Professione e Mercato

Sospeso per due anni l'avvocato Ads che tenta il raggiro dell'amministrata

Lo ha stabilito il Consiglio nazionale forense, con la sentenza n. 257 del 20 dicembre 2022, resa nota l'12 maggio 2023, a seguito della condanna per il reato di tentato abuso d'ufficio

di Francesco Machina Grifeo

Scatta la sospensione per due anni per l'avvocato amministratore di sostegno che, in combutta con il giudice tutelare si fa autorizzare, per conto dell'amministrato malato di alzheimer, l'acquisto di un appartamento e di un box di proprietà del proprio coniuge (che poi all'ultimo non si presenta dal notaio per la vendita) per il prezzo di 320.000 euro, tacendo che era gravato da ipoteca per un importo complessivo di 518.500 euro; mentre la nomina del curatore speciale, richiesta per via del potenziale conflitto di interessi, veniva affidata ad un architetto che era il fratello del legale.

Lo ha stabilito il Consiglio nazionale forense, con la sentenza n. 257 del 20 dicembre 2022, resa nota l'12 maggio 2023, a seguito della condanna per il reato di tentato abuso d'ufficio (pena di otto mesi sospesa). Considerata la responsabilità accertata con sentenza definitiva, si legge nella decisione, il Cnf ritiene che la sanzione della sospensione per anni 2 dall'esercizio della professione "sia commisurata alla gravità del fatto, al comportamento dell'incolpato... alla particolare intensità della compromissione dell'immagine della professione forense, tenuto anche conto del fatto che non vi è stato pregiudizio per la parte assistita e della vita professionale dell'incolpata fino al momento del fatto".

Ai fini della sussistenza dell'illecito disciplinare, prosegue il Collegio, è sufficiente la volontarietà del comportamento dell'incolpato e, quindi, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la "suitas" della condotta intesa come volontà consapevole dell'atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, dominarlo. L'evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità.

Basta infatti "la semplice sussistenza di un interesse da parte del professionista, non solo contrapposto ma anche concorrente rispetto a quello della parte assistita, potenzialmente confliggente" per "determinare l'integrazione della fattispecie contestata, in quanto tale interesse potrebbe comunque interferire con lo svolgimento dell'incarico professionale e la cura degli interessi della parte assista".

La medesima sentenza chiarisce che avverso i provvedimenti del Consiglio distrettuale di disciplina e per ogni decisione (art. 61 L. n. 247/2012), ivi compresa la delibera di non luogo a provvedere, è ammesso ricorso al Consiglio Nazionale Forense da parte del P.M. nonché del Consiglio dell'ordine presso cui l'avvocato è iscritto. Nel caso di specie, il COA aveva impugnato il provvedimento conclusivo del CDD, che aveva prosciolto l'incolpato per asserita prescrizione dell'azione disciplinare.

Inoltre, prosegue il Cnf, la mancanza di adeguata motivazione - nella specie, peraltro esclusa - non costituisce motivo di nullità della decisione del Consiglio territoriale, in quanto, alla motivazione carente, il Consiglio Nazionale Forense, giudice di appello, può apportare le integrazioni che ritiene necessarie, ivi compresa una diversa qualificazione alla violazione contestata. Il Cnf è infatti competente quale giudice di legittimità e di merito, per cui l'eventuale inadeguatezza, incompletezza e addirittura assenza della motivazione della decisione di primo grado, può trovare completamento nella motivazione della decisione in secondo grado in relazione a tutte le questioni sollevate nel giudizio sia essenziali che accidentali.

Infine, la difformità tra contestato e pronunziato (nella specie, esclusa) si verifica nelle ipotesi di c.d. "decisione a sorpresa", ovvero allorché la sussistenza della violazione deontologica venga riconosciuta per fatto diverso da quello di cui alla contestazione e, dunque, la modificazione vada al di là della semplice diversa qualificazione giuridica di un medesimo fatto, di talché la condotta oggetto della pronuncia non possa in alcun modo considerarsi rientrante nell'originaria contestazione. Tale principio di corrispondenza tra addebito contestato e decisione disciplinare è inderogabile, in quanto volto a garantire la pienezza e l'effettività del contraddittorio sul contenuto dell'accusa ed è finalizzato a consentire, a chi debba rispondere dei fatti contestatigli, il compiuto esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

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