Penale

Per la distruzione del fondale marino scatta la ricettazione per il mediatore tra il "datteraro" e il ristoratore

Il danneggiamento è l'ineludibile reato presupposto vista la necessità di rompere le rocce per prelevare i frutti di mare

di Paola Rossi

L'attività di chi agevola la compravendita dei datteri di mare costituisce il reato di ricettazione. Questi frutti di mare sono, infatti, oggetto di divieto assoluto di pesca e non solo a livello nazionale, ma anche unionale e internazionale. Per cui se pescati, venduti, somministrati o mangiati sono sempre di provenienza illecita determinando la sanzionabilità delle condotte tenute, a partire dal pescatore fino al consumatore. Assume quindi la figura di ricettatore chi li intermedia sul mercato, come afferma la sentenza della Corte di cassazione n. 41599/2021.

Danneggiamento di cosa di pubblica utilità
Il reato presupposto del danneggiamento è pienamente applicabile a chi preleva i molluschi scientificamente denominati "Lithopaga Lithopaga", in quanto la frantumazione degli scogli danneggia il fondale marino, che è cosa di pubblica utilità e rientra tra i beni protetti dall'articolo 635, comma 2, n. 1 del Codice penale.

Dalla sentenza emerge - quanto già affermato dal rapporto annuale 2020 della guardia costiera e da inchieste giornalistiche - che il giro d'affari illegale attorno agli agognati , in quanto gustosissimi, molluschi si profila come quello degli stupefacenti per le caratteristiche di condotta e linguaggio cripatato adottati dai protagonisti di quello che è un vero e proprio spaccio di beni proibiti dalla legge.

Il ricorrente - che contestava la misura cautelare degli arresti domiciliari - sosteneva che non vi fossero dei reati alla base della compravendita dei datteri di mare, ma solo contravvenzioni legate alla violazione delle regole della pesca e della cattura delle specie ittiche. Ma la Cassazione ribadisce che l'unica metodica di pesca con cui si possano catturare i molluschi in questione determina il danneggiamento del fondo marino cioè il reato presupposto di chi li spaccia (rectius, li ricetta). All'imputato erano stati unitamente contestati anche i reati di inquinamento e di distruzione ambientale.

La misura cautelare non è illegittima anche se adottata circa due anni dopo i fatti contestati, in quanto mira a fermare la scaltra condotta del ricorrente ampiamente emersa dalle investigazioni e dalle intercettazioni telefoniche, che depongono per una consueta e risalente abitudine a intermediare i molluschi tra i pescatori campani e i ristoratori anche di altre regioni.
Il ricorrente, infine, sosteneva che i molluschi che trattava sul mercato del pesce e della ristorazione fossero in realtà solo quelli legali e l'espressione captata con cui parlava di "cosi" non riguardasse i protettissimi datteri di mare. E a riprova dell'assenza dell'illecito spaccio il difensore faceva rilevare con il ricorso la circostanza dell'avvenuta ripresa del popolamento dei datteri di mare e la mancanza di prova di un costante, e soprattutto attuale, danneggiamento delle rocce che li custodiscono.

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