Casi pratici

Responsabilità della società ex D.Lgs. n. 231/01 per lesioni colpose

di Laura Biarella

la QUESTIONE
Quali misure deve adottare un'azienda per evitare, in caso di infortunio sul lavoro, di incorrere nelle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231/2001 a carico degli enti che non si siano dotati di un adeguato modello di organizzazione e di prevenzione? In che cosa consiste concretamente il modello organizzativo? Il modello può essere predisposto anche in un'azienda di medio-piccole dimensioni, o costituisce un onere, in termini di energie e di costi, tale da renderlo di fatto compatibile soltanto con grandi strutture? Con riferimento agli infortuni sul lavoro, il modello di prevenzione adottato ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008 (abrogativo del D.Lgs. n. 626/1994) coincide con il modello organizzativo previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 o svolge funzioni diverse e non ne è quindi sostitutivo?

Con l'introduzione dell'art. 25-septies nel D.Lgs. n. 231 del 2001, il legislatore ha esteso la responsabilità amministrativa delle società ai casi di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi e gravissime commessi con violazione della normativa antiinfortunistica.
Sul punto, si accese immediatamente un vivace e acceso dibattito, alimentato dallo scetticismo che suscitava l'introduzione di fattispecie colpose all'interno di un sistema in cui il presupposto soggettivo è ancorato all'interesse o al vantaggio dell'ente: in altre parole, si registravano dubbi di compatibilità tra una fattispecie mancante dell'intenzionalità del dolo e un elemento soggettivo fortemente marcato, quale è l'interesse o il vantaggio, implicante la volontà di commettere un delitto pur di avvantaggiare l'ente di appartenenza della persona fisica.
Si è, allora, affermato che la responsabilità dell'ente sussiste allorquando la condotta colposa – cagionante l'evento delittuoso delle lesioni ovvero dell'omicidio – sia stata determinata dalla scelta organizzativo – aziendale di ridurre i costi legati alla dotazione dei sistemi e degli apparati preventivi per i lavoratori. Pertanto, ciò che deve valutarsi, nell'ipotesi di fattispecie colpose quali quelle ivi occorrenti, non è l'evento bensì la condotta, quale elemento costitutivo del reato qualificante l'aione delittuosa ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'ente: l'evento morte o l'evento lesioni, con tutta probabilità, non sono voluti dal soggetto agente ma la condotta è, invece, tenuta in maniera cosciente, nel senso che vi è la consapevolezza che non adottando gli accorgimento prescritti in materia infortunistica si avrà un risparmio dei costi, ma anche un rischio di accadimenti lesivi in danno dei lavoratori. Quale conseguenza, nessuno spazio di esonero potrà riconoscersi ad aziende di piccole dimensioni per le quali l'adozione del modello 231 potrebbe rappresentare un costo ingente
Di certo, quel che può sortire il maggiore effetto preventivo è la dotazione di un modello di organizzazione e controllo, tale essendo quello che, ai sensi dell'art. 7, D.Lgs. cit., "prevede misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio". Modello che, si badi, è ulteriore rispetto al DUVRI e al DVR di cui al D.Lgs. 81 del 2008, in quanto solo a questo si ricollega l'efficacia esimente della responsabilità ‘penale' dell'ente, non essendo a tale ultimo fine sufficiente la mera adozione dei documenti prescritti al fine di organizzare e gestire gli adempimenti in materia antinfortunistica.
La normativa di cui al D.Lgs. 231 del 2001, peraltro, consente che anche un ente già imputato possa evitare la comminatoria di sanzioni interdittive e/o pecuniarie, adottando condotte ripristinatorie: tra queste, posizione cardine è attribuita all'adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo, oltre il risarcimento del danno e la messa a disposizione del profitto ai fini della confisca.

Quadro normativo
Con due interventi normativi il Legislatore ha dapprima esteso (art. 9, legge n. 123/2007) e quindi parzialmente disciplinato (D.Lgs. n. 81/2008) la c.d. "responsabilità amministrativa degli enti" con riferimento agli omicidi colposi, nonché alle lesioni colpose gravi e gravissime, avvenuti con violazione della normativa sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro ovvero sulla prevenzione degli infortuni (alla quale d'ora in poi si farà unicamente riferimento per brevità, ricomprendendovi anche la prima). Come noto, il D.Lgs. n. 231/2001 prescrive che la società possa andare esente da responsabilità per il reato commesso dal dipendente dimostrando di avere adottato e concretamente attuato un adeguato modello di organizzazione e di gestione in grado di prevenire la consumazione dei reati contemplati dal D.Lgs. n. 231/2001. Anche nel caso di omicidio o lesioni colpose, pertanto, graverà sulla società l'onere di provare l'intervenuta adozione di tale modello. D'altro canto la materia antiinfortunistica è da sempre stata oggetto di un'articolata disciplina normativa di natura prevenzionale, essenzialmente prevista dai D.P.R. n. 547/1955, n. 164/56, n. 303/1956 e n. 277/1991; nonché, dal D.Lgs. n. 626/1994, e per il settore edilizio (concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei e mobili) dal D.Lgs. n. 494/1996. L'intera materia - come noto - è stata oggi completamente riorganizzata e riunita in un unico corpus normativo con l'entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che - nei limiti di cui all'art. 304 - ha sostanzialmente abrogato tutte le prescrizioni legislative precedenti e nel quale, come si vedrà in seguito, è altresì espressamente contenuta una specifica disciplina per la costruzione dei modelli organizzativi di cui al D.Lgs. n. 231/2001. Si potrebbe quindi ritenere che la prova del corretto adempimento di quanto previsto dalla normativa appena citata, oltreché, naturalmente, dalle altre disposizioni settoriali in tema di prevenzione ancora vigenti, esaurisca gli oneri di prevenzione a carico della società, e si risolva pertanto nell'esenzione dalla responsabilità amministrativa prevista dal D.Lgs. n. 231/2001. A guardar bene, la questione si ripropone negli stessi termini ogniqualvolta si sia in presenza di settori già ampiamente e rigorosamente normati; così come nel caso della disciplina del market abuse e del riciclaggio, laddove i relativi illeciti hanno fatto il loro ingresso nel D.Lgs. n. 231/2001, rispettivamente, nel 2005 e 2008. Analogamente, anche per tali fattispecie sorge spontanea la domanda su quali siano gli ulteriori adempimenti che le società debbano eventualmente adottare per andare esenti da responsabilità, laddove si siano già ampiamente conformate a quanto richiesto dalle rispettive discipline di settore. Un'attenta analisi dell'impianto prevenzionistico introdotto con il D.Lgs. n. 231/2001 porta peraltro a concludere che i sistemi normativi sopra citati non si pongono rispetto al primo in un rapporto di sovrapposizione, bensì di complementarietà. Se è vero, infatti, che il modello organizzativo imposto dal D.Lgs. n. 231/2001 dovrà necessariamente comprendere il puntuale rispetto della normativa antiinfortunistica, è altrettanto vero che esso deve tendere a un obiettivo più ampio, vale a dire quello di creare all'interno della struttura aziendale un sistema di vigilanza capace di istituire e di applicare procedure appositamente studiate per assicurare il corretto adempimento della normativa antiinfortunistica, di verificare nel tempo che siano attuate e di aggiornarle costantemente rispetto alle lacune che si siano evidenziate e ai nuovi rischi eventualmente introdotti nelle attività aziendali. Volendo sintetizzare in uno slogan il rapporto tra i due sistemi, si potrebbe dire che la disciplina antiinfortunistica di cui al D.Lgs. n. 81/2008 istituisce tutti i presidi in grado di prevenire il sinistro, mentre il modello concepito dal D.Lgs. n. 231/2001 li struttura in un protocollo finalizzato a rendere impossibile il sinistro. Si tratta quindi di comprendere quali adempimenti, ulteriori rispetto alla normativa antiinfortunistica tradizionale, richieda il novellato D.Lgs. n. 231/2001, e quali siano i requisiti di adeguatezza dei modelli organizzativi richiesti, tali da garantire alla società l'esenzione da responsabilità.
Il D.Lgs n. 121/2011 ha modificato il D.Lgs 231/2001 estendendo la responsabilità amministrativa degli enti anche agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell'ambiente ed ha introdotto nel codice penale due nuove fattispecie di reato:
a) distruzione o deterioramento significativo di un habitat all'interno di un sito protetto (art. 737-bis);
b) l'uccisione o il possesso, fuori dai casi consentiti, di specie vegetali o animali protette (art. 727-bis).
Da ultimo, con la legge 15 dicembre 2014, n. 186, è stato introdotto, nell'ambito dei reati presupposto, anche il cd. "autoriciclaggio", contenuto nell'art. 25-octies, D.Lgs. 231 del 2001, fattispecie che incrimina la condotta di occultamento dei proventi derivanti da crimini propri, di frequente sussistenza in relazione ad altri reati quali l'evasione fiscale, la corruzione e l'appropriazione di beni sociali.

Il focus del sistema: il modello di organizzazione, gestione e controllo
Come detto in precedenza, in extremiis o, ancora meglio, in via preventiva, il perno intorno al quale ruota la responsabilità amministrativa dell'ente è il modello di organizzazione, gestione e controllo.
Finalità e requisiti del modello
Il modello adottato a norma dell'art. 6, D.Lgs. n. 231/2001, deve in linea generale rispondere ai seguenti requisiti:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazioni ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Con riferimento alla materia antiinfortunistica, peraltro, l'art. 30, D.Lgs. n. 81/2008, prescrive una serie di specifici requisiti cui deve attenersi il relativo modello organizzativo.
L'art. 2, L. n. 179/2017 ha inoltre inserito ulteriori due commi, così prevedendo che i modelli di cui alla lettera a) soprariportata prevedono:
a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell'integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell'identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;
b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell'identità del segnalante;
c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;
d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.
Inoltre, è stato precisato che l'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui sopra può essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall'organizzazione sindacale indicata dal medesimo.
Inoltre, si è specificato che il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'art. 2103 c.c., nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. È onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

Materia antiinfortunistica
Il modello, in particolare, deve assicurare la presenza, all'interno dell'organizzazione aziendale, di funzioni e procedure che assicurino la puntuale osservanza di tutti gli obblighi previsti dalla legge relativi:
a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
d) alle attività di sorveglianza sanitaria;
e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
g) all'acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.
Il modello deve altresì garantire che l'organizzazione aziendale di prevenzione sia effettivamente adottata e rispettata, risulti efficace e sia aggiornata nel tempo in dipendenza dai mutamenti intervenuti all'interno dell'azienda.
Devono essere quindi ulteriormente previsti:
a) adeguate procedure di registrazione dell'avvenuta effettuazione di tutte le attività sopraelencate;
b) un'articolazione di funzioni, proporzionale alle dimensioni e alla complessità dell'azienda, che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
c) un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate.
Inoltre, devono essere previste la revisione e l'eventuale aggiornamento del modello allorché siano rilevate violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'attività o nell'organizzazione aziendale dipendenti dal progresso scientifico o tecnologico. Infine, a norma dell'art. 6, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 231/2001, deve essere istituito all'interno dell'ente un organismo "dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo" con il compito di vigilare sul funzionamento, l'osservanza e l'aggiornamento del modello. Trattasi del c.d. "organismo di vigilanza" che, a norma dell'art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 231/2001, negli enti di piccole dimensioni può essere impersonato anche dall'organo dirigente. Ciascuna azienda, quale che sia la sua dimensione e attività, dovrà pertanto procedere alla predisposizione del modello, coordinandolo con la propria organizzazione per la sicurezza sul lavoro, adottata a norma del D.Lgs. n. 81/2008. Dovrà poi istituire l'organismo di vigilanza, eventualmente in capo all'organo dirigente (nei termini di cui si dirà nella seconda parte del presente lavoro, che sarà pubblicata sul prossimo numero di questa rivista).
Tuttavia, non è idoneo ad esimere la società da responsabilità amministrativa da reato, il modello organizzativo che prevede la istituzione di un organismo di vigilanza sul funzionamento e sulla osservanza delle prescrizioni adottate non provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo, ma sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato (Cassazione pen., Sez. V, 30 gennaio 2014, n. 4677). Ma è stato anche precisato, come la colpevole ed inescusabile inerzia del collegio sindacale e la omissione, da parte di tale organo, di qualsiasi forma di controllo e vigilanza sull'operato degli amministratori societari, in relazione alle gravi irregolarità contabili e fiscali ed alla distrazione, verso destinazione ignota, di rilevanti somme del patrimonio societario, determinano la responsabilità dei sindaci nei confronti della società (nella specie del fallimento). Né, in senso contrario, può rilevare la dedotta mancata accettazione della nomina a sindaco, tuttavia regolarmente iscritta nel registro delle imprese, conseguente al positivo esito del controllo di veridicità e regolarità formale dell'atto (Corte d'Appello di Campobasso, 15 febbraio 2014, n. 38).

Facoltatività del modello e implicazioni della sua mancata adozione
È importante ribadire che l'adozione del modello (eccezion fatta per le società quotate al segmento STAR della Borsa) non è obbligatoria. Nessuna sanzione potrà pertanto essere applicata alla società che ne abbia omesso l'adozione, così come nessun obbligo di adottare il modello può essere imposto a un'azienda in sede giudiziale, neppure in sede di applicazione di una misura cautelare.
Il rischio connesso al verificarsi di una delle fattispecie presupposto della responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001 deve pertanto essere qualificato, a tutti gli effetti, un "rischio imprenditoriale", da affrontare secondo gli ordinari criteri di risk management. Una più meditata e lungimirante analisi del contesto normativo e delle modificazioni che esso è destinato a introdurre nelle prassi commerciali, peraltro, porta sin d'ora a concludere che, per tutti i soggetti imprenditoriali anche piccoli, ma che ambiscano a collocarsi nel mercato sano, l'adozione del modello sia ormai divenuta una scelta ineludibile e non più rinviabile. Sul piano strettamente giuridico, la valutazione delle conseguenze che l'ente potrebbe trovarsi a dover affrontare a seguito del verificarsi di uno dei reati-presupposto di cui al D.Lgs. n. 231/2001 offre una prospettiva decisamente preoccupante. In assenza del modello - e stante la sussistenza degli ulteriori requisiti della fattispecie di cui agli artt. 5, 6 e 7 - la responsabilità dell'ente non potrà, infatti, essere posta in discussione, con le relative conseguenze sanzionatorie. Al riguardo si rammenta che, oltre alla sanzione pecuniaria, da un minimo di 250 a un massimo di 1.000 quote a seconda dell'ipotesi di reato occorsa (l'importo di una quota, come noto, varia da 258 a 1.549 euro), l'art. 25 septies D.Lgs. n. 231/2001 prevede l'applicazione delle sanzioni interdittive di cui all'art. 9, comma 2, tra le quali spiccano l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni e il divieto di contrattare con la P.A. Si deve peraltro rammentare che le misure di cui sopra (con la variante eventuale della nomina di un commissario giudiziale in luogo dell'interdizione dall'attività), a norma dell'art. 45, D.Lgs. n. 231/2001, possono altresì essere adottate sotto forma di misure cautelari «quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente (...) e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede».
Risultando provata ex lege la responsabilità dell'ente in tutti i casi di assenza del modello, sarà sufficiente il pericolo di reiterazione del reato, desumibile, per esempio, da una deficitaria organizzazione prevenzionistica del ramo aziendale ove il sinistro è occorso, per correre il concreto rischio di vedersi applicare una misura cautelare capace di arrecare un danno rilevantissimo alla capacità produttiva e alle prospettive commerciali dell'azienda. Al riguardo, e al solo fine di dare compiutamente conto della molteplicità di profili problematici aperti dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2001, merita di essere segnalata la sentenza del Tribunale civile di Milano del 13 febbraio 2008, n. 1774, che ha condannato il presidente e l'amministratore delegato di una s.p.a., di cui era stata affermata la responsabilità amministrativa per illecito da reato (truffa e corruzione), al risarcimento del danno patito dalla società per effetto dell'omessa adozione di un congruo modello di organizzazione, gestione e controllo con finalità penal-preventiva. Su tutt'altro piano, vi è poi da considerare l'evoluzione del mercato indotta dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2001, e presumibilmente destinata ad acquistare, nel tempo, i connotati di una piccola "rivoluzione culturale" (quale, d'altro canto, è il superamento del principio dell'assoggettabilità a responsabilità penale della sola persona fisica): tutti i soggetti economici di grandi dimensioni si sono dotati o si stanno dotando del modello, e, nell'ambito delle cautele da adottarsi nei rapporti con gli appaltatori di servizi (apposito capitolo del modello), stanno a loro volta cominciando a richiedere ai fornitori - quale specifico standard qualitativo - l'allegazione del proprio modello, o quanto meno l'impegno a conformarsi alle prescrizioni del D.Lgs. n. 231/2001; ciò al fine di assicurarsi e di dar prova (anche in prospettiva giudiziale) che un adeguato livello di prevenzione è stato garantito anche nelle fasi e nei processi di lavorazione gestiti interamente o parzialmente in subappalto. È presumibile quindi che, nel medio termine, tra i requisiti richiesti ai fornitori di servizi, almeno nei confronti dei grandi gruppi/soggetti imprenditoriali, vi sarà l'adozione del modello organizzativo.

Considerazioni conclusive
Il modello previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, pur definito dalla legge come facoltativo, si avvia a divenire di fatto imprescindibile per l'impresa, sia al fine di evitare significative conseguenze pregiudizievoli in caso di avvenuta commissione di illecito, sia al fine di instaurare correttamente rapporti di fornitura e/o di cooperazione commerciale, laddove il modello sarà richiesto dalla controparte a garanzia dell'adozione delle opportune misure di prevenzione anche nelle fasi del rapporto contrattuale sottratte alla sua diretta sorveglianza. Nell'ambito della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, in particolare, il modello preventivo prescritto dal D.Lgs. n. 81 del 2008 coincide solo parzialmente con il modello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001. Il primo, infatti, è soddisfatto dall'adozione di tutte le misure di prevenzione prescritte dalla legge; mentre il secondo (a parte l'integrazione con le ulteriori tipologie di reati presupposto di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001) richiede invece all'impresa di strutturare il modello prevenzionistico, anche perfezionandolo e arricchendolo oltre gli obblighi di legge, in modo tale da escludere il verificarsi di sinistri se non in caso di dolosa o colpevole inosservanza delle procedure codificate dal modello stesso. Da ultimo la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sentenza 17 marzo 2022, n. 9006) ha precisato che: "la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articolo 25-septies, comma 3, in relazione al reato di cui all'articolo 590 c.p., che si assume commesso nell'interesse ed a vantaggio dell'ente, non determina l'estinzione dell'illecito alla stessa addebitato".

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