Civile

Gli NFT in tribunale - L'allegazione di documenti nel processo civile telematico

il confronto tra blockchain e processo civile telematico mette in risalto tutte le arretratezze di quest'ultimo. Come poter dimostrare la titolarità di un NFT in tribunale? E basterà per vincere la causa contro un possessore in buona fede del bene analogico?

di Roberto Colantonio*

Achille e la tartaruga: gli NFT e il processo civile telematico

Gli NFT sono certificati di proprietà digitale registrati su un "libro mastro" (digital ledger), un registro tenuto da un Marketplace e negoziati tramite sua la criptovaluta. La tecnologia blockchain permette di tracciare i vari passaggi di proprietà e di verificarne la corrispondenza con il wallet, il portafogli virtuale, dell'acquirente.

L'unicità dell'NFT, quello che lo rende infungibile, non riproducibile digitalmente, è dato dall'hash. Lo smart contract di acquisto viene infatti sminuzzato, pasticciato (così può tradursi il termine hashing) al punto tale da non consentire un reverse engineering.

Un NFT è un contenitore dove mettere una foto o un'immagine digitale nativa o digitalizzata da una copia analogica, un video, persino dei file di testo e che si "legge" con il sistema numerico binario. In pratica, una serie di bit, una sequenza di 0 e 1. È il linguaggio universale dei nostri computer.

La tecnologia blockchain risale a una decade fa; i primi bitcoin sono stati "coniati" nel 2009 dal misterioso Nakamoto Satoshi, scomparso poco dopo, nel 2011, un lasso di tempo sufficiente per una dichiarazione di morte presunta.

Il processo civile telematico in Italia prende avvio da prima, con la Legge 59/97 e, dopo una estenuante fase di sperimentazione, diventa obbligatorio nel 2014. Un'obbligatorietà imperfetta visto che fino all'emergenza covid 19 era ancora possibile depositare cartacei gli atti introduttivi di un giudizio civile. La pandemia ha dato quella spinta decisiva su cui si temporeggiava da un po'.

Il processo civile telematico si basa su una tecnologia primitiva rispetto alla Blockchain.

Giudici e Avvocati utilizzano ancora oggi i computer essenzialmente come macchine da scrivere elettroniche e per l'archiviazione dei file word dove scrivono gli atti, con qualche ricerca sentenze sulle banche dati.

L'avvocato che procede all'iscrizione a ruolo o alla costituzione di parte convenuta allega atti e documenti in una busta elettronica che non può superare il non esaltante peso di 30 megabyte. Per fortuna è consentito l'invio contestuale di buste multiple ed è anche possibile chiedere di essere autorizzati a depositare un cd rom, un dvd o una pendrive quando la dimensione degli allegati è tale che ci vorrebbero troppe "buste" o per file non supportati.

Già, i file supportati; qui emerge drammaticamente l'arretratezza del processo telematico. Nel 2022 è possibile depositare telematicamente nel processo civile solo file pdf testo, convertendo file originariamente word, e file pdf immagine. Qualsiasi altro formato non è ammesso: jpeg, file audio e video, etc. Quasi la dimostrazione plastica del paradosso di Zenone: per quanto possa correre veloce, Achille non raggiungerà la tartaruga davanti a lui e la rivoluzione blockchain rischia di risultarne azzoppata.

Allegare un certificato NFT in un giudizio civile telematico

La prima domanda che un avvocato dovrebbe porsi è: come portare in giudizio un certificato attestante un NFT? L'unica strada appare quella di scaricare il certificato, trasformarlo in pdf e inserirlo nella busta elettronica. L'avvocato deve inserire il nome del file in un attestato di conformità e apporvi la firma digitale, come per qualsiasi altro allegato.

Le opzioni, però, appaiono inadeguate: l'avvocato attesterà che il certificato PDF allegato è conforme all'originale? Eppure, un originale cartaceo non c'è. E neanche è stato estratto da un altro fascicolo telematico. Nel dubbio, la prima ipotesi sembra quella più valida. Ma che valore avrà quel certificato se contestato dalla controparte? Come farà il Giudice a decifrare la sequenza di 0 e 1? Occorrerà sicuramente una CTU, una consulenza tecnica d'ufficio, confidando che nel frattempo ci saranno abbastanza esperti per rispondere alla nuova domanda. Un comune informatico saprà venirne a capo e dimostrarsi un valido ausiliario per il Giudice? Vedremo, il compito non è facile.

Il consulente dovrà verificare una serie di elementi, come la titolarità del diritto e i suoi limiti, la data certa, etc. Ogni consulenza tecnica d'ufficio comporta una dilatazione dei tempi e un aggravio di spese, proprio quello che chi aveva acquistato un NFT voleva evitare.

Quando il titolare dell'NFT è anonimo

E nel caso dei portafogli di criptovalute anonimi? I Vasp, ovvero i Fornitori di Servizi di Asset Virtuali, sono nel mirino della Commissione Europea, in quanto possibile rifugio di riciclatori di denaro sporco, finanziatori del terrorismo o "semplici" evasori fiscali; sta di fatto che attualmente non sono al bando e quindi è una eventualità che può proporsi.

Nel caso di un wallet anonimo, l'NFT rappresenterebbe un titolo al portatore, perfettamente negoziabile a livello digitale e altrettanto impossibile da portare in tribunale per concorrere a formare con le altre prove la verità processuale. L'eccezione di carenza di legittimazione attiva, eccezione rilevabile in ogni stato e grado e anche d'ufficio, sarebbe inevitabile. E allora che forza avrebbe un diritto che non può essere fatto valere in tribunale?

Tribunale civile ordinario o Tribunale delle Imprese

Verificare il contenuto di un NFT è importante anche per determinare la competenza per materia. Si discute se con un NFT si trasferisca un diritto di proprietà oppure i diritti patrimoniali d'autore. Pochi mesi fa si è aperto un contenzioso in America tra Jay-Z, marito di Beyoncé, e la sua casa discografica per la messa all'asta dell'NFT sul suo album d'esordio, Reasonable doubt, del 1996, perché venivano tokenizzati proprio i diritti d'autore o almeno la quota detenuta dal rapper, a seconda delle diverse versioni sostenute dalle parti.

Trasferendo solo la proprietà, nulla vieterebbe al venditore di creare altri token uguali, ma non identici. Per fare un esempio chiarificatore, spostiamoci nel campo della musica. Prima si vendevano i cd, poi gli album musicali o le singole canzoni sono state messe in vendita on line, proteggendoli con DRM, digital right managment, in funzione antipirateria. Nulla esclude che un album possa essere venduto come NFT, sostituendo il cd o la ancora più vecchia musicassetta. I beni fungibili possono essere venduti enne volte e una canzone può essere fruita ascoltandola e riascoltandola.

Ma se l'NFT è collegato a un'opera unica, come un'opera d'arte, acquistare solo la proprietà di quella immagine, significa avere la proprietà di una copia autorizzata, né più né meno e non poterne neanche fruire, in quanto non potrà essere riprodotta, altrimenti violerebbe i diritti patrimoniali d'autore. Centrale resta l'autonomia negoziale delle parti, per dirimere la questione occorre far riferimento a quello che hanno stabilito le parti nello smart contract sottoscritto il più delle volte inconsapevolmente rispetto alla reale portata che avrà, integrandolo, se del caso, con la disciplina legale generale.

Avere la proprietà di un NFT di un'opera d'arte potrebbe riservarci l'amara sorpresa di ritrovarci in un'ampia compagnia di illusi, tutti proprietari di una stessa figurina "stampata" più volte e per niente esclusiva. Laddove non riescono a creare – ed è una creazione artificiosa, a fronte dell'abbondanza virtuale e che quindi parte svantaggiata - una scarsità digitale certificata, gli NFT falliscono in partenza. Vale per le collectibles di scimmie annoiate (le 4 bored Apes) e gli outfit firmati per gli avatar come per i crypto asset più solidi.

Ci dovremmo forse abituare all'idea che una forma digitale di edizione limitata sostituisca l'opera unica, intesa come riprodotta in un unico esemplare e appartenente a un unico centro proprietario? Il concetto di originalità è relativamente nuovo, siamo solo noi ad averlo dimenticato; è dall'ottocento in poi che si dà valore alla "prima copia" – perché così potremo definire in un certo senso l'opera originale – e unicamente a quella.

Vale più la Gioconda del Louvre o quella, supposta tale e attribuibile forse allo stesso Leonardo, rimasta per tanto tempo semiignorata a Montecitorio o, ancora, la più giovane "Isleworth Mona Lisa", sempre di Leonardo, sbucata fuori da un caveau di una banca svizzera? Chi può dire quale fosse la versione migliore secondo il giudizio del Grande Maestro. Forse è a questo che sorride da cinquecento anni la signora Gherardini.

La distinzione rileva ai fini dell'individuazione del Giudice da adire: per i diritti d'autore competente per materia è il Tribunale delle imprese, per tutti gli altri diritti la causa andrà iscritta al Ruolo generale civile e assegnata a una sezione civile. E senza qui affrontare il ben più complicato problema della competenza territoriale, nazionale ed internazionale.

Prevalenza dell'acquisto del possessore in buona fede.

Una causa potrebbe comunque non dare ragione al titolare di un NFT e questo perché il bene, analogico o digitale, legato all'NFT e al suo certificato di proprietà è e resta un bene mobile e soggetto come tale alla relativa disciplina codicistica. I beni mobili non sono soggetti a un regime di pubblicità legale come invece i beni immobili, auto e aeroplani (questi ultimi, beni mobili registrati).

Il registro NFT, tenuto da un soggetto privato, il singolo Marketplace, non è obbligatorio, come non è obbligatoria la sua conoscenza da parte di un terzo. Il terzo, acquirente dello stesso bene mobile su cui insiste l'NFT, andrebbe considerato in buona fede, non potendosi configurare un suo obbligo di ricercare sui libri mastri delle decine, centinaia di Marketplace che stanno proliferando di giorno in giorno. In più, non c'è alcuna legislazione nazionale che riconosca gli NFT che, al più, possono valere come data certa rispetto a terzi, conservando un'efficacia inter partes, limitata al dante causa.

Gli NFT sono e vogliono restare un fenomeno transnazionale e le criptovalute fanno concorrenza diretta alle valute nazionali che tendono a soppiantare e le contromosse stanno arrivando, come ad esempio i bandi intermittenti al loro utilizzo e gli E-Yuan.

Si pone un ulteriore problema di conservazione del documento informatico, in quanto se per un qualsiasi motivo chiude il Marketplace, quella determinata blockchain che i suoi server ospitavano rischia di sparire per sempre.

Lo spazio su internet è dato dalla somma dei contributi dei vari server attivi e dalla fame energetica delle Farm che "minano" le criptovalute al punto da sconvolgere già l'economia di interi Paesi periferici del mondo globale, dalla Mongolia chiusa in se stessa al Kazakistan in rivolta e immettendo indirettamente quantità incalcolabili di Co2 nell'atmosfera.

La legittimazione potrebbe riguardare a monte lo stesso creatore dell'NFT, che potrebbe "mintare" un'opera non sua o di cui comunque non detiene i diritti, semplicemente battendo sul tempo gli autori e i loro aventi diritto, come nella corsa all'oro dove contava registrare per primo la concessione mineraria e "mining" è giusto il termine fatto proprio dai creatori degli NFT.

Di conseguenza, in caso di vendite plurime – rischio sempre presente per i beni mobili, comprese le opere d'arte, mercato che rappresenta un buon 20% di tutti gli NFT - l'ordinamento dà prevalenza al possessore in buona fede. "Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà."

Così recita l'art. 1153 del codice civile che al secondo comma aggiunge: "La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente." Libera da tutto e quindi anche da eventuali NFT altrui. E questo vale per la proprietà come per i diritti i diritti di usufrutto, di uso e di pegno (comma III°).

Nel mondo dell'arte si dice che il possesso vale mezzo contratto e non si perde mai di vista dove si trovi fisicamente l'opera. Cosa resta al titolare di un NFT?

Sostenere che il terzo non era in buona fede, magari perché gli aveva notificato o comunicato in modo dimostrabile un titolo d'acquisto precedente dello stesso bene.

In fondo, occorrono soltanto 7.752.999.999 notifiche, pari alla popolazione della Terra meno uno aggiornata al 2020, per dormire sogni sereni e mettere il proprio wallet virtuale al sicuro.

Ma nella realtà dei fatti i competitors diretti sono molto meno e più facilmente individuabili. È sempre bene ricordare che l'ordinamento non vieta la concorrenza, si preoccupa soltanto che non sia sleale.

* Avvocato, si occupa di diritto del lavoro, proprietà intellettuale ed Art law, abilitato al patrocinio in Corte di Cassazione. Docente di diritto dell'arte al Master universitario "Consulente d'arte" della Uniarp. Autore di: "Il Collezionista d'arte contemporanea" e "First art kit" con iemme edizioni e di "Compendio di diritto d'autore" per Primiceri editore.

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