Responsabilità

Gedi: la Cassazione conferma il risarcimento a RTI per il caricamento di video sul sito internet

Respinto il ricorso contro la decisione del novembre 2017 con cui la Corte di appello di Roma aveva condannato l'allora "Gruppo Editoriale L'Espresso"

di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 8270 depositata oggi, ha respinto il ricorso di "GEDI Gruppo Editoriale" contro "Reti Televisive Italiane-RTI", confermando la decisione del novembre 2017 con cui la Corte di appello di Roma aveva condannato l'allora "Gruppo Editoriale L'Espresso" al risarcimento del danno per violazione del diritto d'autore. Al centro del contenzioso, il caricamento sul portale del quotidiano, all'interno di un'autonoma sezione 'video' e senza alcuna autorizzazione, di contenuti audiovisivi relativi a programmi prodotti e diffusi da Rti.

All'epoca venne accertata, e la Prima sezione civile ha rigettato tutti i motivi di doglianza, la scorrettezza del comportamento dell'azienda (articolo 2598, n. 3) c.c.), per avere pubblicato in cinque anni un totale di 125 spezzoni prodotti da Rti, lucrando "sistematicamente e illegittimamente" i relativi proventi pubblicitari. Senza che operasse, conferma la Cassazione, l'invocata scriminante dell'articolo 70, comma 1, della Legge sul Diritto d'autore, considerato che le pubblicazioni non inerivano a un diritto di critica giornalistica, ma configuravano un'illecita attività concorrenziale di attrazione di clientela. Né tantomeno sussisteva la scriminante ex articolo 65, considerato che la pubblicazione a distanza di tempo escludeva qualsiasi interesse pubblico alla conoscenza dei relativi contenuti, ponendosi ancora una volta sul piano dell'illecita concorrenza. Confermata infine anche la correttezza dell'inibitoria pronunciata dal Tribunale in relazione a ogni analogo comportamento futuro di Gedi.

Nel ricorso Gedi, tra l'altro, ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2598, comma 1, n. 3, c.c. in relazione all'accertamento dell'esistenza di un rapporto di concorrenza con RTI in base alla "comunanza di clientela". Sul punto la Suprema corte richiama una nozione "dinamica" della comunanza di clientela che configura "quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l'offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale". In questo senso, l'affermazione della Corte romana, secondo cui la concorrenza poteva essere riguardata anche sotto il profilo della concorrenza sul mercato pubblicitario degli inserzionisti, che dal numero di utenti collegati trae certamente primaria indicazione per orientare le proprie scelte pubblicitarie, "costituisce una valutazione che, in astratto, rientra nella larga nozione di comunanza di clientela e, in concreto, è un giudizio di fatto che si sottare al sindacato di questa Corte".

Riguardo infine all'inibitoria, per la Cassazione l'ordine era "ovviamente limitato alla iterazione di comportamenti da parte di GEDI identici a quelli sanzionati, e dunque si iscriveva nell'ambito della tutela circoscritta negli articoli 65 e 70 L.d.a. … e non poteva certamente estendersi a una generale limitazione dell'iniziativa economica privata".

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