Casi pratici

Fideiussione tra nullità e contratto autonomo di garanzia

Accessorietà: caratteristica e limite della fideiussione

di Laura Biarella

la QUESTIONE
Il principio di accessorietà è caratteristica o limite della fideiussione? Quali sono le caratteristiche della fideiussione e le differenze rispetto al contratto autonomo di garanzia? L'apposizione di una clausola di pagamento a prima richiesta trasforma la fideiussione atipica in un contratto autonomo di garanzia? La polizza fideiussoria è un tipo innominato di fideiussione? In quali casi si configura la nullità totale ovvero parziale?

La fideiussione - principale figura di garanzia personale prevista e disciplinata dal Codice civile, in virtù della quale il fideiussore, ex art. 1944, c.c., è obbligato al pagamento del debito in solido col debitore principale - ha nel tempo mostrato un meccanismo di attuazione troppo farraginoso rispetto alle esigenze dei moderni traffici economici. Come è noto, la fideiussione è garanzia personale caratterizzata dalla solidarietà e dall'accessorietà rispetto al rapporto principale. In particolare, per quanto concerne la solidarietà essa è normalmente posta nell'interesse esclusivo del debitore.
Di conseguenza, attraverso l'azione di surrogazione e quella di regresso, si consente al fideiussore di recuperare dal debitore tutto ciò che è stato pagato in adempimento dell'obbligazione fideiussoria.
Per quel che riguarda, poi, il profilo dell'accessorietà che lega il rapporto di garanzia al rapporto base, esso riverbera effetti sotto il versante dell'oggetto, che non può eccedere ciò per cui è tenuto il debitore principale (art. 1941 c.c.), e sul versante delle eccezioni che il fideiussore può opporre al creditore (art. 1945 c.c.).
Infatti, salva l'incapacità del debitore principale, il fideiussore può paralizzare la pretesa del creditore opponendo le eccezioni che derivano dal contratto di garanzia e dal contratto inerente il rapporto principale.
L'accessorietà può essere, tuttavia, mitigata apponendo alla fideiussione la c.d. clausola solve et repete in virtù della quale il garante è tenuto a eseguire la propria prestazione potendo successivamente sollevare le eccezioni relative al rapporto garantito solo per ripetere quanto indebitamente prestato.
In tal modo, il creditore può esigere dal garante il pagamento immediato, a prescindere da qualsiasi accertamento e dalla prova dell'effettiva sussistenza di un inadempimento del debitore principale.
In buona sostanza, il rapporto di garanzia diviene immune dalle vicende del rapporto principale.

Verso il contratto autonomo di garanzia: quali differenze rispetto alla fideiussione?

Nel tempo ci si è chiesti se la previsione di tale clausola consentisse di delineare una forma di garanzia atipica, atteso che, come visto, tale pattuizione opera su uno degli aspetti principali della fideiussione. Da ciò è scaturito un annoso dibattito volto a delineare, rispetto alla fideiussione, la figura del contratto autonomo di garanzia, nel cui novero, come vedremo, rifluisce la polizza fideiussoria.È, infatti, questo il motivo per cui, benché chiamate a intervenire sulla figura della polizza fideiussoria, le Sezioni Unite, con sentenza n. 3947 del 18 febbraio 2010, nella loro disamina non hanno potuto prescindere dall'analisi della figura del contratto autonomo di garanzia. Giova precisare, utilizzando le parole della Suprema Corte, che «il contratto autonomo di garanzia costituisce espressione di quella autonomia negoziale riconosciuta alle parti dall'art. 1322 c.c., comma 2, che si configura come un coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni fra il destinatario della prestazione (beneficiario della garanzia), il garante (di solito una banca straniera), l'eventuale controgarante (soggetto non necessario, che solitamente si identifica in una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera) e il debitore della prestazione (l'ordinante).

Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione di cui agli artt. 1936 ss. c.c., è la carenza dell'elemento dell'accessorietà: il garante s'impegna a pagare al beneficiario, senza opporre eccezioni in ordine alla validità e/o all'efficacia del rapporto di base, e identico impegno assume il controgarante nei confronti del garante».Le Sezioni Unite, alla cui lettura si rinvia, stante la corposità della parte motiva della sentenza, hanno sul punto affermato che «con la fideiussione è tutelato l'interesse all'esatto adempimento dell'(unica) prestazione principale - per cui il fideiussore è un "vicario" del debitore -, l'obbligazione del garante autonomo è qualitativamente altra rispetto a quella dell'ordinante - sia perché non necessariamente sovrapponibile a essa, sia perché non rivolta al pagamento del debito principale, bensì a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore».

Dunque, seguendo il ragionamento della Corte, la fideiussione è una garanzia di tipo satisfattorio, perché consente al creditore di conseguire lo stesso bene dovuto dal debitore, quindi, di soddisfare l'interesse principale; ex adverso, il contratto autonomo di garanzia assolve una funzione di tipo indennitario, perché, il creditore, rispetto all'inadempimento del debitore, può tutelarsi solo con il risarcimento del danno.

Nel contratto autonomo di garanzia, infatti, il garante è tenuto a una prestazione qualitativamente diversa da quella per la quale è obbligato il debitore principale, dovendo "assicurare" la soddisfazione dell'interesse economico del beneficiario compromesso dall'inadempimento e non l'adempimento della prestazione dedotta in contratto.

Ciò posto, le Sezioni Unite affermano come «la più rilevante differenza operativa tra la fideiussione e il contratto autonomo di garanzia non riguarda, peraltro, il momento del pagamento - cui (anche) il fideiussore "atipico" può essere tenuto immediatamente a semplice richiesta del creditore -, ma attiene soprattutto al regime delle azioni di rivalsa dopo l'avvenuto pagamento».

«Se, difatti» - chiarisce la Suprema Corte - «il pagamento non risulti dovuto per motivi attinenti al rapporto di base, il garante (dopo aver pagato a prima/semplice richiesta) che agisce in ripetizione con l' actio indebiti ex art. 2033 c.c. nei confronti dell'accipiens, cioè del creditore beneficiario, facendo valere le eccezioni di cui dispone il debitore principale, risponde in realtà come un fideiussore, atteggiandosi la clausola di pagamento in questione come una ordinaria clausola solve et repete ex art. 1462 c.c.».

Diversamente accade nel caso di contratto autonomo di garanzia.Infatti, il garante "autonomo", una volta che abbia pagato nelle mani del creditore beneficiario, non potrà agire in ripetizione nei confronti di quest'ultimo (salvo nel caso di escussione fraudolenta), rinunciando, per l'effetto, anche alla possibilità di chiedere la restituzione di quanto pagato all'accipiens nel caso di escussione illegittima della garanzia, ma potrà esperire l'azione di regresso ex art. 1950 c.c. unicamente nei confronti del debitore garantito (il più delle volte mediante il cosiddetto "conteggio automatico" a carico del debitore quando questi ha anticipato alla banca le somme necessarie per il pagamento o quando sussista la possibilità di addebitare le somme su un conto corrente), senza possibilità per il debitore di opporsi al pagamento richiesto dal garante né di eccepire alcunché, in sede di rivalsa, in merito all'avvenuto pagamento.

L'effetto è di "autonomizzare" il rapporto di garanzia rispetto al rapporto base, contrariamente a quanto accade per la fideiussione tipica: è a quest'ultima, infatti, che si riferisce il principio secondo il quale «quando si estingue l'obbligazione principale, si estingue anche quella accessoria di garanzia.

Pertanto, se il fideiussore paga un debito già estinto, per remissione, per pagamento o per altra causa, non può esercitare azione di regresso nei confronti del debitore principale. Sarà il debitore principale ordinante, vittoriosamente escusso dal garante che abbia pagato al beneficiario, ad agire in rivalsa, se il pagamento non era dovuto alla stregua del rapporto di base (ad esempio, per il pregresso e puntuale adempimento della medesima obbligazione), sulla base del rapporto di valuta, nei confronti del beneficiario, il quale ha ricevuto dal garante una prestazione non dovuta, mentre la stessa azione di rivalsa del garante verso il debitore-ordinante viene esclusa quando il primo abbia adempiuto nonostante disponesse di prove evidenti della malafede del beneficiario, salva in tal caso la possibilità di agire contro il beneficiario stesso con la condictio indebiti, ai sensi dell'art. 2033 c.c.».

L'apposizione di una clausola di pagamento a prima richiesta o senza eccezioni: effetti

L'interrogativo se l'apposizione di una clausola di pagamento a prima richiesta (o senza eccezioni) è idonea a trasformare la fideiussione, ancorché atipica, in un contratto autonomo di garanzia sottende un contrasto giurisprudenziale.

Tesi negativa

Secondo un primo orientamento la mera introduzione di una clausola siffatta non sarebbe di per sé idonea a tramutare il rapporto di garanzia in un contratto autonomo di garanzia, posto che la distinzione fra le due figure andrebbe colta anche sul profilo funzionale che, come visto, per il contratto autonomo di garanzia è di tipo indennitario-cauzionale.Infatti, secondo i sostenitori di tale posizione «un patto di rinunzia del fideiussore a far valere subito determinate eccezioni non altererebbe, peraltro, il tipo contrattuale, che resta caratterizzato, come la fideiussione, dal principio di accessorietà (artt. 1939 e 1945 c.c.): la clausola è dunque in sé valida, giacché, pur con riguardo alla causa del contratto di fideiussione e alla relativa disciplina, essa costituisce una manifestazione di autonomia contrattuale, che resta nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.), dalla quale si trae, insieme, che clausole limitative della possibilità di proporre eccezioni sono in certa misura e a determinate condizioni consentite dall'ordinamento (art. 1341, comma 2, c.c.), e che una clausola del tipo di quella di cui si discute non è in contrasto con l'aspetto essenziale del contratto di fideiussione, aspetto rappresentato dall'accessorietà».

Tesi positiva

Diversamente opinano i sostenitori di altra soluzione ermeneutica, condivisa dalle Sezioni Unite, ad avviso delle quali il principio di accessorietà che permea la figura della fideiussione precluderebbe l'apposizione di tali clausole. Di conseguenza, nel caso in cui i privati vi facciano ricorso, si è al cospetto di un contratto autonomo di garanzia (cfr. per tutte, Cass. n. 3552/1998; n. 6757/2001; n. 3257/2007; n. 14853/2007; n. 11890/2008; Cass. n. 8248/1998).

La polizza fideiussoria: nasce un "tertium genus"?

Partiamo dalla nozione di polizza fideiussoria. Trattasi di un accordo che, su richiesta del committente e in suo favore, l'appaltatore stipula con una banca o con una compagnia di assicurazione di pagare un certo importo al beneficiario per garantirlo, nel caso di inadempimento, della prestazione a lui dovuta dal contraente.Lo schema negoziale è quello del contratto a favore di terzo e in questo caso il terzo beneficiario è il creditore principale e la funzione assolta è di tipo indennitaria. Rispetto alla fideiussione è possibile già in sede di nozione cogliere due differenze.In primo luogo, la fideiussione, assolvendo la funzione di garantire un'obbligazione altrui, intercorre esclusivamente tra il fideiussore e il creditore. È, dunque, un rapporto bilaterale.In subordine, la polizza o assicurazione fideiussoria è "necessariamente onerosa" in quanto assunta dall'assicuratore in corrispettivo del pagamento di un premio, mentre la fideiussione può essere anche a titolo gratuito.Del pari discussa è la natura giuridica.Secondo alcuni si tratterebbe di un tipo innominato di fideiussione, secondo altri di una figura contrattuale intermedia fra il versamento cauzionale e la fideiussione. Infine, secondo una terza posizione, si tratterebbe di un contratto atipico, rectius di un contratto misto risultante dalla fusione di elementi propri di vari contratti.In particolare, la tesi di maggioranza sostiene che la polizza fideiussoria sia un particolare tipo di fideiussione, con la conseguenza che della fideiussione troverà applicazione la disciplina legale tipica ex art. 1936 ss. c.c. ove non derogata dalle parti.Tale ricostruzione non è condivisa dalle Sezioni Unite che, facendo leva su argomentazioni basate sulla funzione e sulla causa delle pattuizioni negoziali in questione, per la cui analisi si rinvia alla sentenza, aderisce alla tesi di quanti predicano il carattere atipico di tale garanzia.Infatti, afferma la Suprema Corte, tale «convenzione integrerebbe gli estremi della garanzia atipica in quanto, non potendo surrogare l'adempimento "specifico" di detta obbligazione (connotata dal carattere dell'insostituibilità), ha la funzione di assicurare, sic et simpliciter, il soddisfacimento dell'interesse economico del beneficiario, compromesso dall'inadempimento. Essa risulta, pertanto, vicenda del tutto disomogenea rispetto al sistema delle garanzie di tipo satisfattorio proprie delle prestazioni fungibili caratterizzate dall'identità della prestazione e dal vincolo della solidarietà (sussidiarietà)/accessorietà, riconducibile di converso alla figura della garanzia di tipo indennitario, in forza della quale il garante è tenuto soltanto a indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto».

Fideiussioni omnibus parzialmente nulle: la posizione della Sezioni Unite (dicembre 2021)

Risultano invalide solo parzialmente le fideiussioni omnibus poste a garanzia di operazioni bancarie e assicurative le quali abbiano impiegato lo schema predisposto dall'Associazione bancaria italiana (Abi) nel 2003 contenente talune clausole che sono state dichiarate contrarie al diritto della concorrenza, dapprima dalla Banca d'Italia e in seguito pure dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il chiarimento è giunto dal massimo consesso civile della Suprema Corte di Cassazione, tramite la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021, che ha posto fine al contrasto tra i diversi orientamenti, salvando la parte di contratto non investita dalle clausole dichiarate illegittime. Le clausole dello schema predisposto dall'Abi che sono state considerate in contrasto col divieto di accordi anticoncorrenziali sono quelle contenute negli articoli 2, 6 e 8, ovvero la "clausola di reviviscenza", contenuta nell'articolo 2, la quale prevede la permanenza dell'obbligazione fideiussoria con l'obbligo di rimborsare alla banca le somme già incassate in pagamento delle obbligazioni garantite ma in seguito restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti, o per qualsiasi altro motivo. A ciò si aggiunga che l'articolo 6 dello schema contiene la clausola di rinuncia al termine di decadenza contemplato all'articolo 1957 c.c. L'effetto di tale clausola è che i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione rimangono integri fino alla globale estinzione di ogni suo credito nei confronti del debitore, senza che la medesima sia tenuta a escutere il debitore o il fideiussore stessi, ovvero qualsiasi altro coobligato o garante entro i tempi previsti, a seconda delle ipotesi, dall'articolo 1957 c.c., il quale si intende derogato. L'articolo 8, invece, contempla la clausola di sopravvivenza, la quale prevede che ove le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione assicura in ogni caso l'obbligo del debitore di restituire le somme al medesimo erogate. A fronte della declaratoria che dette clausole, qualora applicate in maniera uniforme, collidono con la disposizione di cui alla L. n. 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) e in particolare all'articolo 2, c. II, ove si statuisce che sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, si è posto il quesito su quali siano gli effetti prodotti sulle fideiussioni in corso, tuttavia le soluzioni proposte non sono state uniformi: taluni hanno sostenuto che il contratto "a monte" (quello garantito), e quello "a valle" (la fideiussione) rimanessero autonomi e distinti, con l'effetto che la tutela concessa a chi fosse stato pregiudicato dalla condotta anticoncorrenziale potesse essere solo quella risarcitoria e non già reale. Al contrario, altri hanno sostenuto che le clausole in questione determinassero la nullità della globalità del contratto fideiussorio, mentre altri ancora che le clausole dovessero essere inquadrate nella categoria delle nullità per illiceità dell'oggetto, con la conseguenza della nullità di queste sole e con la salvezza del contratto fideiussorio. Per le Sezioni Unite lìopzione più consona e adeguata alle finalità e agli obiettivi della disciplina antitrust è quella che ravvisa una ipotesi di nullità parziale. È infatti la forma di tutela più adeguata allo scopo, che consente di assicurare pure il rispetto degli ulteriori interessi coinvolti, come quello delle banche a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, escluse le clausole contrattuali illecite. La Corte ha quindi chiarito che la nullità dell'intesa "a monte" determina la "nullità derivata" del contratto di fideiussione a valle, e solamente delle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema Abi dichiarate nulle con provvedimento della Banca d'Italia, il quale ha tuttavia fatte salve le ulteriori clausole. La Corte, quindi, ha evidenziato che i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con l'articolo 2, comma 2, lettera a) della la legge 287 del 1980 e con l'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'UE, sono parzialmente nulli, in base all'articolo 2, comma 3, della legge 287/1980 e dell'articolo 1419 del Codice civile, ma solo in relazione alle clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa proibita, salvo che sia ricavabile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una differente volontà delle parti.

"Confidi minore" iscritto nell'elenco di cui all'art. 155, c. 4, T.u.b., applicabile ratione temporis: la fideiussione prestata in favore di un proprio associato

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 8472 del 16 marzo 2022 hanno chiarito che la fideiussione prestata da un cosiddetto confidi minore nell'interesse della propria associata a garanzia di un creditore derivante da un contratto bancario non è nulla per violazione di norma imperativa. Il massimo consesso civile, più in dettaglio, pronunciando su questione di massima e di particolare importanza, ha affermato che la fideiussione prestata da un cd. "confidi minore", iscritto nell'elenco di cui all'art. 155, comma 4, T.u.b., applicabile ratione temporis, nell'interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né la nullità è ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono "esclusivamente" la "attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali" per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario, in quanto il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b.), né è preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l'oggetto sociale.


Considerazioni conclusive
Le plurime questione e problematiche collegate al contratto di fideiussione, e alla sua notevole importanza all'interno del sistema economico, ripongono spesso tale tipologia negoziale sotto la lente della giustizia, determinando orientamenti non sempre rettilinei e che sovente necessitano dell'intervento chiarificatorio del massimo consesso giurisprudenziale. Da ultimo le Sezioni unite della Suprema Corte (30 dicembre 2021, n. 41994) hanno affermato che i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'autorità garante, in relazione alle condizioni contrastanti con gli art. 2, 2° comma, lett. a), l. 287/90 e 101 del trattato Fue, sono parzialmente nulli, ai sensi degli art. 2, 3° comma, l. 287/90 e 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Lo stesso consesso (15 marzo 2022, n. 8472) ha inoltre chiarito che la fideiussione prestata da un cosiddetto confidi minore nell'interesse della propria associata a garanzia di un creditore derivante da un contratto bancario non è nulla per violazione di norma imperativa.

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