Amministrativo

Niente cittadinanza se i figli del richiedente hanno commesso reati

Secondo il Tal Lazio la stabilità parentale ed affettiva potrebbe indurre l'interessato ad agevolare comportamenti in contrasto con l'ordinamento giuridico

di Pietro Alessio Palumbo

La circostanza che i numerosi precedenti penali non riguardino specificatamente il richiedente la concessione della cittadinanza, bensì i suoi figli, non intacca a giudizio del Tar Lazio (sentenza n. 7144/2023), la legittimità del diniego della stessa, risultando i rapporti filiali indici dell'esistenza di un legame stabile e duraturo che fonda le proprie radici nella famiglia e nei suoi connessi aspetti affettivi.
Tutto ciò con la conseguenza che proprio la stabilità parentale ed affettiva potrebbe indurre l'interessato ad agevolare, anche soltanto per ragioni affettive, comportamenti ritenuti in contrasto con l'ordinamento giuridico, che ne inficiano le prospettive di ottimale inserimento in modo duraturo nella comunità nazionale.

Il caso esaminato
Nella vicenda il ricorrente contestava la legittimità del provvedimento emesso dal Ministero dell'Interno, con il quale era stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana stante la presenza di pregiudizi di carattere penale a carico dei suoi due figli. In particolare, a carico di uno dei due risultavano segnalazioni penali per ricettazione, furto, uso di sostanze stupefacenti. A carico dell'altro figlio risultava una denuncia per violenza privata. Dunque una situazione evidentemente "critica" nell'ambito del contesto familiare.
A giudizio del tribunale amministrativo romano non può non tenersi conto del notevole disvalore che l'ordinamento penale attribuisce ai suddetti reati, in particolare a quelli di ricettazione e furto, che combinati tra loro comportano l'inserimento del reo in una rete facente capo a gruppi criminali che organizzano la distribuzione commerciale di prodotti provenienti dalla commissione di altri gravi delitti. Ed in senso contrario non vale il principio della personalità della responsabilità penale, invocato dal ricorrente. Ciò in quanto, all'evidenza, il diniego in argomento non estende al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi dai figli, ma impedisce che la concessione della cittadinanza, sebbene a persona diversa da quella responsabile penalmente, possa comunque recare danno alla comunità nazionale. È noto, infatti, che l'acquisto della cittadinanza da parte di un familiare comporta non solo, come comunemente si ritiene, benefici indiretti anche per gli altri membri del nucleo, tra i quali l'impossibilità di espellere i parenti entro il secondo grado e la possibilità di ottenere un permesso per motivi familiari, ma comporta, altresì, l'estensione di tale status sia ai figli minorenni conviventi, sia al coniuge, che ha un vero e proprio diritto soggettivo al riconoscimento di tale status, salvo sussistano i fattori ostativi tassativamente indicati dalla legge.

Effetti dei precendenti penali dei figli
Per il Tar di Roma la valutazione dei pregiudizi penali a carico dei parenti non può, quindi, non rilevare nella valutazione del procedimento concessorio in parola, in quanto l'Amministrazione deve verificare la sussistenza della coincidenza dell'interesse pubblico con quello del richiedente, tenendo conto delle conseguenze che discendono dal conferimento della cittadinanza.
Se si considera il particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico, avente natura composita, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell'identità nazionale, non è difficile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne può derivare sul piano dell'agire del soggetto pubblico alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l'Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l'assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

"Valore" della cittadinanza
La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che, nei fatti, sia già stato portato a compimento; la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l'attribuzione dello status giuridico.
In altri termini, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire solo quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella società, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all'ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato. E da ciò deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall'Amministrazione, circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

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