La corporate governance nelle società a partecipazione pubblica
Il carattere pubblicistico del socio non muta la natura di soggetto di diritto privato della partecipata con conseguente applicabilità dei modelli di governo societario di diritto comune. Tuttavia la polverizzazione della partecipazione societaria, in taluni casi, legittima la previsione, nell'atto costitutivo, di un organo speciale, deputato all'esercizio del controllo (pubblico) congiunto
Il carattere pubblicistico del socio non muta la natura di soggetto di diritto privato della partecipata con conseguente applicabilità dei modelli di governo societario di diritto comune. La polverizzazione della partecipazione societaria, tuttavia, ove si tratti di una società a controllo pubblico nell'ambito della quale il capitale sociale sia detenuto - in via totalitaria o maggioritaria - da una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, però, in grado di esercitare un controllo individuale, legittima la previsione, nell'atto costitutivo, di un organo speciale, deputato all'esercizio del controllo (pubblico) congiunto.
I sistemi di corporate governance previsti dall'ordinamento
Con la riforma del diritto societario, operata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 ("Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366"), il principio dell'autonomia statutaria ha assunto un connotato di (indubbia) centralità, avendo il legislatore rimesso all'autonomia della compagine sociale la scelta del modello di governo societario tra quelli previsti dall'ordinamento (id est, sistema tradizionale, sistema dualistico e sistema monistico).
Il modello organizzativo tradizionale, introdotto all'epoca della codificazione dal legislatore del 1942, prevede due organi, entrambi di nomina assembleare: l'organo amministrativo, nella duplice (e alternativa) forma dell'Amministratore unico o del Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale.
L'adozione di un modello diverso da quello tradizionale deve essere dichiarata statutariamente. Ne consegue che in difetto di specifica pattuizione si intende adottato ex lege il sistema di governo societario tradizionale con attribuzione delle funzioni di amministrazione e di controllo, rispettivamente, agli Amministratori e al Collegio sindacale.
Il modello organizzativo dualistico è stato introdotto in occasione dell'intervento riformatore del 2003.
Con il decreto legislativo n. 6 del 2003, nel sostituire il Capo V del Titolo V del Libro V del codice civile, il legislatore ha inserito le seguenti disposizioni: articolo 2409 octies ("Sistema basato su un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza"); articolo 2409 novies ("Consiglio di gestione"); articolo 2409 decies ("Azione sociale di responsabilità"); articolo 2409 undecies ("Norme applicabili"); articolo 2409 duodecies ("Consiglio di sorveglianza"); articolo 2409 terdecies ("Competenza del consiglio di sorveglianza"); articolo 2409 quaterdecies ("Norme applicabili"); articolo 2409 quinquiesdecies ("Revisione legale").
Il sistema dualistico prevede due organi collegiali: il Consiglio di gestione, al quale spetta, in via esclusiva, la gestione dell'impresa e il compimento delle operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale e il Consiglio di sorveglianza, al quale sono attribuiti compiti di indirizzo e controllo.
Non è previsto, invece, il Collegio sindacale, essendo la revisione legale dei conti affidata a un revisore legale dei conti o a una società di revisione legale iscritti nell'apposito registro.
Il Consiglio di sorveglianza è di nomina assembleare e, a sua volta, nomina i componenti del Consiglio di gestione, interponendosi tra quest'ultimo e l'Assemblea dei soci.
Il modello organizzativo dualistico si propone, nelle intenzioni del legislatore riformista, di agevolare l'amministrazione e il controllo nelle imprese di grandi dimensioni attraverso la condivisione dell'indirizzo strategico tra i due organi, con conseguente ridimensionamento del ruolo dell'Assemblea dei soci.
Anche il modello organizzativo monistico è stato introdotto in occasione dell'intervento riformatore del 2003.
Con il decreto legislativo n. 6 del 2003 il legislatore ha inserito, nell'articolato del codice civile, le seguenti disposizioni: articolo 2409 sexiesdecies ("Sistema basato sul consiglio di amministrazione e un comitato costituito al suo interno"); articolo 2409 septiesdecies ("Consiglio di amministrazione"); articolo 2409 octiesdecies ("Comitato per il controllo sulla gestione"); articolo 2409 noviesdecies ("Norme applicabili e revisione legale").
Il sistema monistico prevede un unico organo collegiale ovvero il Consiglio di amministrazione, al quale spetta, in via esclusiva, la gestione dell'impresa.
Il controllo sulla gestione è esercitato da un comitato costituito all'interno del Consiglio di amministrazione, al quale compete la vigilanza sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile.
Al comitato possono essere affidati ulteriori compiti da parte del Consiglio di amministrazione, con particolare riguardo ai rapporti con il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti.
La peculiarità di tale modello di governance è rappresentata dalla concentrazione, in un unico organo, delle funzioni sia di gestione che di controllo, benché siano svolte da soggetti diversi.
Il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (c.d. Tusp)
Una prima limitazione attiene ai tipi di società in cui è ammessa la partecipazione pubblica, consistenti, esclusivamente, in «società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa» (art. 3, co. 1, Tusp).
L'individuazione dei tipi è, a sua volta, completata dagli articoli 16, 17 e 18 , dedicati, rispettivamente, alle società in house, alle società miste pubblico-private e al procedimento di quotazione di società a controllo pubblico in mercati regolamentati.
Con la scelta tipologica de qua il legislatore del Tusp «esclude sostanzialmente le società di persone – limitando a monte la scelta organizzativa degli enti – in ragione della natura pubblica delle risorse impiegate» ( Corte cost., 4 aprile 2022, n. 86 ), esclusione la cui ratio è da ravvisarsi, ragionevolmente, nella (ontologica) incompatibilità tra il regime di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali che caratterizza le società di persone e la finalità autorizzatoria tipica del bilancio degli enti pubblici in contabilità finanziaria.
Una seconda limitazione attiene all'oggetto sociale, essendo il ricorso allo strumento societario subordinato alla sussistenza di un «legame di stretta necessarietà» tra la partecipazione societaria e l'esercizio dei compiti istituzionali (Corte cost. n. 86/2022 cit.).
Ciò in virtù della (dirimente) constatazione che «il fenomeno delle società a partecipazione pubblica […] si era sviluppato in modo esponenziale, con amministrazioni che vi avevano fatto ricorso in modo indiscriminato, anche per lo svolgimento di attività non riconducibili ai loro fini istituzionali, con il pregiudizievole effetto di chiudere, senza ragione, alla concorrenza determinati mercati, e, comunque, molto spesso senza rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, con conseguenti gravi disavanzi e oneri per la finanza pubblica» ( Corte cost., 28 luglio 2022, n. 201 ).
Il Tusp ha, quindi, dedicato una specifica disciplina alla fase - di stampo marcatamente pubblicistico - di deliberazione della decisione di costituire una nuova società o di acquisire partecipazioni in società già esistenti, disciplina caratterizzata dalla funzionalizzazione della scelta organizzativo-gestionale, nonché dalla procedimentalizzazione del relativo iter deliberativo.
A tale riguardo l'articolo 4 , nel fissare le finalità perseguibili mediante la costituzione di società ovvero l'acquisizione o il mantenimento di partecipazioni, ha imposto un «doppio vincolo di scopo» ( Cons. Stato, Sez. V, 11 maggio 2020, n. 2929 ), declinato in un limite di carattere generale (cfr. art. 4, co. 1, Tusp), nell'ambito del quale si inserisce - quale vincolo di attività - l'imposizione della riconducibilità dell'attività esercitata a quelle ammesse dalla legge, espressamente indicate dal medesimo Tusp (cfr. art. 4, co. 2, Tusp).
La natura giuridica delle società a partecipazione pubblica
La Corte di cassazione si è occupata della questione della natura giuridica delle società a partecipazione pubblica sin da epoca antecedente all'adozione del Tusp.
In particolare, nel regime vigente ante Tusp i Giudici di legittimità ritenevano che il ricorso, da parte del soggetto pubblico, allo strumento societario di diritto comune non fosse idoneo a incidere, snaturandola, sulla qualificabilità della società partecipata come soggetto privato ove il socio pubblico non disponesse, statutariamente, di poteri di ingerenza e di influenza ulteriori rispetto a quelli ordinariamente previsti dal diritto societario e, nel contempo, l'oggetto sociale non ricomprendesse attività di interesse pubblico da esercitarsi in forma prevalente (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. Un., 15 aprile 2005, n. 7799, 30 dicembre 2011, n. 30167, 20 febbraio 2013, n. 4217 e 19 aprile 2013, n. 9534; Cass. civ., Sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991): la pubblicità dell'interesse riferibile al socio pubblico, pertanto, non assumeva alcuna valenza a fini qualificatori, trattandosi di interesse di rilievo esclusivamente extrasociale (Cass. n. 7799/2005 cit.).
Secondo l'elaborazione giurisprudenziale post Tusp il rapporto tra la società e il socio pubblico è di «sostanziale autonomia» (Cass. civ., Sez. V, 29 luglio 2017, n. 21658), rimanendo i due soggetti distinti sul piano giuridico-formale: «la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici (comune, provincia e simili) ne posseggono, in tutto o in parte, le partecipazioni, in quanto non assume rilievo alcuno, per le vicende della società medesima, la persona dell'azionista, dato che la società, quale persona giuridica privata, opera comunque nell'esercizio della propria autonomia negoziale e non è consentito all'ente pubblico, mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, di incidere sullo svolgimento del rapporto partecipativo e sull'attività della società, che restano assoggettati alla disciplina privatistica, così da non escludere la alterità soggettiva dell'ente societario nei confronti della pubblica amministrazione, il quale è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante» ( Cass. civ., Sez. Un., 14 marzo 2022, n. 8186 . Conformi ex multis Cass. civ., Sez. V, 27 maggio 2022, n. 17195; Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3196 e 22 febbraio 2019, n. 5346).
Come di recente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, «la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici ne posseggano le partecipazioni, in parte o anche del tutto, posto che l'identità dell'azionista non assume alcun rilievo quanto alle vicende della società, che opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale, sul quale l'ente pubblico non può incidere mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali» ( Cass. civ., Sez. I, 16 marzo 2023, n. 7646 ).
La corporate governance nelle società a partecipazione pubblica
La natura privatistica delle società a partecipazione pubblica comporta, in via di principio, l'applicabilità dei modelli organizzativi di diritto comune, fatte salve le «disposizioni più stringenti […] rispetto a quelle rivolte agli organismi a mera partecipazione» (C. conti, Sez. reg. contr. Liguria, 24 gennaio 2018, n. 3/2018/PAR) espressamente dedicate dal Tusp alle partecipate a controllo pubblico.
Dalla qualificazione della società a controllo pubblico deriva l'assoggettamento - sia delle Pubbliche Amministrazioni partecipanti che della società partecipata e dei suoi organi - a una serie di vincoli, obblighi e adempimenti prescritti ex lege, volti ad assicurare il coordinamento del controllo dei soci pubblici, nonché a legittimare la detenzione delle partecipazioni.
Trattasi, segnatamente, di disposizioni che limitano l'autonomia statutaria e/o decisionale degli organi della società, con il chiaro intento di prevenire il rischio di assunzione, da parte del soggetto pubblico detentore della posizione di controllo, di decisioni antieconomiche e/o inefficienti; nel contempo, introducono specifiche deroghe alla disciplina di diritto comune in materia di revisione legale dei conti (cfr. art. 3, co. 2), organizzazione e gestione (cfr. art. 6), governance societaria (cfr. art. 11), controllo giudiziario sull'amministrazione (cfr. art. 13), crisi d'impresa (cfr. art. 14), gestione dei rapporti di lavoro (cfr. art. 19), trasparenza (cfr. art. 22), ricognizione e gestione del personale in servizio (cfr. art. 25) e adeguamento statutario (cfr. art. 26).
In particolare, l'articolo 11 del Tusp stabilisce che l'organo amministrativo «è costituito, di norma, da un amministratore unico» (art. 11, co. 2, Tusp) e assoggetta l'Assemblea a un onere motivazionale rafforzato ove decida di «disporre che la società sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri, ovvero che sia adottato uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo previsti dai paragrafi 5 e 6 della sezione IV-bis del capo V del titolo V del libro V del codice civile» (art. 11, co. 3, Tusp): la relativa delibera deve essere «motivata con riguardo a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi» (art. 11, co. 3, Tusp).
L'adozione dei modelli organizzativi di diritto comune, tuttavia, può rivelarsi inidonea a garantire la governance della società a controllo pubblico in caso di partecipazione pulviscolare ovvero nell'ipotesi di detenzione - totalitaria o maggioritaria - del capitale sociale da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, in grado di esercitare un controllo individuale.
Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, la partecipazione pulviscolare (detta anche frazionata o polverizzata) è «in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di effettivamente incidere sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa […] in presenza di interessi contrastanti e, in ultimo, impeditivi» ( Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578 ).
L'impossibilità di una reale interferenza costituisce la conseguenza, sul piano effettuale, della «debolezza sia assembleare sia, di riflesso, amministrativa» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.) riveniente dalla «particolare modestia della partecipazione al capitale» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).
Tuttavia, «i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il "loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l'attività della società partecipata" (si veda Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578)"» (Cons. Stato, Sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564).
In altri termini, «non è sufficiente […] una semplice sommatoria delle partecipazioni di soggetti pubblici tale da esprimere la maggioranza del capitale sociale - potendosi diversamente conformare e modulare gli assetti di potere nell'ambito degli organi societari - ma occorrono piuttosto, in assenza di un controllo monocratico ex art. 2359 Cod. civ., atti o accordi che vincolino i soggetti pubblici all'esercizio congiunto delle loro prerogative» (Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 2023, n. 2543); si appalesa, cioè, ineludibile il ricorso a strumenti negoziali (quali, a titolo esemplificativo, i patti parasociali) che «possano dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e dunque rinforzare la loro azione collettiva e, in definitiva, di assicurare un loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l'attività della società partecipata» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.) ovvero la previsione, nell'atto costitutivo, di un organo speciale «deputato ad esprimere la volontà dei soci pubblici» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).
Danno riflesso, natura giuridica e sue specificazioni
di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno*