Responsabilità

Disservizi e sospensione del servizio di telefonia: imputabilità dell'inadempimento, caso fortuito e onere della prova

di Andrea Lestini*

*ESTRATTO da " Responsabilità e Risarcimento - Il Mensile ", 1 luglio 2022, n. 15, pg. 18 - Avv. Andrea Lestini, dottorando di ricerca

Il contratto di utenza telefonica (Trib. Roma, 02/05/2017, n. 8536), si afferma costantemente (R. BOCCHINI, A. GAMBINO), è inquadrabile nello schema del contratto di somministrazione (Cass., 02/10/1997, n. 9624; Cass., 28/5/2004, n. 10313; Cass., 2/12/2002, n. 17041; Cass., 29/4/1997, n. 3686; Cass., 29/11/1978, n. 5613; Trib. Roma, 23/3/1987) e pone a carico del gestore l'obbligo di fornire il servizio (C.d.A. Napoli, 09/03/2021, n. 862) in via continuativa, garantendo altresì all'utente (V. ZENO-ZENCOVICH, F. CARDARELLI) un ripristino tempestivo della eventuale interruzione; altrettanto pacificamente si ritiene che ogni disagio o disservizio della linea telefonica integri, in astratto, un inadempimento da parte del somministrante (Trib. Avellino, 19/04/2021, n. 630).

Inadempimento contrattuale (Trib. L'Aquila, 25/06/2019, n. 486), dunque, sicché l'utente – in disparte la procedura prevista, in caso di malfunzionamento del servizio imputabile all'operatore, per ottenere (peraltro a prescindere, secondo talune sentenze di merito (Trib. Benevento, 27/05/2020, n. 792; contra Cass., 29/10/2019, n. 27609), dalla prova dell'esistenza e dell'ammontare del danno) l'indennizzo previsto dalla Carta dei Servizi – è tenuto ad allegare l'inadempimento ed a dimostrare l'evento di danno nonché (a seguito dell'affinamento giurisprudenziale (C. SCOGNAMIGLIO) operato, sia pure in diverso ambito (B. TASSONE), ai noti principi enucleati dalle Sezioni Unite nella storica sentenza n. 13533 del 2001) il nesso di causalità, incombendo viceversa sul convenuto l'onere di provare di aver fatto quanto possibile per evitare, anche sotto il profilo del tempestivo ripristino, il danno ovvero la mancanza di colpa (Trib. Avellino, 19/04/2021, n. 630).

L'indagine che si viene delineando si inserisce, a ben vedere, nella più ampia e complessa analisi della disciplina generale dettata in materia di inadempimento, la quale ruota intorno alla nozione di impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile (P. GALLO), secondo quanto previsto dall'art. 1218 c.c.

Invero, ai fini che maggiormente interessano in questa sede, ci si potrà limitare a rilevare come un momento di sintesi fra le rilevanti e significative teorie soggettivistiche ed oggettivistiche sul fondamento della responsabilità per inadempimento, nonché sul momento di passaggio (G. OSTI) dalle prime alle seconde, sia stato individuato proprio nella necessità di operare un coordinamento tra la regola di cui all'art. 1218 c.c. ed il principio di diligenza sancito dall'art. 1176 c.c.

Su tali aspetti problematici insistevano del resto le teoriche, capaci di alimentare sotto diverso profilo un dibattito particolarmente intenso e fecondo, fondate sulla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato; onde il giurista era posto nell'alternativa di privilegiare l'art. 1176 c.c. rispetto all'art. 1218 c.c., così fondando su basi tendenzialmente soggettive la responsabilità contrattuale (M. GIORGIANNI), ovvero, all'opposto, di ritenere che la regola sulla diligenza fosse idonea a valere per le obbligazioni di mezzi laddove quella sulla responsabilità del debitore per le obbligazioni di risultato (E. BETTI; L. MENGONI; U. BRECCIA; E. CARBONE).

Le conseguenti ed inevitabili diversità in ordine al regime dell'onere della prova che l'adesione all'una piuttosto che all'altra impostazione comportavano indussero a ritenere (Cass., Sez. Un. 30 ottobre 2001, n. 13533; P. LAGHEZZA; Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15781/2005; Cass., Sez. Un 11 gennaio 2008, n. 577; A. PALMIERI) che il regime di responsabilità del debitore è unico e corrisponde a quello tracciato dall'art. 1218 c.c., il quale unitariamente (e, dunque, anche nelle obbligazioni di mezzi) ricollega la responsabilità all'inadempimento, e non alla prova (incombente sul creditore) del difetto di diligenza del debitore.

Si negava per tale via rilevanza alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, al contempo affermandosi come fosse in ogni caso sufficiente che il creditore allegasse l'inadempimento, spettando invece al debitore provare, coerentemente con il principio di vicinanza della prova, circostanze idonee ad escludere la sua responsabilità (P. GALLO). Eppure, come anticipato, la regola posta dall'art. 1218 c.c., basata su un criterio di valutazione tendenzialmente oggettivo deve coordinarsi, attraverso il rinvio alla diligenza operato dall'art. 1176 c.c., con altre norme che fanno riferimento alla colpevolezza (F. GAZZONI).

Si è detto, infatti, che esiste un limite di sforzo raggiunto il quale il debitore risulterebbe in ogni caso liberato dall'obbligazione (L. MENGONI) ovvero un limite del sacrificio oltre il quale sarebbe contrario a buona fede chiedere l'adempimento (M. BESSONE); per tale via, seppure con diverse argomentazioni (E. GABRIELLI), si è sostenuto che sarebbe quindi necessario escludere che il debitore sia tenuto ad un dovere di diligenza o di sforzo superiore rispetto a quello previsto dal contenuto tipico dell'obbligazione (P. TRIMARCHI). Ciò posto, è in tale contesto normativo che occorre domandarsi a quali condizioni il debitore possa dimostrare l'impossibilità non imputabile della prestazione (C.M. BIANCA).

Il discorso può prendere le mosse dalla considerazione secondo cui la prova liberatoria a carico del debitore inadempiente consiste, come noto, nella dimostrazione in primo luogo dell'impossibilità dell'adempimento e in secondo luogo della non imputabilità al debitore stesso di tale causa (E. GABRIELLI); nonché dal rilievo per cui l'impossibilità della prestazione deve essere oggettiva, con irrilevanza dunque di quella meramente soggettiva, e derivante da causa non imputabile al debitore in quanto dovuta a circostanze imprevedibili, essendo necessario che qualsiasi altro soggetto nelle medesime condizioni non avrebbe potuto adempiere (P. GALLO).

Il concetto di impossibilità in senso oggettivo, non deve essere comunque inteso nel senso di impossibilità materiale assoluta, dovendosi far rientrare nell'istituto – si parla, al riguardo, di inesigibilità della prestazione in base ad un giudizio di correttezza e buona fede – anche quelle prestazioni che non sarebbero giustificate in base ad un calcolo (non necessariamente patrimoniale ma anche fisico o psichico) (O. CLARIZIA) di costi e di benefici. L'impossibilità oggettiva della prestazione (A. LESTINI), inoltre, non deve essere imputabile al debitore (P. GALLO) e ciò si verifica nelle ipotesi di forza maggiore, di caso fortuito, di ordine o divieto della pubblica autorità (c.d. factum principis ), di fatto imputabile al creditore.

Con specifico riferimento al contratto di somministrazione di linea telefonica, il riferimento da ultimo svolto al caso fortuito o alla forza maggiore, permette quindi di escludere l'imputabilità del debitore, in particolare, al ricorrere di eventi meteorici o condizioni climatiche particolarmente avverse.

Le caratteristiche di eccezionalità, imprevedibilità, inevitabilità, gravità e catastroficità (Trib. Avellino, 19/04/2021, n. 630) dell'evento racchiuso nelle predette nozioni (C.M. BIANCA) sono infatti tali da determinare l'interruzione della fornitura elettrica e della linea telefonica con difficoltà (nonostante ogni sforzo in tal senso) (Trib. Benevento, 27/05/2020, n. 792) di ripristino del servizio (Trib. Avellino, 19/04/2021, n. 630).

Nella misura in cui il debitore non dimostri l'esatto adempimento (Cass., 14/04/2015, n. 7444) ovvero che l'inadempimento è dovuto ad impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile e, dunque, risulti di converso accertato il profilo dell'an debeatur relativo, appunto, – nel caso che ci occupa – alla sussistenza della responsabilità contrattuale della società telefonica (Trib. Milano, 17/01/2022, n. 242) in relazione alle "anomalie" verificatisi sulla utenza telefonica, l'attenzione deve soffermarsi in maniera logicamente consequenziale sulla prova del quantum debeatur.

Prova della esistenza di un danno e impossibilità della prova del suo preciso ammontare: sulla valutazione equitativa


Accertata, in relazione ai ripetuti disservizi e disagi verificatisi sulla utenza telefonica, la responsabilità contrattuale della società telefonica convenuta, il principio generale (art. 1223 c.c.; il legislatore detta tuttavia a questo proposito vari criteri che di fatto vengono a limitare il danno risarcibile: cfr. P. GALLO) che presiede il risarcimento è, come noto, quello della riparazione integrale (A. PINORI) dei danni (R. SCOGNAMIGLIO) che ne siano conseguenza immediata e diretta (G. VISINTINI).

Il risarcimento deve comprendere, in particolare, tanto il danno emergente, vale a dire la perdita subita dal creditore intesa come diminuzione della sua sfera patrimoniale (C.M. BIANCA) quanto il lucro cessante, quale guadagno patrimoniale netto che viene meno al creditore a causa dell'inadempimento (C.M. BIANCA; Cass., 26/09/2016 n. 18832).

A tal riguardo (P. GALLO), il creditore è tenuto a provare il danno nel suo preciso ammontare (G. GRISI), salvo che ciò non sia possibile ovvero risulti eccessivamente difficile (Cass., 27/01/1987, n. 736) perché, in tal caso, è liquidato dal giudice, ai sensi dell'art. 1226 c.c., con valutazione equitativa (Cass., 31/03/2016, n. 6218).

La giurisprudenza (Cass., 14/05/2018 n. 11698) ha chiarito, sotto quest'ultimo angolo visuale, che la liquidazione equitativa del danno presuppone l'accertamento dell'esistenza di un danno risarcibile, l'impossibilità o rilevante difficoltà di una stima esatta del danno nonché il fatto che tale impossibilità non dipenda dall'inerzia della parte gravata dell'onere della prova; pertanto, la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., secondo un consolidato filone interpretativo anche recentemente ribadito (Cass., 23/02/2022, n. 5956; Trib. Taranto, 23/03/2022, n. 757), consente di sopperire alle difficoltà di quantificazione del danno, al fine di assicurare l'effettività della tutela risarcitoria, ma giammai (M. FRANZONI) potrebbe assumere valenza surrogatoria della prova, incombente sulla parte, dell'esistenza dello stesso e del nesso di causalità giuridica che lo lega all'inadempimento (Cass., 18/03/2022, n. 8941).

Queste generalissime osservazioni sembrano allora trovare un riscontro netto e puntuale in quelle pronunce (C.d.A. Napoli, 09/03/2021, n. 862; Trib. Nola, 13/01/2009; Trib. Teramo, 25/07/2019, n. 701) che nella soluzione dei singoli problemi applicativi, pur valorizzando il disagio provocato dalla sospensione della linea telefonica alla normale attività lavorativa, forniscono decisiva attenzione ai concreti elementi (C.d.A. Napoli, 09/03/2021, n. 862; C.d.A. Napoli, 19/02/2020, n. 796) forniti per poter valutare tale disagio (Cass., 04/01/2022, n. 76).

La premessa che regge una così impegnativa indagine è, in altra vicenda (M. STRONATI), la considerazione del prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, e in particolare della rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e dei vari fattori incidenti sulla gravità della lesione (Cass., 22/01/2019, n. 1579). Il tema di fondo dell'impianto argomentativo viene affrontato – con significativi e puntuali riferimenti (C.M. BIANCA; Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402) – partendo dal fondamento della valutazione equitativa, identificato nella «compensazione economica socialmente adeguata» del pregiudizio, quella che «l'ambiente sociale accetta come compensazione equa», fino a giungere ad una particolarmente interessante conclusione.

Nel disegno concettuale che sorregge l'istituto un fondamentale rilievo viene infatti assunto dall'attività esercitata dal destinatario del contratto di somministrazione di linea telefonica e dalla oggettiva ridotta reperibilità, a seguito della illecita sospensione dell'utenza, da parte dei clienti-fornitori: ecco, allora, che si comprende pienamente come la valutazione equitativa si colori anche in ragione della peculiarità dell'oggetto sociale e, come accennato, della particolare «rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale» (Cass, 22/01/2019, n. 1579).


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