Il CommentoFamiglia

L'imposta di successione tra rappresentazione e trasmissione della delazione

L'imposta di successione nelle ipotesi di devoluzione per rappresentazione e la dichiarazione di successione nel caso della trasmissione della delazione

di Vincenzo Pappa Monteforte

Le riflessioni che seguono prendono spunto dai (difficili) rapporti tra branche del diritto e, più in particolare, tra principi civilistici e tributari, non sempre in linea tra loro.

Si pensi, ad es., alla definizione di "azienda" (inserita nel codice civile all'articolo 2555, quando la legislazione tributaria non ne fornisce una propria), di "rappresentazione" (disciplinata dall'articolo 467 c.c. e non nel T.U.S.), di "ricognizione di debito" (prevista dall'articolo 1988 c.c., ma sconosciuta al T.U.R.), di "pertinenza" (riportata nel solo articolo 817 del codice civile) e di "ipoteca esattoriale" (che rappresenta un quartum genus rispetto alle ipoteche codicistiche di cui agli articoli 2817 ss.).

Considerato che "la disciplina civilistica di un istituto è applicabile al campo tributario qualora l'ordinamento tributario non disciplini autonomamente la materia con norme proprie" (per tutte, risoluzione Agenzia delle Entrate, 11 aprile 2008 n. 140/E), in prosieguo si accennerà alle problematiche fiscali connesse agli istituti successori della rappresentazione e della trasmissione della delazione.

La rappresentazione.

La risoluzione dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa - Roma, 12 febbraio 2010 n. 8/E, affronta il caso dell'imposta di successione nelle ipotesi di devoluzione per rappresentazione.

Stabilire se rilevi il rapporto di parentela tra de cuius e rappresentato, oppure quello tra de cuius e rappresentante non è di poca importanza, specie considerando il "peso economico" della scelta.

Il codice civile definisce la rappresentazione come quell'istituto che "fa subentrare i discendenti legittimi e naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità o il legato" (articolo 467, I comma, c.c.).

La figura ricorre - sia nella successione legittima che in quella testamentaria, nel caso di disposizioni a titolo di erede o di legatario - quando un soggetto (c.d. rappresentante) si sostituisce al suo ascendente (c.d. rappresentato), all'esito della morte di un altro (de cuius), che si trova con il rappresentato in un rapporto di parentela determinato: "la rappresentazione ha luogo, nella linea retta a favore dei discendenti dei figli legittimi ... nonchè dei discendenti dei figli naturali del defunto e, nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del de cuius" (articolo 468, I comma, c.c.).

Il subentro, dunque, non opera in linea ascendente, nè a favore del coniuge del defunto, ma esclusivamente in linea retta a favore dei discendenti, semprechè il chiamato sia figlio o fratello (o sorella) del de cuius.

Nonostante che la ratio dell'istituto si sia progressivamente spostata dalla tutela della famiglia del defunto alla tutela di quella del mancato successore, il carattere della rappresentazione nel diritto successorio è rimasto "eccezionale" ed il novero dei soggetti coinvolti "tassativo" (cfr., Cass. civ., II sez., 28 ottobre 2009 n. 22840 ).

Con la reintroduzione dell'imposta di successione a seguito del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modifiche dalla L. 24 novembre 2006 n. 286, normativa parzialmente rivista dalla L. 27 dicembre 2006 n. 296 (c.d. legge finanziaria 2007), hanno ripreso vita le aliquote proporzionali da applicarsi al valore complessivo "netto" dei beni, le franchigie e il coacervo.

L'Agenzia delle Entrate - con la risoluzione citata - ha ritenuto che la norma cardine in argomento sia quella espressa dall'articolo 2, comma 48, D.L. 262/2006, convertito con modifiche dalla L. 24 novembre 2006 n. 286.

La disposizione fiscale regola "compiutamente i criteri per l'applicazione e la determinazione di tale imposta, fissando aliquote e franchigie differenti a seconda del rapporto di parentela intercorrente tra il de cuius e il beneficiario". Quindi, "il trattamento tributario è condizionato dal rapporto naturale (parentela o coniugio) esistente tra il de cuius e il beneficiario, indipendentemente dal titolo della chiamata all'eredità".

Nell'ipotesi in cui il chiamato all'eredità subentri per rappresentazione - secondo il ricordato documento di prassi - "non occorre fare riferimento al rapporto intercorrente tra il de cuius e il rappresentato, bensì a quello intercorrente tra il primo e il rappresentante. Ne consegue che al rappresentante verrà eventualmente riconosciuta la franchigia in base al suo rapporto di parentela con il de cuius. Tale franchigia (ove spettante) competerà per intero a ciascuno dei rappresentanti".

La teoria dell'irrilevanza della posizione del designato premorto o comunque "sostituito" era già stata prospettata in giurisprudenza.

Per Comm. Trib. Centr., sez. XXI, 8 maggio 1990 n. 3418 (in Comm. Trib. Centr., 1990, I, 331), a norma dell'articolo 6, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637 (oggi articolo 7 D. Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346), l'imposta di successione è determinata mediante l'applicazione dell'aliquota indicata alla lettera b) (oggi colonna a) dell'allegata tariffa, tenendo presente unicamente il rapporto esistente tra l'erede ed il dante causa e senza alcun rilievo alla causa della chiamata all'eredità; pertanto, legittimamente viene applicata l'aliquota prevista "per gli altri parenti fino al quarto grado" nei confronti di nipoti del "de cuius", ancorchè chiamati all'eredità per diritto di rappresentazione.

Anche la Corte Suprema si era espressa negli stessi termini, evidenziando - nell'ottica del recupero, almeno in parte, della perdita economica dipendente dal "superamento" del passaggio intermedio - che "una diversa interpretazione della norma, dando rilevanza... agli effetti della rappresentazione comporterebbe, ai fini tributari, un inammissibile <salto> nel cosiddetto <ordine naturale di successione>, con una conseguente ed ingiustificata attenuazione della <ratio> del tributo successorio graduato esclusivamente sulla progressività fondata, oltre che in ragione dell'ammontare dell'attivo ereditario, sul vincolo, più o meno stretto, di parentela esistente tra il dante causa e colui che in effetti è chiamato a godere dell'eredità" ( Cass. civ., I sez., 26 luglio 1994 n. 6955 , in Foro it., 1994, I, 2671).

Tale esegesi - sicuramente coerente con la parametrazione del tributo successorio sulla capacità contributiva - sembra da condividere, nonostante sia apparsa "relegare ad un eccessivo particolarismo l'operatività delle norme tributarie rispetto agli effetti giuridici comunemente riconosciuti ad istituti civilistici, quale la rappresentazione, che altrimenti verrebbero in rilievo" (V. Mastroiacovo, Risposta a quesito n. 31/2009/T in tema di "Rappresentazione in linea collaterale - Franchigia", in Studi e materiali, C.N.N., 2009, 873).

La tesi contraria ritiene più coerente che "il discendente del figlio, del fratello o della sorella che non possa o non voglia accettare l'eredità subentra <nel luogo e nel grado> del suo ascendente, ai sensi dell'art. 467 c.c., pagando l'imposta nella misura propria di quest'ultimo, cioè in relazione al secondo grado di parentela collaterale e non ai successivi, se si tratta di nipote ex fratre" (G. Gaffuri, L'imposta sulle successioni e donazioni: trust e patti di famiglia, 2008, 307, nota 5).

Quindi, benchè sottoposte a qualche critica, prassi amministrativa e precedenti giurisprudenziali decisamente orientate verso un sistema tributario caratterizzato dalla sua autonomia, che in materia successoria appare ancora più marcata se sol si pensa - per citare un'ipotesi emblematica - alla presunzione di appartenenza all'attivo ereditario di cui all'articolo 11 D. Lgs. 346/1990, sconosciuta nel diritto civile.

La trasmissione della delazione.

La trasmissione della delazione è disciplinata nell'articolo 479 del codice civile: "se il chiamato all'eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi. . . La rinunzia all'eredità propria del trasmittente include rinunzia all'eredità che al medesimo è devoluta".

L'istituto è, quindi, conseguenza automatica della morte del chiamato che non abbia accettato l'eredità.

I soggetti interessati alla vicenda giuridica sono (almeno) tre: a) de cuius; b) trasmittente; c) trasmissario.

Evidente è che se il trasmissario rinuncia all'eredità del trasmittente, non può accettare neanche quella del de cuius, a meno che risulti chiamato ad altro titolo (ad es., per rappresentazione); se il trasmissario accetta l'eredità del trasmittente, invece, può scegliere il comportamento da tenere rispetto a quella del de cuius, accettando o rinunciando l'eredità relativa.

Problematico, a questo punto, è stabilire come compilare le dichiarazioni di successione e – conseguentemente corrispondere le imposte - riguardanti l'ipotesi descritta.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di imposta sulle successioni, presupposto dell'imposizione tributaria è la chiamata all'eredità e non già l'accettazione. Ne consegue che, allorchè la successione riguardi anche l'eredità devoluta al dante causa e da costui non ancora accettata, l'erede è tenuto al pagamento dell'imposta pure relativamente alla successione apertasi in precedenza a favore del suo autore, la cui delazione sia stata a lui trasmessa ai sensi dell'articolo 479 cod. civ. ( Cass., ord. 9 ottobre 2014 n. 21394, in www.italgiure.giustizia.it, che richiama Cass. n. 11320/1995 e n. 6327/2008).

Sulla stessa linea di pensiero si colloca il fisco, che – sempre facendo leva sull'articolo 28, II comma, T.U.S. a tenore del quale "sono obbligati a presentare la dichiarazione: i chiamati all'eredità…" – richiede che il trasmissario presenti la dichiarazione di successione del de cuius indicando quale erede il trasmittente e la dichiarazione di successione di quest'ultimo riportando nel quadro degli eredi se stesso, per un valore dell'eredità del trasmittente dato dalla somma dei due patrimoni (risoluzione n. 234/E del 24 agosto 2009; risposta a interpello n. 42 del 12 febbraio 2019).

In realtà, atteso che presupposto dell'imposta di successione è l'incremento patrimoniale di cui beneficia l'erede per la vicenda ereditaria e tenuto conto che il trasmissario è – semprechè orientato in tal senso - da subito erede del trasmittente, naturale conseguenza appare quella di indicare in successione il patrimonio di costui, applicando le aliquote proprie del rapporto esistente tra i due.

Solo successivamente sarà possibile presentare – nel termine di un anno, con dies a quo decorrente dalla morte del trasmittente - la dichiarazione di successione dell'originario de cuius, che ricomprenderà i soli beni del medesimo, da tassare tenendo conto del rapporto familiare intercorrente tra de cuius e trasmissario (nello stesso senso, A. Busani, Imposta di successione e donazione, 2020, 764, ove ulteriori indicazioni).