Casi pratici

I debiti IVA nell'esdebitazione del fallito

L'esdebitazione del fallito

di Giancarlo Marzo e Corrado Gallo

LA QUESTIONE
Cosa si intende per esdebitazione del fallito? È ammessa l'esdebitazione anche per i debiti IVA inerenti all'impresa?

L'esdebitazione è un istituto giuridico mutuato dal diritto anglosassone (c.d. "discharge") disciplinato dagli artt. 142 e ss. della Legge Fallimentare, introdotto dalla riforma del 2006 (D. Lgs 9 gennaio 2006, n. 5). Attraverso l'esdebitazione il debitore fallito è definitivamente liberato da ogni debito residuo non soddisfatto a seguito della chiusura del fallimento, in modo tale da poter riacquistare la capacità di svolgere una nuova attività e reinserirsi nel mercato.
In tale prospettiva, l'esdebitazione, trovando nel fallimento la sua causa remota, rappresenta un effetto finale del fallimento stesso (seppur mediato dal necessario pronunciamento dell'autorità giudiziaria). Affinché possa dirsi realizzato tale risultato, è necessario che il fallito abbia tenuto una condotta responsabile e corretta durante la procedura concorsuale e che i creditori concorrenti siano stati almeno in parte soddisfatti.
Costituiscono oggetto di esdebitazione i debiti residui dei creditori ammessi allo stato passivo e non integralmente soddisfatti e i debiti anteriori alla procedura di fallimento, ma relativi a creditori non insinuati al passivo fallimentare. Restano, invece, esclusi dall'esdebitazione: i) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa; b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

Il trattamento dei debiti erariali
Emerge chiaramente dalla lettura del dato normativo che i crediti tributari non sono esplicitamente esclusi dall'esdebitazione. Tale osservazione, sebbene apparentemente priva di rilievo, ha innescato un accesso dibattito giurisprudenziale che ha richiesto il tempestivo intervento chiarificatore del giudice europeo oltre ad un'attenta e scrupolosa attività nomofilattica da parte della Corte di Cassazione.
A fare da apripista ai numerosi arresti di legittimità in materia, è stata l'ordinanza interlocutoria n. 23129, resa dalla Cassazione il 30 ottobre 2014. Nella pronuncia de qua, gli ermellini hanno precisato che i crediti tributari non sono espressamente esclusi dall'esdebitazione. L'art. 142 l. fall. prevede, infatti, che a determinate condizioni il fallito persona fisica venga liberato dai debiti residui, nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, con esclusione di alcune tipologie di debiti, tra cui le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa.
Ebbene, secondo il ragionamento della Corte, i debiti tributari non possono essere ricondotti, ope legis, in tale categoria ("rapporti estranei"), posto che sussistono indubbiamente oneri tributari derivanti da rapporti non estranei all'esercizio dell'impresa.
Il rinvio alla Corte di Giustizia: la sentenza 16 marzo 2017 (C-493/15).
Partendo da tali presupposti, intervenendo nuovamente in materia, stavolta in maniera più marcata, la stessa Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 13542 resa il 1° luglio 2015, ha precisato che sussistono indubbiamente oneri tributari (e piuttosto rilevanti) derivanti da rapporti non estranei all'esercizio dell'impresa: fra questi sicuramente l'IVA e l'IRAP, entrambe dovute proprio e soltanto perché le operazioni economiche da cui scaturiscono rappresentano esercizio d'impresa.
Nonostante la risolutezza del dictat, al fine di addivenire ad una definitiva composizione della questione ed evitare, dunque, il proliferare di contrasti giurisprudenziali in materia, con la citata ordinanza la Cassazione ha richiesto l'intervento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ponendo il seguente quesito pregiudiziale: "L'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all'applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dagli artt.142 e 143 del R.D. n.267/1942".
La causa pregiudiziale (n. C-493/15), in particolare, è stata definita dalla Corte di Giustizia con sentenza del 16 marzo 2017. Nell'occasione, il giudice europeo ha statuito, semel pro semper, che la disciplina dell'esdebitazione è conforme alla normativa comunitaria. Al riguardo, secondo la Corte, dalla lettera della normativa nazionale applicabile risulta che la procedura di esdebitazione di cui agli artt. 142 e ss. della Legge Fallimentare è assoggettata a condizioni di applicazione rigorose che offrono garanzie per quanto riguarda, segnatamente, la riscossione dei crediti IVA e che, proprio in virtù di tali condizioni, essa non rappresenta una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'IVA e non è contraria all'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA nel territorio nazionale, nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione.
In sostanza, il giudice unionale ha evidenziato come l'obbligo della riscossione effettiva non può dirsi assoluto, ammettendo al contrario deroghe specifiche e delimitate. Per cui, uno Stato membro può ritenere legittima la rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA in presenza di circostanze eccezionali, puntuali e limitate, purché non vengano a delinearsi differenze significative di trattamento dei diversi soggetti d'imposta, né tantomeno venga pregiudicata la neutralità fiscale, quest'ultima principio cardine in ambito tributario.

La definitiva inesigibilità dei debiti IVA
L'intervento chiarificatore del giudice europeo ha inevitabilmente riversato i suoi effetti sulle decisioni di legittimità vertenti in tema di esigibilità dei debiti IVA nelle procedure di esdebitazione.
Ne è un esempio l'ordinanza n. 18124 resa lo scorso 6 giugno nella quale, intervenendo in una controversia relativa alla presunta adattabilità dell'istituto dell'esdebitazione al diritto unionale, la Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo cui l'esdebitazione del debitore fallito, di cui agli art. 142 e 143 della legge Fallimentare, trova applicazione anche ai debiti IVA, non risultando in contrasto con il sistema comunitario dell'imposta sul valore aggiunto.
A ben vedere, precisa la Corte, l'esdebitazione deve la sua introduzione nell'ordinamento nostrano proprio grazie all'impulso europeo (cfr. Direttiva Ue 1023/2019): essa risponde all'esigenza di consentire al debitore svincolato dai debiti pregressi di ripartire e riproporsi nella società (c.d. fresh restart) senza sottostare alle limitazioni nel reinserimento nel circuito economico in ragione di debiti insoluti.
Il quadro sovranazionale, proseguono i giudici, non è ostativo alla declaratoria di inesigibilità dei debiti IVA correlata all'applicazione della normativa nazionale sull'esdebitazione del fallito persona fisica, essendo la concessione di tale beneficio sottoposta a condizioni estremamente rigorose. Come già ricordato dal giudice europeo, infatti, l'istituto poggia su un complesso di requisiti soggettivi e oggettivi, che con il concorso di rigidi presupposti di applicazione, consente all'esdebitazione di derogare alla regola "ordinaria" della responsabilità generale del debitore di cui all'art. 2740 c.c..
Il perimetro del beneficio in esame, ricorda la Corte, è circoscritto al solo fallito diligente e collaborativo, ossia al soggetto che è in grado di vantare, ad ampio spettro, una "buona condotta". Per potere ottenere l'esdebitazione, infatti, la persona fisica deve aver: cooperato con gli organi della procedura, non aver fatto ritardare lo svolgimento di essa, non avere violato la consegna al curatore della corrispondenza relativa ai rapporti, non avere beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la domanda, non avere distratto l'attivo, simulato il passivo, aggravato l'insolvenza o fatto ricorso abusivo al credito, non avere subito una condanna con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività di impresa.
Sotto l'aspetto oggettivo, inoltre, la procedura esdebitatoria esige, non solo che il patrimonio del debitore sia stato liquidato nella sua totalità (tanto che al debitore non rimanga all'attualità alcunché da dare in aggiunta), ma anche che i creditori concorsuali siano stati soddisfatti almeno in parte.
Per cui è chiaro che, il rigore che contraddistingue la procedura in questione assume connotati in grado di offrire forti garanzie riguardo alla riscossione dei crediti IVA senza che, attraverso l'applicazione dell'istituto, lo Stato rinunci "in maniera generale e indiscriminata" alla riscossione del tributo armonizzato.
Muovendo da tali premesse, i giudici di legittimità hanno, poi, sottolineato come il citato art. 142 della Legge fallimentare, ricomprenda nel perimetro dell'esdebitazione tutte le obbligazioni derivanti da rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, "ab implicito, ma inequivocabilmente, annettendovi anche i debiti tributari e le correlate sanzioni". Nel novero ristretto delle esclusioni dall'efficacia liberatoria del beneficio sono annoverati unicamente gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario non accessorie dei debiti estinti (non anche tutte le sanzioni in quanto tali) e le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio d'impresa. Non si fa menzione alcuna ai rapporti tributari, i quali d'altronde "sono certamente comprimibili", solo considerando che "nel contesto della concorsualizzazione dei debiti" essi risultano sia falcidiabili, ex art. 160, comma 2, della legge Fallimentare, che transigibili, ex art. 182-ter della legge citata (in tal senso, SS.UU., sent. 27 dicembre 2016 n. 26988).

Considerazioni conclusive
È chiaro che l'esdebitazione consente al soggetto fallito di ottenere effetti favorevoli che si proiettano sul suo patrimonio e che operano per l'avvenire sul piano dei rapporti sostanziali. In altri termini, attraverso l'istituto in esame, la procedura fallimentare diviene anche fonte di una posizione giuridica soggettiva di vantaggio. In tale contesto, la possibilità di ricomprendere anche i debiti di natura erariale, tra cui quelli IVA, esalta la finalità premiale dell'esdebitazione per i soggetti più meritevoli.
Pertanto, è da apprezzare lo sforzo ermeneutico della giurisprudenza (nazionale ed europea) di rendere maggiormente preferibile l'interesse del debitore che abbia agito correttamente a liberarsi dai residui vincoli, rispetto al contrapposto interesse erariale.
D'altronde, è condivisibile l'opinione per la quale, una "fresca" ripartenza da parte del soggetto fallito risponde, non solo, all'interesse privato del singolo, ma anche all'interesse collettivo ad un possibile reinserimento del soggetto nel mondo della produzione e del consumo.

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Sezione Tributaria

Laura Ambrosi

Il Sole 24 Ore