Professione e Mercato

Contributo per il Cnf a carico di tutti gli avvocati, non solo dei 'cassazionisti'

La Suprema corte, ordinanza n. 30963 depositata oggi, ha respinto il ricorso di una sessantina di legali

di Francesco Machina Grifeo

Tutti gli avvocati iscritti ai 165 albi territoriali e non dunque soltanto gli iscritti all'albo speciale dei patrocinanti in Cassazione devono versare il contributo per il funzionamento del Consiglio nazionale forense previsto dall'art. 14 del Dlgs Lgt. n. 382/1994 ("Norme sui Consigli degli ordini e sulle Commissioni centrali professionali"). Il Cnf, infatti, svolge "compiti e funzioni di interesse generale per tutta la categoria professionale degli avvocati". Lo ha stabilito la V Sezione tributaria della Corte di cassazione, ordinanza n. 30963 depositata oggi, respingendo il ricorso in una sessantina di legali.

La controversia nasce a seguito della deliberazione del Coa di Roma che, a far data dal 2001, ha stabilito di non riscuotere più dagli avvocati non abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori il contributo che il Cnf determina annualmente. Il Cnf ha dunque proceduto nei confronti dei diretti interessati, tramite Equitalia. L'avviso di pagamento riguardava gli anni dal 2005 al 2009 (25,83 euro annui). Gli avvocati hanno subito proposto ricorso alla Ctp di Roma che lo ha respinto. Sorte uguale ha avuto l'appello dinanzi alla Ctr Lazio (salva la prescrizione di una annualità). Proposto nuovamente ricorso, sempre sostenendo che il contributo sarebbe in capo ai soli ‘cassazionisti, la Suprema corte lo ha definitivamente bocciato.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, nel testo dell'articolo 14 si parla di "albo", senza altre specificazioni "e pertanto nulla autorizza a ritenere che in questa norma alla parola "albo" si debba attribuire un significato diverso da quello generico utilizzato nell'intero decreto e più ristretto, in particolare che si intenda l'albo specificamente tenuto - se tenuto - dalla Commissione centrale (Consiglio)". La lettura sistematica dunque "orienta per ritenere che il contributo sia dovuto da tutti gli iscritti all'albo professionale".

I ricorrenti hanno poi negato che il Cnf renda un servizio pet tutti gli avvocati. Una tesi sonoramente bocciata dalla Cassazione secondo cui "le funzioni del CNF sono sempre state esercitate nell'interesse di tutti gli avvocati"; "né i patrocinati presso le giurisdizioni superiori cessano di essere avvocati al momento della loro iscrizione in questo specifico albo". La funzione primaria del Consiglio, prevista dalla legge professionale, del resto "è quella di controllo sul corretto esercizio della professione sul tutto il territorio nazionale".

Ed è sempre il Consiglio che approva il codice deontologico ed è giudice disciplinare di seconda istanza. In tal modo esso esercita "una garanzia di libertà ed autonomia per tutti gli avvocati" perseguendo "l'obiettivo di mantenere ed accrescere il prestigio sociale della categoria, poiché vi è un organo indipendente che sanziona le condotte abusive". E proprio la "selettività dell'accesso alla professione, il controllo sul suo corretto esercizio, il rigore ma anche l'indipendenza dell'organo disciplinare, connotano l'avvocatura nel suo insieme e disegnano i contorni di una professione qualificata e qualificante, tutelando così anche l'affidamento della collettività".

Inoltre, l'articolo 14 citato attribuisce alle Commissioni (e quindi anche al CNF) la funzione di rendere pareri sui progetti di legge e di regolamento. Come, per esempio, la predisposizione delle "tariffe forensi" da sottoporre al Ministro per l'approvazione che i ricorrenti - si legge nella decisione - "hanno sicuramente applicato nel periodo qui rilevante".

Quanto poi al servizio di tenuta dell'albo dei cassazionisti, la Corte evidenzia che l'articolo 14 correla il contributo al funzionamento della Commissione (Consiglio) e non alle spese di tenuta dell'albo "che potrebbe anche non essere una delle funzioni attribuite alle Commissioni, il cui compito generale e comune per tutte le professioni è individuato nella funzione consultiva" (e del resto nel '44 Il Cnf non teneva l'albo cassazionisti). Non solo, prosegue la decisione, la Riforma della legge professionale del 2012 "non ha mutato queste caratteristiche, anzi le ha ulteriormente accentuate".

Infine, è manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale per la mancanza di predeterminazione legale dei criteri di quantificazione del contributo. Secondo la Cassazione, infatti, "l'art 14 del Dlgs. lgt. 382/1944 nel conferire alle Commissioni centrali (e quindi anche al Cnf) il potere di imporre agli iscritti all'albo professionale un contributo, rapportato alle spese necessarie al suo funzionamento, non si pone in contrasto con l'art. 23 Cost. per difetto di determinatezza, poiché la prestazione è imposta in base ad una previsione di legge che contempla la destinazione della prestazione, collegandola specificamente ad un paramento, quali le spese per il funzionamento dell'ente, la cui concreta quantificazione segue procedure legalmente predeterminate poiché il funzionamento del Consiglio, e il suo bilancio, in ragione della sua natura di ente pubblico non economico, sono regolati da un complesso sistema normativo, nonché da un sistema di controlli, idonei ad escludere ogm profilo di arbitrarietà nella quantificazione del contributo".

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