Amministrativo

Farmaci "biosimilari", non sono generici e niente incentivo al farmacista

Sui farmaci biosimilari il prezzo ex factory delle confezioni, e cioè la quota che spetta alle aziende farmaceutiche produttrici, è quello più alto del 66,65%

di Simona Gatti

Sui farmaci biosimilari il prezzo ex factory delle confezioni, e cioè la quota che spetta alle aziende farmaceutiche produttrici, è quello più alto del 66,65%. In farmacia, infatti, per legge i medicinali originali possono essere sostituiti con gli equivalenti , ma non con i biosimilari e pertanto la loro vendita al dettaglio non prevede l'incentivo al farmacista che in altri casi fa scattare la ridotta percentuale di utile per l'azienda farmaceutica. Il principio è espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 540 del 26 gennaio scorso, con la quale è stato respinto un ricorso dell'Aifa contro una società farmaceutica.

La vicenda
La Srl ha impugnato la nota dell'Aifa che applicava a un loro farmaco biosimilare, indicato per il trattamento del diabete mellito, la quota di spettanza delle aziende farmaceutiche produttrici del 58,65% del suo prezzo al pubblico, che si applica con riferimento ai farmaci equivalenti, e non la maggiore percentuale del 66,65%.
Già in primo grado il giudice aveva dato ragione alla società, ritenendo i biosimilari non del tutto assimilabili a quelli equivalenti perché, a differenza di questi, sono "intercambiabili" con il prodotto originale ma non "automaticamente sostituibili". Il farmacista, infatti, mentre può automaticamente sostituire un farmaco originale con uno equivalente, non può, davanti a una ricetta medica, dare al cliente un biosimilare. "Da questo presupposto ne consegue che, nel caso di farmaco biosimilare, manca l'incentivo per il farmacista, sotteso alla previsione della ridotta percentuale di utile per l'azienda farmaceutica". La decisione del Tar è stata impugnata dall'Aifa davanti al Consiglio di Stato.

La decisione di Palazzo Spada

La terza sezione di Palazzo Spa, nel confermare il ragionamento svolto dal tribunale amministrativo, chiarisce prima di tutto che i margini di guadagno diversi, previsti da una normativa ad hoc, hanno alla loro base la finalità di incoraggiare l'uso dei farmaci generici. La norma però non può che rivolgersi solo a tali farmaci: con uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali.Il farmaco biosimilare – prosegue il Consiglio di Stato - è legato al farmaco biologico, del quale condivide il principio attivo, ma si tratta di un rapporto diverso da quello che lega il farmaco originale e quello equivalente. I "farmaci biologici", inclusi i biotecnologici, cioè ottenuti con biotecnologie, sono farmaci il cui principio attivo è rappresentato da una sostanza prodotta o estratta da un sistema biologico, oppure derivata da una sorgente biologica attraverso procedimenti di biotecnologia. La produzione di farmaci biologici è sicuramente più complessa di un farmaco di derivazione chimica, essendo svariati i fattori che incidono sul processo stesso di produzione.Per questo motivo, vista la complessità e la natura dei processi di produzione, non sono mai pienamente identici, anche se si basano su un medesimo principio attivo e hanno le stesse indicazioni terapeutiche, infatti nel loro caso non si usa il termine "equivalente" (o "generico"), bensì "similare" o "biosimilare" . Si distinguono, dunque, dai farmaci chimici dove "ogni prodotto è pienamente equivalente all'altro (originator o meno) sempreché sia accertata l'identità del composto chimico (molecola)" .

Fatta questa ricostruzione, il Collegio stabilisce che nel caso di farmaco biosimilare manca uno dei due presupposti previsti "dall'articolo 13, comma 1, lett. b), del Dl n. 39 del 2009", e cioè l'essere il farmaco "equivalente" (ai sensi dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 347 del 2001) all'originator e dunque l'essere il farmacista obbligato a consegnare all'assistito l'equivalente in luogo dell'originator, salva diversa espressa prescrizione del medico (comma 3 dell'art. 7, d.l. n. 347 del 2001). Questa differenza sostanziale rende l'appello dell'Aifa illegittimo e dunque da respingere.

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