Penale

È esercizio abusivo della professione svolgere in maniera continuativa attività giornalistica senza essere iscritto all'albo

Lo ha precisato la Cassazione con la sentenza 8956/2023

di Aldo Natalini

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione lo svolgimento continuativo, oneroso ed organizzato di attività giornalistica da parte di soggetto non iscritto nell'elenco dei professionisti né in quello dei pubblicisti istituito dal competente ordine dei giornalisti ai sensi della legge n. 69/1963, come modificata dalla legge n. 198/2016.
Così la Sesta sezione penale della Suprema corte con la sentenza n. 8956/2023 – depositata il 1° marzo – che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da un imputato condannato, in primo e secondo grado, per il delitto di cui all'articolo 348 del Cp perché, senza mai essere stato iscritto all'albo dei giornalisti, partecipava a conferenze stampa, effettuava interviste, curava servizi di cronaca e commentava confronti politici per conto di una testata televisiva.
L'imputato, nel giudizio di legittimità, aveva sostenuto che aveva errato la Corte territoriale nel ritenere che l'articolo 1 della legge n. 69/1963, istitutiva dell'ordine e dell'albo dei giornalisti, interpretato alla luce del successivo articolo 35, fornisca una nozione restrittiva di attività giornalistica, nel senso che, al di fuori delle due figure professionali indicate dalla stessa legge (giornalista professionista e giornalista pubblicista), non vi sarebbero altre modalità con cui esercitare un'attività assimilabile a quella giornalistica, a meno di non incorrere in un esercizio abusivo della professione.
Detta interpretazione restrittiva – aveva argomentato il ricorrente – contrasterebbe con l'esistenza, riconosciuta nella comune esperienza, di figure professionali quali l'articolista e il documentarista che, pur esercitando attività del tutto analoghe a quelle del giornalista, si scostano da questa per molteplici requisiti, quali: l'assenza di esclusività, di continuità, la non occasionalità e/o retribuzione e appunto, la mancata iscrizione all'albo professionale. In breve – secondo l'imputato – la legge ordinamentale non avrebbe affatto precluso l'esercizio di attività analoghe e per certi versi sovrapponibili a quelle del giornalista professionale, allorché detto esercizio venga effettuato in forma autonoma, come accaduto nella vicenda in esame.

Il dictum: rilevanza penale dell'attività giornalistica continuata, organizzata e retribuita svolta sine titulo

La Suprema corte ha respinto senza mezzi termini la tesi difensiva che invocava l'ammissibilità di un'attività giornalistica lecitamente esercitabile pur senza essere giornalisti professionisti o giornalisti pubblicisti e, dunque, senza essere iscritti all'albo.
All'opposto la Cassazione, dopo aver richiamato l'inequivoco disposto degli articoli 1, 35 e 45 legge ordinamentale della professione giornalistica, ha affermato – con nitore motivazionale – che per esercitare la professione di giornalista è necessaria l'iscrizione nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti; l'inosservanza di detta previsione è punita ai sensi dell'articolo 348 del Cp.
Il principio di diritto rassegnato dalla sentenza annotata – che pare invero scontato alla luce del tenore testuale dell'articolo 45 della legge n. 69/1963 (come modificato dalla legge n. 198/2016): «nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave») – è però inedito. Basti considerare che l'unico precedente di legittimità in materia di attività giornalistica risale a più di mezzo secolo fa ed è antecedente alle modifiche apportate alla legge ordinamentale dalla legge n. 198/2016: nell'occasione la Cassazione – che pervenne ad un esito opposto a quello odierno, in ragione della sporadicità della vicenda di specie – chiarì che, al di là della distinzione tra professionisti e pubblicisti, poiché la Costituzione garantisce a tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero liberamente e con ogni mezzo di diffusione, ogni cittadino può svolgere, episodicamente, l'attività di giornalista e dunque non commette il reato di abusivo esercizio della professione di giornalista, di cui agli articolo 348 del Cp in riferimento all'articolo 45 della legge n. 69/1963, colui che, senza essere iscritto all'albo dei giornalisti o in quello dei pubblicisti, collabori saltuariamente ad un periodico venendo retribuito volta per volta (Cassazione, Sezione VI penale, n. 428/1971, Gori, Ced 118492).
Oggi la Cassazione supera questo precedente anzitutto valorizzando la suindicata modifica normativa, che espressamente sancisce l'applicabilità dell'articolo 348 del Cp in caso di inosservanza dell'obbligo di iscrizione all'albo dei giornalisti; in secondo luogo, declinando alla subiecta materia il principio di diritto statuito a livello nomofilattico nel 2012, secondo cui integra il reato di esercizio abusivo di una professione il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 11545/2012, Cani, Ced 251819: fattispecie relativa all'abusivo esercizio della professione di commercialista; conforme sezione VI penale, n. 33464/2018, Melis, Ced 273788: fattispecie relativa all'abusivo esercizio della professione di commercialista, consistito nella tenuta della contabilità aziendale e nella prestazione di consulenza del lavoro).
Accanto cioè, alla riserva professionale collegata all'attribuzione in via esclusiva del singolo atto, esiste una riserva collegata allo svolgimento, con modalità tipiche della professione, di atti univocamente ricompresi nella sua competenza specifica (così Cassazione, sezione VI penale, n. 23843/2013, Mappa, Ced 255673: fattispecie in cui l'imputato aveva compiuto interventi diagnostici e trattamenti psicoterapeutici relativi a balbuzie e depressione).

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