Civile

Deve rivolgersi al giudice di appello chi vince nel merito ma soccombe su una questione pregiudiziale di rito

Lo ha precisato la Sezione II della Cassazione con l'ordinanza 26850/2022

di Mario Finocchiaro

La parte totalmente vittoriosa nel merito, ma soccombente su questione pregiudiziale di rito e/o preliminare di merito, per devolvere alla cognizione del giudice superiore la questione rispetto alla quale ha maturato una posizione di soccombenza (teorica) deve spiegare appello incidentale. Ciò impone – sul piano della tecnica processuale – il rispetto dei rigidi dettami dell'articolo 342 Cpc nonché dei tempi di cui all'articolo 343 Cpc, pena la inammissibilità del gravame ed il conseguente passaggio in giudicato della stessa questione ex articolo 329, comma 2, Cpc. Questo il principio espresso dalla Sezione II della Cassazione con l' ordinanza 13 settembre 2022 n. 26850. Nella specie parte attrice in primo grado aveva eccepito la inammissibilità, per tardività, della domanda riconvenzionale svolta dalla parte convenuta, domanda riconvenzionale rigettata nel merito dal primo giudice senza alcuna pronunzia sulla sua tempestività o sulla eccezione di tempestività. Avendo il giudice di appello rilevato ex officio la tardività della domanda, la S.C., in applicazione del principio che precede, ha cassato tale statuizione.

I precedenti conformi
Come evidenziato in motivazione, nella pronunzia in rassegna, le soluzione prospettate dalla giurisprudenza di legittimità alla problematica ora all'esame del Suprema Corte non sono univoche.
In particolare, sostanzialmente nella stessa ottica della pronunzia ora in rassegna si è affermato che la pronuncia d'ufficio del giudice di primo grado su una questione processuale per la quale è prescritto un termine di decadenza o il compimento di una determinata attività - in difetto di espressa previsione normativa della rilevabilità in ogni stato e grado ed escluse le ipotesi di vizi talmente gravi da pregiudicare interessi di rilievo costituzionale - deve avvenire entro il grado di giudizio nel quale essa si è manifestata; qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare d'ufficio sulla questione (nella specie, rilievo del carattere tardivo ex articolo 167 Cpc dell'eccezione di inadempimento sollevata in primo grado dal convenuto), resta precluso l'esercizio del potere di rilievo d'ufficio sulla stessa, per la prima volta, tanto al giudice di appello quanto a quello di cassazione, ove non sia stata oggetto di impugnazione o non sia stata ritualmente riproposta, essendosi formato un giudicato implicito interno in applicazione del principio di conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame previsto dall'art. 161 Cpc, Cassazione, sentenza 10 marzo 2021 n 6762, in Iudicium, 2022 (fasc. 12 gennaio 2022), con nota di Disiato O., Il potere di rilievo «anche ex officio» dei vizi relativi all'attività processuale (declinato in ragione del paradigma del "giusto processo" ex art. 111 Cost.).
Nella parte motiva di Cassazione, sentenza 10 marzo 2021 n. 6762, cit., il principio di diritto - richiamato in motivazione, nella pronunzia in rassegna come enunciato da una recente decisione nell'ottica dell‘ultima giurisprudenza delle Sezioni Unite [ e su cui infra] ma senza indicazione degli estremi della pronuncia - : "il potere di rilievo anche ex officio dei vizi relativi alla attività processuale, attribuito dalla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività, deve essere esercitato dal giudice di merito, in difetto di espressa autorizzazione normativa alla rilevazione in ogni stato e grado ed escluse le ipotesi di vizi relativi a questioni fondanti (che rendono l'attività svolta del tutto disforme dal modello legale del processo), al più tardi entro il grado di giudizio nel quale il vizio si è manifestato, rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio di ufficio (o su eventuale sollecitazione della parte interessata all'esercizio di tale potere officioso), ove la relativa questione non abbia costituito specifico motivo di impugnazione, ovvero sia stata ritualmente riproposta, atteso che, qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente sul vizio (e nonostante la eventuale eccezione della parte interessata), la relazione di implicazione necessaria tra la soluzione - ancorché implicita - adottata in ordine alla validità/ammissibilità della domanda/eccezione di merito (questione processuale pregiudiziale) e l'esame e la pronuncia espressa sulla domanda/eccezione (questione di merito dipendente), determina la intangibilità della decisione implicita sulla questione processuale ove non specificamente investita con i mezzi impugnatori, in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma 1, Cpc, non trovando ostacolo nel carattere implicito della decisione la formazione del giudicato processuale interno".

.... quelli difformi
Espressamente in termini opposti, nel senso che una pronuncia di primo grado che, senza affermare espressamente l'ammissibilità di una domanda riconvenzionale, rigetti la stessa per ragioni di merito, non implica alcuna statuizione implicita sull'ammissibilità di tale domanda, destinata a passare in giudicato se non specificamente impugnata. Ne consegue che, in tale ipotesi, il giudice di secondo grado, investito dell'appello principale della parte rimasta soccombente sul merito, conserva - pur in assenza di appello incidentale, sul punto, della parte rimasta vittoriosa sul merito - il potere, e quindi il dovere, di rilevare d'ufficio l'inammissibilità di detta domanda e l'omissione di tale rilievo è censurabile in cassazione come error in procedendo, Cassazione, sentenza 20 aprile 2020 n. 7941, in Giurisprudenza italiana, 2020, c. 2446, con nota di Amadei D., Questione di rito non esaminata e rilievo d'ufficio in sede di impugnazione.
Analogamente, Cassazione, 20 novembre 2006 n. 24606, secondo cui qualora un documento sia stato tardivamente prodotto in primo grado, con conseguente decadenza di cui all'articolo 184 Cpc e la stessa non sia stata rilevata nel corso del giudizio di primo grado, è sempre rilevabile d'ufficio anche in grado di appello, perché sottratta alla disponibilità delle parti (nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, infatti, non trova più applicazione il principio secondo cui l'inosservanza del termine per la produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al collegio: l'articolo 184 Cpc, nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, non si limita infatti a prevedere l'eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce espressamente il carattere perentorio di detto termine, in tal modo sottraendolo alla disponibilità delle parti -stante il disposto dell'articolo 153 Cpc -, come del resto implicitamente confermato anche dal successivo articolo 184-bis, che ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa ad essa non imputabile).

La proponibilità dell'azione
Per l'affermazione che le questioni attinenti alla proponibilità dell'azione sono rilevabili d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, pertanto, in grado d'appello tale potere d'iniziativa del giudice sussiste ogni qualvolta tali questioni, come ogni altra il cui oggetto non è disponibile dalle parti, non siano state proposte e decise in primo grado. In tale ultima ipotesi, ossia quando tali questioni siano state decise dal giudice di primo grado, il potere del giudice della impugnazione trova un limite nella preclusione determinata dell'acquiescenza della parte soccombente o di quella, che, pur non avendo l'onere della impugnazione perché praticamente vittoriosa, per altre regioni, non abbia riproposto al giudice d'appello la relativa eccezione, incorrendo nella decadenza di cui all'articolo 346 Cpc. Qualora la questione di proponibilità non sia stata decisa in primo grado e non sia stata rilevata in appello nemmeno dal giudice, essa, ove non implichi un nuovo accertamento od apprezzamento di fatto, può essere prospettata in cassazione, in quanto non integra una questione di diritto nuova inammissibile, che nel giudizio di legittimità si identifica solo in quella che presupponga o comunque richieda un nuovo accertamento o apprezzamento in fatto e non in quella che lascia immutati i termini in fatto della controversia così come accertati dal giudice di merito, Cassazione, sentenza 18 aprile 2007 n. 9297, che ha ritenuto ammissibile la questione relativa alla improponibilità di una domanda di responsabilità aggravata ai sensi dell'articolo 96 Cpc, in quanto proposta al di fuori del giudizio cui la responsabilità si riferiva.

Eccezione di merito respinta in primo grado
Nel senso, ancora, che in tema di impugnazioni, qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex articolo 345, comma 2, Cpc (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'articolo 329, comma 2, Cpc), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l'eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest'ultimo l'esercizio ex articolo 345, comma 2, Cpc, Cassazione, sez. un., sentenza 12 maggio 2017 n. 11799, in Judicium, 2017 (fasc. 14 giugno 2017), con nota di Lolli M., I confini tra l'appello incidentale ex articolo 343 c.p.c. e la mera riproposizione prevista dall'articolo 346 c.p.c.

Potere di controllo delle nullità
Per la precisazione, infine, che il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall'articolo 111 della Costituzione, allorché si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio - in quanto tale ammissibilità consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell'actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex articolo 404 Cpc da parte del litisconsorte pretermesso - ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di potestas iudicandi - come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell'azione, la decadenza sostanziale dall'azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale (per il quale la legge prevede la declaratoria di improcedibilità in ogni stato e grado del procedimento) -; in tutte queste ipotesi, infatti, si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, poiché si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio. Tale compatibilità con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo va, invece, esclusa in tutte quelle ipotesi in cui la nullità sia connessa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario e sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della pronuncia sul merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello; ciò tanto più nel processo del lavoro, in cui il sistema normativo che fondava l'originario riparto fra giudice ordinario ed amministrativo sul presupposto di una giurisdizione esclusiva sull'atto amministrativo, ne ha poi ricondotto il fondamento al rapporto giuridico dedotto, facendo venir meno la ratio giustificatrice di un intenso potere di controllo sulla giurisdizione, da esercitare sine die, Cassazione, sez. un., sentenza 30 ottobre 2008 n. 26019, in Foro it., 2009, I, c. 806 (con nota di Poli G.G., Le sezioni unite e l'art. 37 c.p.c.), che ha dichiarato inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sollevata dall'Inpdap per la prima volta nel giudizio di legittimità, in fattispecie relativa alla riliquidazione dell'indennità di buonuscita di un docente universitario.
Sempre nell'ottica della pronunzia da ultimo ricordata in altra occasione si è affermato, ancora, che la interpretazione dell'articolo 37 Cpc, secondo cui il difetto di giurisdizione è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (asse portante della nuova lettura della norma), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All'esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 38 Cpc (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito, Cassazione, sez. un., sentenza 9 ottobre 2008 n. 24883, in Giurisprudenza italiana, 2009, c. 1459 (con nota di Carratta A., Rilevabilità d'ufficio del difetto di giurisdizione e uso improprio del "giudicato implicito"), che ha giudicato inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla parte che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell'articolo 329, comma 2 Cpc.

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Sezione 3