Il CommentoPenale

Compatibilità tra reato continuato e particolare tenuità del fatto, al giudice il compito di valutare il comportamento "non abituale"

Al giudice è affidato il compito di valutare in concreto la sussistenza degli indicatori che consentono di qualificare il comportamento "non abituale"

di Marta Sottocasa*

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite si sono pronunciate a favore della compatibilità tra il reato continuato e la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., affidando al giudice il compito di valutare in concreto la sussistenza degli indicatori che consentono di qualificare il comportamento "non abituale".

La vicenda sottoposta all'esame delle Sezioni Unite

Di fronte ad un caso di violenza privata continuata in cui l'imputato era stato condannato in entrambi i giudizi di merito per avere ripetutamente parcheggiato la propria auto in modo da rendere difficoltoso l'accesso all'area di distributore di carburante del fratello, la Quinta Sezione con ordinanza n. 38174 dell'8 ottobre 2021 ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale.

In effetti, secondo un primo, nutrito, indirizzo interpretativo, affermatosi sin dalle prime applicazioni dell' art. 131-bis c.p., l'istituto della continuazione, avendo quale presupposto la commissione di condotte plurime (ancorché avvinte dal medesimo disegno criminoso), sarebbe sempre espressione di un "comportamento abituale" e, quindi, incompatibile con la causa di non punibilità in questione (ex multis: Corte di Cassazione, sez. VI, 20 marzo 2019, n. 18192; Corte di Cassazione, sez. IV, 25 settembre 2018, n. 44896; Corte di Cassazione, sez. V, 14 novembre 2016, n. 4852; Corte di Cassazione, sez. III, 28 maggio 2015, n. 29897).

Secondo un diverso orientamento, invece, l'intenzione del legislatore con l'introduzione dell'art. 131-bis c.p. sarebbe stata quella di escludere la punibilità in tutti i casi in cui la sanzione penale, pur formalmente ineccepibile, sia sproporzionata rispetto al grado di offensività del fatto; di conseguenza dovrebbero ritenersi esclusi dal beneficio solo quei comportamenti che si inseriscono "in un rapporto di seriazione con uno o più altri episodi criminosi" (come precisato nella relazione illustrativa del d.lgs. 28/2015) e che sono, al contempo, espressione di una sorta di tendenza o inclinazione al crimine (si vedano, ad esempio, sez. V, 26 marzo 2018, n. 32626; Corte di Cassazione, sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5358; Corte di Cassazione, sez. V, 31 maggio 2017, n. 35590; Corte di Cassazione, sez. II, 29 marzo 2017 n. 19932).

Nel caso di specie entrambi i giudici del merito, accedendo al primo indirizzo ermeneutico, avevano ritenuto che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra condotte reiterate e di eguale indole, poste in essere dall'imputato nell'arco temporale di un mese, avesse carattere ostativo ai fini della applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è stata così formulata nell'ordinanza di rimessione: "Se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa dell'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni".

La soluzione accolta dalle Sezioni Unite e la definizione di "comportamento abituale"

Le Sezioni Unite, ritenendo preferibile il secondo indirizzo interpretativo, hanno affermato che "la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis cod. pen., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale".

Il percorso argomentativo del Supremo Collegio ruota attorno alla individuazione dei contorni applicativi di quel "comportamento abituale" che, per un verso, rappresenta la condizione ostativa individuata dal d.lgs. 28/2015 per il riconoscimento della clausola di non punibilità per particolare tenuità del fatto e, per altro verso, risulta privo di una chiara definizione legislativa.

Il punto fermo da cui muovono le Sezioni Unite nella sentenza in commento è che l'istituto della continuazione, diversamente da quanto affermato in alcune pronunce che aderiscono al primo indirizzo interpretativo sopra richiamato, non può essere considerato sinonimo della nozione di "abitualità".

Il reato continuato, infatti, pur concretandosi sul piano naturalistico nella commissione di più condotte costituenti reato, "si connota pur sempre per essere il prodotto di un'unica decisione antigiuridica ".

Il comportamento abituale rilevante ai fini di escludere l 'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. presuppone, al contrario, un habitus, inteso come "una costante ripetizione di comportamenti, a sua volta identificativa di una qualità ulteriore rispetto al dato oggettivo della loro aggregazione numerica".

Dunque, non ogni ripetizione del comportamento criminoso deve essere considerata ostativa, ma solo quella che sia espressiva di una inclinazione soggettiva al reato.

Non si spiegherebbe altrimenti la precisazione contenuta nella relazione illustrativa del d.lgs. 28/2015, secondo cui "la presenza di un precedente giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto".
E se ciò vale in costanza di un precedente giudicato, a fortiori quando vi è continuazione nell'ambito di un medesimo procedimento.

A questa prima ragione, di carattere logico-semantico, se ne affianca un'altra di carattere letterale. Il terzo comma dell'art. 131-bis c.p., infatti, nel descrivere il comportamento abituale fa riferimento ai "reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate".

Ebbene, proprio il fatto che nella formulazione letterale della norma il carattere plurimo contraddistingua le condotte, e non già i reati, starebbe ad indicare l'intenzione del legislatore di riferirsi non all'ipotesi del reato continuato (i.e. all'ipotesi di più reati unificati dal vincolo della continuazione), bensì a determinate categorie di reati o schemi di incriminazione nelle quali "il singolo reato viene realizzato attraverso una pluralità di modelli comportamentali ".

Nello stesso senso – sebbene sotto una diversa prospettiva – le Sezioni Unite T. ( Corte di Cassazione, Sez. U., 25 febbraio 2016, n. 13681 ), ampiamente richiamate dalla pronuncia in commento, avevano individuato nella locuzione "condotte plurime" di cui all'art. 131-bis co. 3 c.p. il richiamo a "ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti".

Sotto il profilo teleologico entrambi gli istituti (continuazione e tenuità del fatto) rispondono al principio del favor rei ma sono tra loro perfettamente compatibili, essendo ispirati a diverse finalità: la continuazione a mitigare il trattamento sanzionatorio ; l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto a garantire concretezza ai principi di offensività e proporzionalità dello strumento penale.

Depongono poi a favore della possibilità di riconoscere la tenuità del fatto anche in presenza di un reato continuato ragioni di carattere sistematico: si potrebbe infatti prospettare una disparità di trattamento rispetto alle ipotesi di concorso formale di reati, dove l'operatività della causa di non punibilità in discussione è stata invece pacificamente dalla giurisprudenza sulla scorta della unicità dell'azione che caratterizza l'istituto di cui all'art. 81 comma 1 c.p. ( Corte di Cassazione, sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039 ).

Conclude dunque il Supremo Collegio che "non ricorrono ostacoli di ordine logico-sistematico all'applicabilità al reato continuato della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis".

La valutazione in concreto del "comportamento abituale"

L'affermazione dell'astratta compatibilità tra reato continuato e particolare tenuità del fatto, però, non comporta l'applicazione incondizionata dell'art. 131-bis c.p.

Le Sezioni Unite evidenziano, al contrario, " la necessità di valutare caso per caso le condizioni e i presupposti di tale interrelazione, sulla base di una complessiva analisi della vicenda in concreto sottoposta al vaglio dell'autorità giudiziaria".

Al di là dei casi – tassativi – in cui il secondo comma dell'art. 131-bis c.p. esplicitamente esclude l'operatività della causa di non punibilità, il giudice dovrà accertare se le condotte plurime siano o meno espressive di una proclività al reato.
"Non ricorrono – infatti – i presupposti della causa di esclusione della punibilità nell'ipotesi in cui i reti in concorso materiale, pur unificati dal vincolo della continuazione, siano in concreto caratterizzati da peculiari note modali, ritenute idonee a disvelare – in ragione, ad es. di una "pervicacia nell'illecito assolutamente preponderante" o della stabile assunzione di un determinato modello comportamentale, se non di un vero e proprio stile di vita – una particolare attitudine del soggetto a violare in forma seriale la legge penale secondo i paradigmi delineati dal terzo comma dell'art. 131-bis: connotazioni della condotta, quelle dinanzi richiamate, che non necessariamente, ma solo eventualmente, possono caratterizzare in concreto la realizzazione di reati in continuazione".

L'apprezzamento è rimesso alla discrezionalità del giudice, ma dovrà svolgersi sulla base di indicatori precisi, ben individuati dalle Sezioni Unite:
a) la natura e la gravità degli illeciti unificati;
b) la tipologia dei beni giuridici lesi o posti pericolo;
c) l'entità delle disposizioni di legge violate;
d) le finalità e dalle modalità esecutive delle condotte;
e) le relative motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate;
f) l'arco temporale e il contesto in cui le diverse violazioni si collocano;
g) l'intensità del dolo;
h) la rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti.


Le Sezioni Unite precisano anche che l'ampiezza dell'arco temporale entro cui si dispiegano le diverse condotte non costituisce di per sé una causa ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., in presenza – ovviamente – degli altri requisiti appena ricordati.

Si tratta di un importante superamento di quel recente orientamento giurisprudenziale che, pur ammettendo la compatibilità astratta tra continuazione ed esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, aveva però limitato l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. ai casi in cui le diverse condotte erano state compiute nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (in tal senso, ad esempio, Corte di Cassazione, sez. III, 13 luglio 2021, n. 35630; Corte di Cassazione, sez. IV, 25 settembre 2018, n. 47772).

Una importante precisazione si pone però in relazione ai reati della stessa indole, richiamati espressamente dal legislatore nella definizione di "comportamento abituale", e perciò ritenuti causa ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità.

Qui occorrerà distinguere i casi di cd. continuazione omogenea dai casi in cui il medesimo disegno criminoso si realizza attraverso la commissione di reati tra loro eterogenei. In quest'ultimo caso, infatti, secondo le Sezioni Unite, "l'istituto della continuazione e la nozione di "reati della stessa indole" si pongono in un rapporto di reciproca autonomia […] venendo meno, in siffatta evenienza, qualsiasi preclusione operativa all'istituto previsto dall'art. 131-bis".
Diversamente, il caso di violazione reiterata della medesima disposizione è sovrapponibile alla commissione di più reati della stessa indole e, in tal caso sarà decisivo il dato numerico: quando infatti i reati della stessa indole sono tre, ivi compreso quello per il quale si procede, il giudice non potrà comunque escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto; "la serialità ostativa, come tale idonea ad integrare l'abitualità del comportamento, si realizza infatti quando l'autore faccia seguire a due reati della stessa indole un'ulteriore, analoga condotta illecita".

Ed è proprio sulla scorta di tale principio, già espresso dalle Sezioni Unite T., che la Corte di Cassazione nel caso di specie ha rigettato il ricorso dell'imputato, confermando le precedenti condanne.

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*A cura dell'Avv. Marta Sottocasa, Studio Baccaredda Boy, Business Partner 24 ORE