Comunitario e Internazionale

Repêchage rafforzato a tutela del lavoratore che perde l’idoneità

Per la Corte di giustizia il dipendente disabile, ove perda l'idoneità alla mansione ha diritto a essere assegnato a un altro posto per il quale ha le competenze, le capacità e le disponibilità richieste

di Giampiero Falasca

Obbligo di repêchage esteso e rinforzato per il lavoratore disabile che sia dichiarato inidoneo a esercitare le mansioni assegnate: la Corte di giustizia europea (sentenza nella causa C-485/20) ricorda che, ove perda l’idoneità alla mansione, il dipendente disabile ha diritto a essere assegnato a un altro posto per il quale ha le competenze, le capacità e le disponibilità richieste, a patto che la ricerca del nuovo posto non imponga al datore di lavoro un onere sproporzionato.

La sentenza del giudice comunitario risolve una controversia nata in Belgio, dove la società che gestisce il personale ferroviario, nel novembre 2016, aveva assunto con contratto di tirocinio un agente di manutenzione specializzato. A questo lavoratore era stata diagnosticata una patologia cardiaca che richiedeva un pacemaker sensibile ai campi elettromagnetici emessi dalle linee ferroviarie. Per tale ragione, egli veniva riconosciuto disabile dal servizio pubblico e, successivamente, veniva dichiarato inidoneo a esercitare le funzioni per le quali era stato assunto e conseguentemente licenziato.

Il lavoratore ha impugnato il recesso e il Tribunale belga ha chiesto alla Corte di giustizia europea chiarimenti relativi all’interpretazione della direttiva 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e lavoro, nella parte in cui invita il datore a trovare «soluzioni ragionevoli per i lavoratori disabili».

La Corte di giustizia, con la sentenza di ieri, ha precisato che tale nozione implica che un lavoratore dichiarato inidoneo a esercitare le sue mansioni debba essere destinato a un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste.

Questo vuol dire che un datore di lavoro deve adottare le misure capaci di consentire ai disabili di accedere a un’attività e di svolgerla.

La sentenza ricorda quali sono le queste “misure appropriate”: tutti gli accomodamenti ragionevoli destinati a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento, oppure assegnando un diverso posto di lavoro, ammesso che sia vacante in azienda.

La sentenza ricorda, infine, che la direttiva 2000/78 non può obbligare il datore di lavoro ad adottare provvedimenti che impongano un «onere sproporzionato»: per valutare se sussiste tale sproporzione, è necessario tener conto dei costi finanziari che le misure comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni.

La Corte di giustizia precisa, infine, che i principi di parità di trattamento e non discriminazione fissati dalla direttiva 2000/78 valgono per l’accesso a tutti i tipi di lavoro - sia dipendente che autonomo – così come devono orientare le regole di accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale.

Questa lettura è coerente con l’assetto normativo del nostro Paese, definito dalla legge 68/1999, ma avrà sicuramente un impatto rilevante, consolidando e rafforzando quel filone giurisprudenziale che già richiedeva ai datori di lavoro di adottare tutte le misure utili al reimpiego del lavoratore, ivi compresa l’assegnazione a mansioni diverse, prima di procedere al licenziamento per inidoneità alle mansioni.

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