorito il figlio ovvero lui ha fecondato la madre a seguito di un rapporto sessuale; "genetici", se è stato l'ovulo di lei ad essere fecondato o il seme di lui a fecondare; "sociali", qualora lei o lui abbia o eserciti di fatto la responsabilità genitoriale sul figlio.

Il tema è particolarmente delicato, perché le tecniche di riproduzione medicalmente assistita hanno posto alcuni interrogativi su cui l'essere umano non si era mai trovato a riflettere e per i quali, dunque, difetta di strumenti.

Inizia ad essere forte il convincimento che il parto finisca per perdere la sua funzione rivelatrice rappresentando l'evento terminale di una complessa sequenza.

La giurisprudenza del nostro Paese ha lanciato spiragli di apertura,- seppur a macchia di leopardo - alla trascrizione/rettifica in Italia di atti di nascita esteri con indicazione dell'omo-genitorialità e ciò ha conseguentemente, alimentato le aspettative delle coppie del medesimo sesso di ottenere dall'ufficiale di stato civile italiano la formazione di un atto di nascita con indicazione della doppia maternità/paternità. Per dare maggiore contezza di quanto appena detto, (senza alcuna pretesa di esaustività si intende) si segnalano i decreti Trib. Livorno 14 novembre 2017 che ordina la rettifica degli atti di nascita con indicazione dei due padri conformemente agli atti di nascita californiani e Trib. Roma 11 maggio 2018 nel quale trattandosi di minori italoamericani, si invoca l'art. 65, L. n. 218/1995 riferendolo anche agli atti di nascita).

Particolare è il caso affrontato da App. Milano 28 ottobre 2016, che riguarda la nascita attraverso GPA, da parto gemellare, di due bambini, figli di uomini diversi. Nell'atto di nascita i bambini, non riconosciuti dalla madre, sono indicati come gemelli pur avendo padre diverso e portano il doppio cognome (del padre e del partner). L'ufficiale di stato civile rifiuta la trascrizione dell'atto di nascita per contrarietà all'ordine pubblico, decisione confermata dal Tribunale di Milano. La Corte d'appello invece, rifacendosi alla Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, ha ritenuto irrilevanti le modalità illecite di concepimento e ordinato la trascrizione con indicazione del riconoscimento paterno da parte di ognuno dei genitori, con la conservazione del doppio cognome imposto al momento della nascita conformemente alla legge californiana (resta anche l'indicazione "gemelli" che ha il solo significato di partoriti contemporaneamente, seppur senza vincoli paterni perché appunto i padri sono diversi).

Il caso. La questione sottoposta all'attenzione della Consulta nasce dall'ordinanza del Tribunale di Venezia del 3 aprile 2019. Le ricorrenti erano unite civilmente e precedentemente, con il consenso espresso della sig.ra Caia, la sig.ra Tizia si era sottoposta, all'estero, a procreazione medicalmente assistita da donatore esterno, in esito alla quale, aveva dato alla luce un bambino. Nonostante la loro congiunta richiesta di essere indicate entrambe quali genitori nell'atto di nascita del bambino, l'ufficiale di stato civile aveva indicato il piccolo come "nato dall'unione naturale di Tizia... con un uomo non parente né affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento ai sensi dell'art. 251 del codice civile".

In particolare, le ricorrenti nel giudizio principale lamentavano che l'ufficiale dello stato civile si era rifiutato di iscrivere nei registri delle nascite il nominativo della madre intenzionale, in aggiunta a quello della madre gestazionale, pur essendo le due madri unite civilmente e avendo portato avanti insieme un progetto di fecondazione assistita all'estero, all'esito del quale era nato in Italia un bambino: la madre gestazionale o biologica, alla quale era stato impiantato il seme di un donatore anonimo terzo, aveva portato a compimento la gravidanza del bambino concepito attraverso tali tecniche di fecondazione eterologa, effettuate nondimeno con il consenso determinante del proprio partner, ossia della madre intenzionale.

Il Tribunale veneziano ha sollevato in riferimento agli artt. 2, 3, commi 1 e 2, 30 e 117, comma 1, Cost., (quest'ultimo in relazione all'art. 24, § 3, della Carta di Nizza, agli artt. 8 e 14 CEDU e alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, con particolare riferimento al suo art. 2), questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui avrebbe limitato la tutela delle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai soli diritti doveri nascenti dall'unione civile, escludendo il riconoscimento della filiazione, e dell'art. 29, comma 2, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui avrebbe limitato la possibilità di indicare nei registri degli atti di nascita il solo genitore legittimo, nonché di quelli che rendono o hanno dato il consenso ad essere nominati, ma non anche alle donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso all'estero a procreazione medicalmente assistita.

Il Giudice delle Leggi preliminarmente afferma quanto già espresso in un'altra sua precedente sentenza (Corte costituzionale, sent. 15 novembre 2019, n. 237), ossia, che pur essendo vero che la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di PMA è legata anche al "consenso" prestato, e alla "responsabilità" conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa (cfr. art. 8 della legge n. 40 del 2004 –i nati a seguito di un percorso di fecondazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che questo percorso ha avviato – e art. 9 della stessa legge che, con riguardo alla fecondazione di tipo eterologo, stabilisce che il coniuge o il convivente della madre naturale, pur in assenza di un suo apporto biologico, non possa, comunque, poi esercitare l'azione di disconoscimento della paternità né l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità), tuttavia, è comunque necessario che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano coppie di sesso diverso.

La Legge Cirinnà riconosce pari dignità sociale e giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso, ma non consente, comunque, la filiazione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore, in quanto dal rinvio che il comma 20 dell'art. 1 di detta legge opera alle disposizioni sul matrimonio (c.d. clausola di salvaguardia) restano escluse, perché non richiamate, quelle, appunto, che regolano la paternità, la maternità e l'adozione legittimante.

Secondo la Consulta, per i contenuti etici che la connotano, la questione non può che chiamare in causa l'intervento del legislatore, quale interprete della volontà della collettività, e degli orientamenti e delle istanze che stimi come maggiormente radicati, in un dato momento storico, nella coscienza sociale.
Alla luce di queste considerazioni, qui sinteticamente esposte, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76.


Mancata trascrizione degli atti di nascita esteri: violazione dell'art. 8 Conv. eur. dir. uomo? Il parere reso dalla Grande Chambre, 10 aprile 2019.

C'è un altro principio internazionale preso in considerazione, ed è la tutela dell'interesse superiore del minore. L'interesse del minore, come è noto, trova riconoscimento in numerosi atti internazionali, il principale dei quali è senza dubbio la già evocata Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, che all'art. 3 prevede che "in tutte le azioni relative ai fanciulli ... l'interesse superiore del minore deve essere una considerazione preminente."

Nel richiamare la giurisprudenza di legittimità e quella comunitaria, un passaggio molto importante sottolineato dalla Consulta è il seguente: "Nello stesso senso la Corte EDU ha recentemente chiarito che gli Stati non sono tenuti a registrare i dettagli del certificato di nascita di un bambino nato attraverso la maternità surrogata all'estero per stabilire la relazione legale genitore-figlio con la madre designata: l'adozione può anche servire come mezzo per riconoscere tale relazione, purché la procedura stabilita dalla legislazione nazionale ne garantisca l'attuazione tempestiva ed efficace, nel rispetto dell'interesse superiore del minore (grande camera, parere 10 aprile 2019)."

Il Parere a cui fa riferimento la Consulta è il «Parere consultivo sul riconoscimento nel diritto nazionale di una relazione di filiazione tra un bambino nato in maternità surrogata praticata all'estero e la madre dell'intenzione» (P16-2018-001) reso nel caso Mennesson ed espresso dalla Grande Chambre per la prima volta ex Protocollo 16, il 10 aprile 2019. Il parere suggella l'esordio del meccanismo di interpretazione preventiva di cui al Protocollo n. 16, firmato, ma non ratificato dall'Italia e destinato ad avere effetti dirompenti in tutti gli ordinamenti degli Stati parti della Conv. eur. dir. uomo – Italia inclusa – che vietano la gestazione per altri e si trovano spesso di fronte ad atti di nascita stranieri indicanti i committenti come genitori.

La famiglia Menesson - costituita da una coppia eterosessuale coniugata, aveva due gemelle ora ventenni e nate attraverso GPA in California - lamentava espressamente la carenza di riconoscimento formale del legame fra le figlie e la loro madre intenzionale.

I quesiti sottoposti dalla Cour de Cassation francese alla Grande Chambre sono i seguenti:
"Rifiutando di trascrivere nei registri dello stato civile il certificato di nascita di un bambino nato all'estero con una GPA, in quanto designante come "madre legale" la "madre intenzionale", mentre la trascrizione dell'atto ha ammesso come "padre intenzionale", il padre biologico del bambino, lo Stato Parte supera il margine di discrezionalità di cui dispone a norma dell'articolo 8 della Convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali?

A tale riguardo, è necessario distinguere tra se il bambino è concepito oppure non concepito con gameti della "madre intenzionale"?

In caso di risposta positiva a una delle due domande precedenti, la possibilità per la madre intenzionale di adottare il figlio del congiunto, che costituisce di instaurare un rapporto di filiazione nei suoi confronti, soddisfa i requisiti dell'articolo 8 della Convenzione? "

La mancata trascrizione degli atti di nascita esteri configura sicuramente un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare, tanto più se coinvolge minori d'età. Resta però da verificare se tale ingerenza possa giustificarsi alla luce del par. 2 dell'art. 8 Conv. eur. dir. uomo.

Nel valutare la legittimità della mancata trascrizione di atti di nascita esteri che imputano la maternità alla committente, la CEDU torna a confrontarsi con l'invocabilità del limite dell'ordine pubblico (internazionale) in sede di riconoscimento ed esecuzione di sentenze straniere in materia familiare (senza peraltro, affrontare questo profilo direttamente), ribadendo il principio di continuità degli status legittimamente acquisiti all'estero.

La Corte nel ricordare come sia fondamentale focalizzarsi sul supremo interesse del minore, prescindendo da ogni altra circostanza, sottolinea come la mancanza di riconoscimento di una relazione di filiazione tra il bambino nato da maternità surrogata praticata all'estero e la madre intenzionale, abbia delle conseguenze negative su diversi aspetti. Da un punto di vista generale, come la Corte ha espresso nelle sentenze Mennesson e Labassee, l'assenza di riconoscimento nel diritto nazionale del legame tra il bambino e la madre intenzionale comporta delle incertezze nell'identità del bambino all'interno della società nella quale vive.

In applicazione del best interest child, con riferimento a casi di surrogazione di maternità, la Corte di Strasburgo, nel valutare il rifiuto di trascrizione degli atti di nascita nei registri dello stato civile francese, ha affermato che il rispetto del migliore interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011).

C'è il rischio che non possa avere accesso alla nazionalità della madre nelle condizioni garantite dalla filiazione, questo può complicare la sua permanenza nel territorio del paese di residenza della madre intenzionale - anche se questo rischio non esiste nel caso di specie, posto che il padre intenzionale è anche il padre biologico ed ha nazionalità francese (sarebbe applicabile l'art. 18 code civil ai sensi del quale "est français l'enfant dont l'un des parents au moins est français.") - i suoi diritti di successori nei confronti di quella persona possono essere diminuiti, come pure, possono affievolirsi i suoi diritti al mantenimento della sua relazione con la madre intenzionale in caso di separazione dai genitori o morte del padre, come pure non è protetto contro il rifiuto o la rinuncia della madre intenzionale di prendersene cura.

La giurisprudenza della CEDU dal suo canto, ha sempre riconosciuto un legame familiare tra i genitori sociali ed i figli nati da GPA a condizione che vi fosse patrimonio genetico di almeno uno dei due e/o una lunga convivenza. (Cfr. Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo e Foulon e Bouvet c. Francia. Già nel 2007 (sent. 28.6.2007, ric. 76240/01, Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo), la Corte era giunta, in sostanza, a imporre allo Stato (Lussemburgo) il rispetto di status validamente acquisiti all'estero (nella fattispecie si trattava dell'adozione legittimante ottenuta in Perù da una cittadina lussemburghese), prescindendo dalla valutazione internazional-privatistica dello Stato stesso (la legge lussemburghese, applicabile in qualità di lex patriae dell'adottante, vietava l'adozione da parte di persone singole).

Il best interest child non deve peraltro, necessariamente realizzarsi attraverso la trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero che indichi la madre intenzionale come madre sociale, sostiene la Grande Chambre. Il rispetto del minore alla sua vita privata può passare anche attraverso l'adozione che crea un legame di filiazione fra la madre intenzionale e il bambino: una procedura di adozione può rispondere a questa esigenza quando le sue condizioni sono adattate e le sue modalità consentono una decisione rapida, in modo da evitare che il bambino si trovi in uno stato di incertezza legale per molto tempo. Va da sé che queste condizioni devono includere, alla luce delle circostanze del caso, una valutazione da parte del giudice per il miglior interesse del bambino.

Alla luce delle considerazioni svolte, la Grande Chambre all'unanimità (ed è una nota da tenere in considerazione poiché la Grande Chambre è cosciente di parlare attraverso il Parere, a tutti gli Stati dell'Unione Europea e quindi, ha voluto in tal modo rimarcare la sua equidistanza da qualsiasi valutazione etica, cosa non affatto scontata visto che sulla materia la giurisprudenza comunitaria non è unanime facendo valutazioni differenti calate sul caso concreto) ha affermato quanto segue: "1.il diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell'art. 8 della Convenzione richiede che il diritto interno offra una possibilità di riconoscimento del legame di filiazione tra il bambino e la madre intenzionale designata nell'atto di nascita legalmente formato all'estero come madre legale; 2. Il diritto al rispetto della vita privata del minore ai sensi dell'art. 8 della Convenzione, non richiede che questo riconoscimento passi attraversi la trascrizione sui registri dello stato civile dell'atto di nascita formato all'estero: può attuarsi attraverso la strada dell'adozione del bambino da parte della madre intenzionale, a patto che i modi previsti dal diritto interno garantiscano l'effettività e la celerità della procedura nell'interesse superiore del minore."

Perché è importante richiamare il contenuto del parere della Grande Chambre dello scorso anno e che la Consulta riprende con riferimento al vulnus che si assume arrecato all'interesse del minore?

Perché in buona sostanza, la Grande Chambre ritiene che sia ammissibile l'attribuzione dello status filiationis sin dall'inizio, ma ciò non è imposto dalla CEDU (par. 52), ma è rimesso alla valutazione discrezionale degli Stati membri. Altrimenti, il meccanismo alternativo previsto a livello nazionale deve rispettare alcune condizioni:

a) Fino al momento del riconoscimento giuridico della relazione madre intenzionale-figlio si determina un periodo di incertezza, anche giuridica (par. 54), e di vulnerabilità per il minore, che deve «essere quanto più breve possibile», per cui il meccanismo prescelto deve garantire «celerità» (par. 55).

b) L'adeguatezza della procedura nazionale deve tenere in considerazione l'interesse del minore considerato in concreto, non in astratto.

c) La procedura nazionale deve consentire di pervenire all'attribuzione dello status «al più tardi» (par. 52) quando la relazione madre-figlio è divenuta una realtà concreta («when it has become a practical reality», «lorsqu'il s'est concrétisé»), concretezza che spetta alle autorità nazionali valutare.

La nostra giurisprudenza ha già preso in considerazione l'interesse in questione, ammettendo l'adozione cosiddetta non legittimante in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184.

Alla luce di queste considerazioni, la differente tutela del best interest child, attraverso più incisivi contenuti giuridici del suo rapporto con la madre intenzionale, che sfumi lo scollamento tra realtà fattuale e realtà legale, è ben possibile, ma le forme per attuarla attengono, ancora una volta, al piano delle opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore.

L'unica strada perseguibile in Italia è la formalizzazione del vincolo attraverso l'adozione in casi particolari, come suggerito dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cassazione Civile, Sez. Unite, 8 maggio 2019 n. 12193) "Anche nella giurisprudenza della Corte EDU, la sussistenza di un legame genetico o biologico con il minore rappresenta dunque il limite oltre il quale è rimessa alla discrezionalità del legislatore statale l'individuazione degli strumenti più adeguati per conferire rilievo giuridico al rapporto genitoriale, compatibilmente con gli altri interessi coinvolti nella vicenda, e fermo restando l'obbligo di assicurare una tutela comparabile a quella ordinariamente ricollegabile allo status fifiationis : esigenza, questa, che nell'ordinamento interno può ritenersi soddisfatta anche dal già menzionato istituto dell'adozione in casi particolari, per effetto delle disposizioni della L. n. 184 del 1983. Anche nella giurisprudenza della Corte EDU, la sussistenza di un legame genetico o biologico con il minore rappresenta dunque il limite oltre il quale è rimessa alla discrezionalità del legislatore statale l'individuazione degli strumenti più adeguati per conferire rilievo giuridico al rapporto genitoriale, compatibilmente con gli altri interessi coinvolti nella vicenda, e fermo restando l'obbligo di assicurare una tutela comparabile a quella ordinariamente ricollegabile allo status fifiationis : esigenza, questa, che nell'ordinamento interno può ritenersi soddisfatta anche dal già menzionato istituto dell'adozione in casi particolari, per effetto delle disposizioni della L. n. 184 del 1983, che parificano la posizione del figlio adottivo allo stato di figlio nato dal matrimonio, che parificano la posizione del figlio adottivo allo stato di figlio nato dal matrimonio."

Sorge un dubbio dietro la scelta degli Ermellini: nella normalità dei casi, l'adozione si immette in un evento generativo già costruito e consolidato ed interviene di necessità in un momento successivo all'attuazione della vicenda procreativa realizzata da una coppia diversa da quella formata dagli o dall'adottante. Cosa diversa dalla procreazione tramite GPA che conosce a monte una scelta genitoriale della coppia di genitori intenzionali del bambino/a (che si vuole successivamente adottato da uno di essi), senza alcuna interruzione temporale e affettiva. Si ha, quindi, un differimento temporale tra la nascita del bambino e l'acquisto del legame parentale adottivo. Ne consegue che il minore consegue il suo diritto alla bi-genitorialità attraverso un procedimento graduale e incerto nell'avvio e nei risultati.

La sentenza però, nell'enunciare il principio di diritto, apre la strada alla sola adozione mite:

"Il riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)".

Si torna così alla questione dell'adozione del figlio del partner, stralciato dalla legge Cirinnà, che darebbe rilevanza tanto ai valori costituzionali della dignità umana quanto all'interesse del minore a creare e a mantenere un rapporto giuridico con chi, nei fatti, è suo genitore. E' certo però, che attraverso l'adozione mite si offre al minore una tutela meno piena di quella che spetterebbe: il riferimento è alla circostanza che, in forza dell'art. 55 L. adoz. e del relativo rinvio all'art. 300 c. c., l'adozione in casi particolari «non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né tra l'adottato e i parenti dell'adottante».

Riprendendo le parole di una sentenza della Consulta di qualche anno fa, (Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272), è vero che il legislatore si fa direttamente carico talvolta della valutazione comparativa tra gli interessi in gioco "ma l'interesse del minore non è per questo cancellato" e il giudice si trova a "tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso" dovendo prendere in considerazione la durata del rapporto instauratosi con il minore, le modalità del concepimento e della gestazione, la presenza di strumenti diversi da quelli della filiazione, quali l'adozione in casi particolari.

* di Valeria Cianciolo, Foro di Bologna

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