Civile

Criptovalute inquadrate come prodotti finanziari, i primi passi dei Paesi europei

La Spagna ha obbligato le campagne pubblicitarie a indicare il rischio di perdita totale e l’assenza di regolazione

di Marco Boldini

L’avvento delle criptovalute nei mercati finanziari ha posto il problema della loro qualificazione come prodotti finanziari e quindi dell'applicazione delle norme di tutela per gli investitori tradizionalmente previste per questi ultimi.

Se da un lato si assiste da tempo a solenni proclami da parte delle autorità di vigilanza, che auspicano a diverso titolo la regolamentazione del fenomeno - si sono recentemente espressi Paolo Savona, numero uno della Consob, e Gary Gensler, presidente della Securities and Exchange Commission (Sec), l’equivalente statunitense della Consob, secondo i quali le criptovalute non sono da considerare moneta ma prodotti finanziari – nei fatti tale inquadramento è ancora discusso. È evidente, tuttavia, come non sia possibile attendere oltre per fare chiarezza sulla questione dato che – come evidenziato dall'ultimo report di Bank of America - l’intero ecosistema degli assets digitali, con circa 16 mila miliardi di dollari in transazioni su blockchain nel 2021 di cui 3 mila miliardi in criptovalute, è troppo esteso per continuare a subire dubbi circa il suo inquadramento regolamentare.

Sul fronte giurisprudenziale, il tema è stato affrontato per la prima volta con sentenza della Corte di Cassazione n. 26807 del 25 settembre 2020. A seguito della sentenza del 2020, numerosi sono stati gli articoli pubblicati online che parlavano di: «sentenza storica sui Bitcoin, la Cassazione: sono prodotti finanziari».

A ben vedere, in realtà, il testo della sentenza non definiva di per sé la criptovaluta come un prodotto finanziario, ma affermava piuttosto che «la vendita di Bitcoin che (...) veniva reclamizzata come proposta di investimento presentando informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare i profili di rischio dell’investimento consiste in un’attività soggetta alle norme sull’offerta al pubblico, e perciò agli adempimenti previsti in materia di prodotti finanziari». Sulla questione è recentemente tornata la Suprema Corte con sentenza n. 44337/21 secondo cui la valuta virtuale, «quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d'investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria».

Sembrerebbe quindi che i valori virtuali non rappresentino, di per sé stessi, un prodotto finanziario, quanto che la loro vendita sia soggetta alle norme in tema di intermediazione finanziaria qualora tale attività presenti degli indici di finanziarietà - ancorati a una considerazione discrezionale del giudice condotta caso per caso -, e cioè quando l'investimento di una somma di denaro da parte del risparmiatore sia connotata dall'aspettativa di un profitto economico futuro e dalla presenza di fattori di rischio (Corte di Cassazione n. 2736 del 2013).

Tra l’altro, sembra che le stesse valutazioni siano alla base della recente introduzione, da parte del governo spagnolo - primo in Europa - dell'obbligo per i promotori di campagne pubblicitarie di criptovalute rivolte ad una platea superiore a centomila persone, di ricevere ex ante l'autorizzazione della Cnmv - l’equivalente spagnolo della Consob- prevedendo che ogni annuncio dovrà avvertire i destinatari che «gli investimenti in criptovalute non sono regolati, potrebbero non essere adeguati al retail e comportano il rischio di perdere l'intero capitale impegnato» così da sottoporre parzialmente anche gli operatori non vigilati agli obblighi di compliance di tutela dell'investitore.

La stessa impostazione sarà probabilmente adottata in Francia, dove un noto personaggio televisivo ha ricevuto una sanzione di 20mila euro per «pratiche commerciali ingannevoli» dopo aver pubblicizzato un sito di trading di bitcoin su Snapchat, mentre in Germania già nel 2020 la BaFin –in contrasto, va sottolineato, con una pronuncia della Corte regionale superiore di Berlino – ha definito le criptovalute come strumenti finanziari. Su più fronti ci si sta quindi muovendo nella stessa direzione delle citate pronunce della Corte di Cassazione.

Un altro importante passo verso la regolamentazione del settore è stato inoltre compiuto negli scorsi giorni, sempre in Italia, con l'adozione da parte del Mef del decreto che prevede l'obbligo – in caso di esercizio professionale (anche da remoto/on-line) di servizi relativi ad attività inerenti la valuta virtuale e di prestazione di servizi di portafoglio digitale da parte di operatori sia nazionali che esteri - di comunicazione ed iscrizione presso apposito registro istituito presso l'Oam, dando finalmente attuazione alle previsioni della V direttiva Antiriciclaggio.

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