Casi pratici

L'istituto del concordato preventivo nel Codice della crisi d'impresa

Regime intertemporale

di Rossana Mininno

la QUESTIONE
Qual è la finalità del concordato preventivo? In cosa consiste la causa concreta del negozio concordatario? La percentuale di soddisfacimento dell'un per cento (1%) offerta dal debitore proponente ai creditori chirografari è idonea a far ritenere sussistente la causa del negozio concordatario?


In data 15 luglio 2022, dopo svariati rinvii, è entrato in vigore il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155" (in seguito "Codice della crisi" o "c.c.i."), successivamente modificato con il decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. Decreto correttivo) e con il decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83, adottato in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, nonché le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (c.d. Direttiva insolvency).

Il nuovo corpus normativo comprende anche la materia del sovraindebitamento, in precedenza regolata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3 ("Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento").

L'articolo 390 c.c.i. - precipuamente dedicato, come evincibile dalla relativa rubrica (id est, "Disciplina transitoria"), all'individuazione del regime normativo intertemporale - ha sancito l'ultrattività della disciplina recata dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante la "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa" (in seguito "Legge fallimentare" o "l.f."), le cui disposizioni continuano ad applicarsi, tra gli altri, ai ricorsi per l'apertura del concordato preventivo "depositati prima dell'entrata in vigore" del Codice della crisi (cfr. art. 390, co. 1, c.c.i.), alle procedure concordatarie «pendenti alla data di entrata in vigore» del Codice della crisi (cfr. art. 390, co. 2, c.c.i.), nonché a quelle «aperte a seguito della definizione dei ricorsi» proposti in epoca antecedente all'entrata in vigore del Codice della crisi (cfr. art. 390, co. 2, c.c.i.).

Con riferimento alle procedure assoggettate alla disciplina della Legge fallimentare le disposizioni del Codice della crisi sono suscettibili di assumere una valenza interpretativa, limitatamente, però, al caso in cui «ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro» (Cass. civ., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504).

La procedura concordataria secondo la Legge fallimentare

Finalità e natura


Il concordato preventivo è disciplinato nel Titolo III ("Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione") della Legge fallimentare.

Per quanto attiene al profilo finalistico la procedura concordataria, «diversamente dal fallimento, caratterizzato da finalità solo liquidatorie, tende piuttosto alla risoluzione della crisi di impresa» (Cass. civ., Sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4329) e consente all'imprenditore commerciale che versi in uno «stato di crisi» - intendendosi tale «anche lo stato di insolvenza» (art. 160, co. 3, l.f.) - di evitare l'evoluzione della crisi in fallimento (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. I, 30 settembre 2005, n. 19210), mediante la regolazione, in maniera concertata con i creditori, dei rapporti con i medesimi.

L'obiettivo del superamento dello stato di crisi è «ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell'interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento» (Cass. civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521).

Quanto al profilo ontologico il concordato preventivo risulta - a seguito dell'intervento riformatore di cui al decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 ("Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6 della legge 14 marzo 2005, n. 80") - «caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e dal decisivo rilievo della volontà dei creditori e del loro consenso informato» (Cass. civ., Sez. I, 25 ottobre 2010, n. 21860).

La (ritenuta) natura prevalentemente contrattuale del concordato preventivo non comporta sic et simpliciter l'applicazione della disciplina codicistica: invero, al ricorrere di vicende patologiche quali, a titolo esemplificativo, l'inadempimento del concordato preventivo, benché la normativa utilizzi una terminologia propria della generale disciplina della risoluzione dei contratti, «la peculiare natura del concordato preventivo impedisce una traslazione tout court in questo ambito delle categorie proprie del vizio funzionale dell'accordo» (Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652); il mancato avveramento del piano assume rilievo «secondo una logica ben diversa da quella dell'art. 1218 cod. civ., a mente del quale l'inadempimento costituisce un fatto causativo di responsabilità a carico della parte inadempiente» (Cass. n. 20652/2019).

A tale riguardo le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno escluso la pregiudizialità, rispetto alla declaratoria del fallimento, della previa risoluzione del concordato preventivo, potendo l'imprenditore inadempiente rispetto al pagamento dei debiti concordatari essere «dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del pubblico ministero o sua propria, anche prima ed indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 l.fall.» (Cass. civ., Sez. Un., 14 febbraio 2022, n. 4696), in quanto «nella previsione di legge, risoluzione del concordato preventivo e fallimento costituiscono adesso istituti ed eventi del tutto autonomi, distinti ed anche operativamente tra loro slegati» (Cass. n. 4696/2022 cit.). Diversamente opinando, si introdurrebbe «nell'ordinamento una vistosa deroga alla regola generale di fallibilità dell'imprenditore commerciale insolvente ex artt. 1 e 5 l.fall., e ciò in forza di una interpretazione priva di riscontro nella lettera della legge e solo apparentemente sistematica» (Cass. n. 4696/2022 cit.).

Il concordato preventivo non costituisce un contratto a prestazioni corrispettive, ma un «istituto avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all'esito dell'omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisoggettiva» (Cass. civ., Sez. I, 13 luglio 2018, n. 18738).

La causa concreta del concordato preventivo, «da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro» (Cass. n. 1521/2013 cit.).

La domanda di ammissione alla procedura concordataria

La procedura di concordato preventivo ha avvio con la presentazione, da parte del debitore, della domanda di ammissione, nella forma del ricorso al tribunale competente per la dichiarazione di fallimento (id est, il tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale).

La domanda può essere presentata unitamente alla proposta concordataria completa dei relativi allegati (domanda c.d. piena) oppure priva di proposta (domanda c.d. con riserva o in bianco o con prenotazione).

La domanda c.d. piena è corredata dai seguenti documenti: una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa; uno stato analitico ed estimativo delle attività; l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili; un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, nonché l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore.

La domanda c.d. in bianco è stata introdotta nell'articolato della Legge fallimentare dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 ("Misure urgenti per la crescita del Paese"), convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, mediante il quale il legislatore ha riconosciuto all'imprenditore la possibilità di allegare alla domanda esclusivamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e di riservarsi, nel contempo, di presentare la proposta concordataria, il piano e l'ulteriore documentazione entro un termine fissato dal giudice.

Con l'introduzione di tale particolare tipologia di domanda il legislatore ha inteso consentire all'imprenditore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, quali in primis il blocco delle azioni esecutive e cautelari (cfr. art. 168, co. 1, l.f.), onde impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano possano aggravare lo stato di crisi sino a generare uno stato di insolvenza irreversibile.

Il decreto-legge n. 83 del 2012 ha, altresì, riconosciuto all'imprenditore, in sostanziale analogia con quanto già previsto nell'ambito della procedura fallimentare (cfr. artt. 72 e ss. l.f.), la possibilità di sciogliersi - su autorizzazione giudiziale - dai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti ovvero di ottenerne la sospensione (cfr. art. 169 bis l.f.).

La valutazione della fattibilità giuridica ed economica della domanda di concordato preventivo nel formante giurisprudenziale

La proposta concordataria deve essere accompagnata dalla relazione predisposta da un professionista indipendente, scelto dal debitore, il quale deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

Il tribunale provvede all'omologazione del concordato preventivo con decreto motivato, con il quale si chiude la procedura (art. 181 L.F.).

Una questione sulla quale è - reiteratamente - intervenuta la Corte di cassazione attiene al sindacato giudiziale della fattibilità del piano concordatario.

Al fine della sua ammissibilità il concordato preventivo «deve essere apprezzato sotto il profilo dell'effettiva realizzabilità della causa concreta perseguita con il procedimento, con il suo obiettivo specifico, senza alcun contenuto fisso e determinato, correlato al tipo di proposta formulata ed inserito in un più generale quadro volto, da un lato, al superamento della situazione di crisi dell'impresa e, dall'altro, all'assicurazione del soddisfacimento, pur ipoteticamente modesto e parziale, dei suoi creditori» (Cass. n. 20652/2019 cit.).

Il sindacato giudiziale della fattibilità del piano concordatario si esplica in un controllo del suo contenuto, «finalizzato a stabilirne l'idoneità ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento dei crediti rappresentati» (Cass. civ., Sez. I, 26 aprile 2021, n. 10982).

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. VI, 1 marzo 2018, n. 4790; Cass. civ., Sez. VI, 9 marzo 2018, n. 5825; Cass. civ., Sez. I, 26 novembre 2018, n. 30537), il tribunale «è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura» (Cass. civ., Sez. I, 13 marzo 2020, n. 7158).

La verifica comprende sia la fattibilità giuridica che quella economica: «il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti» (Cass. n. 7158/2020 cit.), vertendo, sostanzialmente, sulla «non incompatibilità del piano con norme inderogabili» (Cass. n. 10982/2021 cit.), mentre il controllo sulla realizzabilità del piano concordatario «può essere operato entro la verifica della sussistenza di una manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, con la conseguenza che la proposta concordataria deve ritenersi sempre sindacabile, ove non risulti totalmente implausibile» (Cass. n. 10982/2021 cit.).

Da ciò discende che «il giudice di merito non può omettere di prendere in considerazione gli elementi, originari o sopravvenuti, che influiscano sull'individuazione dell'entità del passivo e dell'attivo ove gli stessi siano di rilevanza tale da poter evidenziare la manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati» (Cass. civ., Sez. I, 28 aprile 2021, n. 11216), dovendo «giungere a dichiarare l'inammissibilità della domanda, ove del concordato sia esclusa la idoneità a realizzare effettivamente la causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico perseguito con la singola proposta» (Cass. civ., Sez. I, 23 luglio 2021, n. 21208).