Penale

Rito Covid: ammissibile l'impugnazione del difensore anche in caso di firma elettronica irregolare

Con la recente decisione n. 22992 la Suprema corte chiarisce un importante passaggio procedurale

di Aldo Natalini

Rito Covid-19: non costituisce causa di inammissibilità dell’impugnazione di un provvedimento cautelare la mera irregolarità della firma  elettronica in quanto l’articolo 24, comma 6-sexies, del Dl 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 176/2020, tra le cause tassative di inammissibilità del gravame, prevede, alla lettera a), unicamente la mancanza della sottoscrizione digitale da parte del  difensore.

Così la Sezione V della cassazione, con la sentenza n. 22992/2022 , depositata il 13 giugno scorso, in un caso in cui la firma digitale apposta dall’avvocato nella richiesta di riesame ex articolo 309 del Cpp depositata via pec non era stata riconosciuta come valida dal software di verifica dell’ufficio giudiziario destinatario, con esito di “certificato non attendibile” nonostante la riconosciuta presenza ed integrità della sottoscrizione medesima.

Secondo la Cassazione – che ha annullato la declaratoria di inammissibilità del gravame, con rinvio al locale Tribunale del riesame perché proceda al giudizio di impugnazione cautelare – i giudici de libertate, disinteressandosi della questione relativa all’effettiva riferibilità della sottoscrizione digitale al difensore degli indagati, si è fermato alla mera constatazione della dicitura di irregolarità della firma elettronica, pur apposta e non “mancante”, da parte del software Aruba utilizzato dall’avvocato, riconducendo tale fattispecie di firma elettronica non valida all’ipotesi di mancanza di sottoscrizione: l’unica tassativamente disciplinata e sanzionata con l’inammissibilità della disciplina processuale pandemica da Covid-19.

La vicenda di specie e le cause di inammissibilità dell’impugnazione nel rito Covid

Nel caso di specie, il locale Tribunale del riesame, nel dicembre scorso, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di riesame avverso l’ordinanza applicativa della custodia in carcere a carico di due indagati in ragione della rilevata invalidità della firma elettronica apposta dall’avvocato di fiducia sull’istanza, compilata sotto forma di documento informatico e depositata via pec all’indirizzo istituzionalmente individuato per la ricezione.

In sede di ricorso per cassazione, il difensore aveva dedotto la violazione di legge in relazione all’articolo 24, comma 6-sexies, del Dl 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 176/2020, il quale prevede espressamente che, in vigenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, fermo quanto previsto dall’articolo 591 del Cpp, nel caso di proposizione dell’atto di impugnazione sotto forma di documento informatico, l’impugnazione stessa è inammissibile:

a) quando l’atto non è sottoscritto digitalmente dal difensore;

b) quando le copie informatiche per immagine non sono sottoscritte digitalmente dal difensore   per conformità all’originale;

c) quando l’atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente  nel Registro generale degli indirizzi certificati (RegIndE - vedi l’articolo 7 del decreto  del  Ministro  della  giustizia 44/2011);

d) quando l’atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;  

e) quando l’atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento della DGSIA o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all’articolo 309, comma 7, del Cpp dall’apposito provvedimento del DGSIA del 9 novembre 2020, pubblicato nel portale dei servizi telematici (Pst).

Nella specie, il difensore ricorrente aveva rappresentato in sede di legittimità che, al di là delle diciture tecnico-informatiche riportate nell’artefatto del provvedimento impugnato a sostegno dell’invalidità della firma digitale da lui apposta, l’istanza di riesame era stata registrata nel suo computer come regolarmente depositata, tant’è che aveva ricevuto la comunicazione recante la dicitura “firmato tutte le firme sono valide”. A fronte del regolare sviluppo dell’atto, inoltrato come documento informatico, in formato pdf, con attribuzione certa della firma digitale al difensore istante, l’unica verifica contraria si era rivelata quella condotta tramite il software Aruba, utilizzato dal professionista, che, effettivamente, aveva dato esito di “certificato non attendibile” (con la dicitura “il formato della firma non rispetta la decisione UE 2015/1506; la firma non è aderente allo standard PAdES Baseline Profile richiesto dalla normativa europea…”).

Ma la riconosciuta integrità e presenza della firma non era in discussione ed era provata, peraltro, da varie attestazioni di conformità condotte con differenti software, allegati al ricorso.

Il dictum: la tassatività delle cause d’inammissibilità dell’impugnazione

La decisione in commento – pronunciandosi sul tema dell’irregolarità della firma digitale negli atti difensivi depositati in forma telematica in vigenza del rito “Covid” – ha censurato la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di riesame resa dal locale Tribunale del riesame, annullando il provvedimento impugnato con rinvio allo stesso perché proceda al giudizio di impugnazione cautelare.

Premessa la ricostruzione del quadro processuale in vigore in costanza di emergenza pandemica da Covid-19, la Suprema corte ricorda in sentenza come il Dl 137/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 176/2020, abbia implementato il deposito degli atti nelle forme digitalizzate al fine di ridurre l’impatto della presenza fisica negli uffici giudiziari, perseguendo una politica di dematerializzazione che è stata attuata con l’apposito provvedimento direttoriale recante, in allegato, l’individuazione degli indirizzi pec degli uffici giudiziari destinatari dei depositi telematici di cui all’articolo 24, comma 4, del citato decreto legge, e le specifiche tecniche relative ai formati e alle modalità di invio, chiarandosi che:

- gli atti devono essere in formato PDF testuale (“senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini”) e sono sottoscritti con firma digitale (PAdESolCAdES);

- gli allegati depositati come copia per immagine di documenti analogici devono avere una risoluzione massima di 200 dpi;

- la dimensione massima consentita per ciascuna comunicazione operata attraverso l’inoltro di comunicazione alla casella di posta elettronica certificata assegnata all’ufficio per il deposito di atti, documenti e istanze è pari a 30 Megabyte.

In questo quadro, la funzionalità dell’innovativo sistema processuale basato su modalità semplificate di deposito degli atti, più sicure per la salute pubblica, e al tempo stesso, efficaci e utili, è garantita dalla previsione di cause espresse d’inammissibilità dell’impugnazione, contenute nel comma 6-sexies del citato articolo 24: “cause che operano qualora l’impugnazione stessa venga proposta al di fuori degli schemi legali emergenziali predetti”, rammentano i Supremi giudici.

Per quel che interessa la vicenda al vaglio, la specifica causa di inammissibilità declinata nella lettera a) del comma 6-sexies, per il suo tenore letterale, è evidentemente limitata ai soli casi nei quali il deposito dell’atto di impugnazione avvenga senza la firma digitale del difensore – “vale a dire in sua mancanza” – e non può estendersi, scandisce la Corte regolatrice, “alle ipotesi di mera irregolarità della sottoscrizione che non ne determinano la suddetta ‘assenza’ o ‘carenza’”, sicché ha errato il locale Tribunale nel dichiarare l’inammissibilità del gravame.

Si tratta di un approdo – quello odierno – dichiaratamente allineato al principio di tassatività delle cause di inammissibilità dell’impugnazione, su cui, con riguardo alla disciplina ordinaria dell’articolo 591 del Cpp vi è ampia elaborazione giurisprudenziale (vedi, tra gli altri, Cassazione, sezione I penale, n. 24433/2015, Ced 263970; Id., n. 5887/1997, Ced 207929; sezione II penale, n. 8413/1998, Ced 211188).

Ma anche rispetto alla disciplina processuale emergenziale l’interpretazione tassativa delle cause di inammissibilità previste dal citato articolo 24, comma 6-sexies ha trovato ampio riconoscimento nella recente giurisprudenza di legittimità. Di recente la Corte regolatrice ha precisato che, in tema di normativa pandemica da Covid-19, nei procedimenti cautelari non costituisce causa di inammissibilità dell’impugnazione la sua trasmissione ad un indirizzo PEC dell’ufficio giudiziario diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del presidente del tribunale, ma compreso nell’elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l’individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all’articolo 24, comma 4, Dl 137/2020, convertito con modificazioni dalla legge 176/2020, “in quanto tale sanzione processuale è prevista dal comma 6-sexies, lettera e), del Dl citato esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell’allegato del citato provvedimento direttoriale” (così Cassazione, sezione V penale, n. 24953/2021, Ced 282814). Ed in continuità con questi principi, la Sesta sezione di Piazza Cavour, con specifico riferimento alla sottoscrizione digitale di un’impugnazione cautelare, poco dopo ha stabilito che, sempre “in tema di disciplina pandemica da Covid-19, non costituisce causa di inammissibilità dell’impugnazione di un provvedimento cautelare la modifica dell'atto, trasmesso a mezzo di posta elettronica certificata (PEC), intervenuta successivamente alla sottoscrizione digitale dal difensore, di cui sia attestata l’integrità e l’attendibilità, stante la tassatività delle cause di inammissibilità previste dall’articolo 24, comma 6-sexies, lettera a), del Dl 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 176/2020” (Cassazione, sezione VI, n. 40540/2021, Ced 282306). Anche in quell’occasione – come nella vicenda odierna – i Supremi giudici avevano precisato che il Tribunale del riesame, equiparando la modifica del documento informatico successiva alla sottoscrizione dell’atto alla mancata sottoscrizione dell’atto di impugnazione da parte del difensore, ha posto in essere una falsa applicazione dell’articolo 24, comma 6-sexies, lettera a), del Dl 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 176/2020, poiché la specifica causa di inammissibilità introdotta da tale disposizione, per il suo tenore letterale, è di applicazione limitata ai soli casi nei quali l’atto di impugnazione non sia stato sottoscritto digitalmente dal difensore.

In definitiva, si versa in ipotesi di mera irregolarità e non già di causa di inammissibilità dell’impugnazione ritualmente proposta.

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