Civile

La parodia di Zorro per l'acqua minerale: i limiti all'utilizzo di una figura protetta dal diritto d'autore

La Cassazione, ordinanza n. 38165/2022, fa il punto sulla disciplina che tutela marchi e copyright

di Francesco Machina Grifeo

Fino a dove è lecita la parodia di un personaggio di fantasia ancora protetto dal diritto d'autore per pubblicizzare un prodotto commerciale? A questa domanda fornisce risposta, pur rinviando alla Corte di appello di Roma per le specifiche valutazioni di fatto, l'ordinanza n. 38165 della Cassazione con riguardo all'utilizzo della figura di Zorro, così come uscita dalla penna dello scrittore americano Johnston McCulley nel 1919 (e dunque prescindendo dalla eventuale "storicità" del personaggio), da parte di una società produttrice di acque minerali. La società che possedeva i diritti d'autore dell'impareggiabile spadaccino (e che ne aveva anche concesso licenza d'uso alla Cocacola), aveva chiesto tutela rispetto ad una campagna televisiva e radiofonica in cui il giustiziere interpretato da Max Tortora pubblicizzava l'acqua Brio Blu.

La società si era difesa sostenendo che ormai i diritti erano scaduti ma la Cassazione (già interpellata una prima volta) ha subito chiarito che in forza della Convenzione di Ginevra del 1952 le opere di cittadini statunitensi pubblicate in Italia godono della medesima protezione prevista dall'articolo 25 dalla nostra legge n. 633 del 1941, e cioè fino al settantesimo anno solare dalla morte dell'autore.

Sgombrato il campo da questo tema, la Corte affronta i limiti all'utilizzo in chiave parodistica di un personaggio tutelato dal diritto d'autore. La Prima Sezione civile, affermando alcuni principi di diritto, ha per prima cosa definito cosa debba intendersi per parodia: si tratta, spiega la Corte, di "un atto umoristico o canzonatorio che si caratterizza per evocare un'opera, o anche un personaggio di fantasia e non richiede un proprio carattere originale, diverso dalla presenza di percettibili differenze rispetto all'opera o al personaggio che sono parodiati".

Dunque, il valore creativo "non è pregiudicato dall'identità o quasi identità delle forme espressive riconducibili, rispettivamente, alla parodia e all'opera parodiata". La parodia però "deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell'opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell'autore della parodia stessa; in tal senso, la ripresa dei contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell'opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l'utilizzazione economica dei medesimi».

La liceità della parodia dell'opera o del personaggio creati da altri trova quindi il proprio fondamento nell'utilizzazione prevista dall'articoo 70, comma 1, della legge n. 633/1942 che consente il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico, se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera. Ora, prosegue la decisione, il diritto di critica e di discussione può essere speso con diverse modalità, tra cui è ricompreso il registro ironico, utilizzato nella satira, e quello comico e burlesco, impiegato nella parodia, ove, attraverso l'uso della provocazione grottesca, si ridicolizzano elementi caratterizzanti di un'opera: attività, questa, che può lecitamente compiersi anche con riferimento a un personaggio di fantasia.

Ha errato dunque la Corte di appello ad escludere la liceità dello spot pubblicitario osservando che lo stesso non integrava una «rielaborazione di un'opera originale avente un riconoscibile apporto creativo, teso a promuovere nuove idee o nuovi messaggi dell'autore verso il pubblico», bensì «un'opera che oggettivamente si caratterizza per un evidente agganciamento del personaggio Zorro, creato da J. McCulley». In tal modo, spiega la Corte, il Giudice distrettuale ha subordinato l'utilizzazione libera a condizioni diverse da quelle sopra indicate, valorizzando, oltretutto, un elemento ― quello dell'agganciamento al personaggio originale, che è connaturato ad ogni rappresentazione parodistica avente ad oggetto un personaggio di fantasia.

Sarà dunque il Giudice del rinvio a dover verificare se lo spot integri o meno una lecita parodia del personaggio Zorro tutelato dalla legge sul diritto di autore.

La Sezione ha però accolto anche un motivo di ricorso della Zorro Production censurando la decisione della Corte di appello laddove ha escluso la violazione del diritto sul marchio osservando come il personaggio non sarebbe connesso al prodotto e non risulterebbe in grado di differenziarlo: "Zorro non risulta bere, nello spot, l'acqua commercializzata da … e l'immagine dello stesso non risulta neanche apposta sulle confezioni del prodotto". Un ragionamento sbagliato perché, come sostenuto dalla ricorrente incidentale, "ai fini della contraffazione non era necessario che si facesse un utilizzo del segno per contrassegnare fisicamente il prodotto essendo invece sufficiente che del marchio si faccia un uso di tipo narrativo idoneo ad agganciare i pregi del marchio altrui».

In definitiva, conclude la Cassazione: «In tema di marchi d'impresa (avendo riguardo alla disciplina anteriore alla modifica dell'art. 20 c.p.i. attuatasi con l'art. 9, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 15/2019) lo sfruttamento del marchio altrui, se notorio, è da considerarsi vietato ove l'uso del segno senza giusto motivo, posto in essere nell'attività economica, consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio agli stessi, a nulla rilevando che il marchio non sia utilizzato per contraddistinguere i prodotti o i servizi dell'autore dell'uso, come può avvenire nel caso della rappresentazione parodistica del marchio in questione».

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