Civile

Immigrati, sì alla revoca dello status di rifugiato anche se il pericolo è solo potenziale

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 18427/2025, affermando un principio di diritto

di Francesco Machina Grifeo

Ai fini della revoca dello status di rifugiato non è necessario che il soggetto costituisca un pericolo “reale ed attuale” per lo Stato italiano essendo sufficiente che integri un pericolo solo “potenziale”. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 18427/2025, affermando un principio di diritto.

Il caso era quello di un cittadino algerino a cui la Commissione nazionale per il Diritto d’Asilo (CNA) aveva revocato lo status di rifugiato, con divieto di reingresso per 10 anni. La qualifica di rifugiato gli era stata riconosciuta dalla Commissione territoriale di Milano in quanto vittima di persecuzione per appartenenza al gruppo sociale LGBTI.

Il pericolo alla base della revoca invece era quello di un possibile percorso diradicalizzazione” comprovato dalla immagine del profilo Whatsap che mostrava il portavoce di Hamas che, armato, inneggiava alla prossima vittoria di Allah e di un post su Instagram in cui Israele veniva definito “Stato sionista terrorista” aggiungendo: “questi assassini” saranno rintracciati e puniti “se non loro, la loro prole”; concludendo poi: “occhio per occhio dente per dente viva Hamas e viva la Resistenza”».

Impugnata la revoca, il tribunale ha ritenuto che nonostante la “gravità intrinseca delle esternazioni” ciò “non rende ex se solo il ricorrente quel concreto pericolo per la sicurezza dello Stato che solo può giustificare la revoca del suo status di rifugiato”. Il tono dei messaggi, oggettivamente “minaccioso, violento e vendicativo”, infatti, non risultava inserito “in un contesto personale e sociale concretamente rivelatore del rischio di una sua evoluzione verso la c.d. radicalizzazione”.

Riguardo poi alla mancata allegazione della Nota della Polizia di prevenzione, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato, per il Tribunale l’acquisizione “non è necessaria” e la conseguenza è che “per questo giudice tamquam non esset e non se ne potrà trarre alcuna conseguenza probatoria sfavorevole”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso il Ministero dell’Interno. La Suprema corte l’ha accolto anche richiamando la giurisprudenza europea secondo la quale non è necessario “un pericolo reale e attuale, ma anche un pericolo potenziale”.

Dunque, in linea con la giurisprudenza eurounitaria, la Cassazione ha affermato: «Il combinato disposto degli artt. 12, comma 1, lett. b) e 13, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 251/2007, che consente agli Stati membri di revocare, cessare o rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato se ‘sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato’ tende a indicare che tale disposizione può coprire non solo un pericolo reale e attuale, ma anche un pericolo potenziale, in quanto l’autorità amministrativa deve disporre di un margine di discrezionalità per decidere se le considerazioni attinenti alla sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi debbano, o no, dar luogo alla revoca dello status di rifugiato o al rifiuto del riconoscimento di quest’ultimo”. E “spetta al giudice del procedimento di impugnazione ex art. 35 bis del d.lgs. n.25/2008, senza sovrapporsi alla valutazione discrezionale compiuta dall’autorità competente, il controllo, nel contraddittorio tra le parti che connota il giusto processo, di proporzionalità e di adeguatezza nella vicenda concreta, alla luce del bene della sicurezza dello Stato e del diritto soggettivo allo status di rifugiato”.

Tornando al caso concreto, il Tribunale, invece, non si è attenuto a questi principi centrando il controllo di “proporzionalità e adeguatezza” sulla “concretezza del rischio, che non è stata ravvisata”. Per i giudici, la valutazione non è conforme al parametro eurounitario. L’applicazione del criterio di giudizio prescelto dal Tribunale – “ossia la necessaria sussistenza di un livello di concretezza del rischio di passaggio all’azione offensiva, che solo potrebbe assurgere a pericolo per la sicurezza nazionale e giustificare la revoca dei benefici che si ricollegano allo status di rifugiato” – finisce “irragionevolmente con il delimitare la possibilità di revoca ai soli casi in cui la condotta si sia estrinsecata sul piano fenomenico, così escludendo ogni rilevanza a comportamenti ex ante idonei ad attentare al bene superindividuale della sicurezza nazionale”.

Con riguardo poi alla mancata allegazione della Relazione, la Cassazione ha affermato un altro principio. Secondo i giudici: «In materia di revoca dello status di rifugiato, qualora il provvedimento sia motivato per relationem ad un altro atto o documento amministrativo al quale sia stata apposta la “classifica di segretezza”, la conoscibilità di quest’ultimo è assicurata in contraddittorio, a fini difensivi e per l’esercizio del controllo giurisdizionale, attraverso il procedimento ex art.42, comma 8, della legge n.124/2007, che persegue la finalità di bilanciare le esigenze di sicurezza e le garanzie difensive del giusto processo in sede giurisdizionale; la omessa attivazione del procedimento di ostensione ex art.42, comma 8, della legge n.124/2007 non è idonea, né sufficiente ad inficiare la motivazione per relationem».

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