Penale

Responsabilità 231: in caso di fraudolenta cessione dell'ente originario, risponde il subentrante delle pene pecuniarie

La V sezione penale della Cassazione con la sentenze 25492/2021 ha ritenuto applicabile l'articolo 33 del Dlgs 231/2001

di Aldo Natalini

In tema di responsabilità da reato degli enti, in caso di fraudolenta cessione di azienda nella cui attività sia stato commesso uno dei reati-presupposto compresi nel catalogo "231", non costituisce causa di nullità la nomina del difensore di fiducia dell'ente cessionario effettuata dal legale rappresentante, non trovando applicazione il divieto di rappresentanza di cui all'articolo 39 del Dlgs n. 231/2001, atteso che l'ente cessionario non è responsabile del fatto costituente reato, ma è soggetto solidalmente responsabile per il pagamento della sanzione pecuniaria.
Così la sentenza n. 25492/2021 della Quinta sezione penale della Suprema Corte, depositata il 5 luglio scorso, che ha ritenuto applicabile l'articolo 33 del Dlgs n. 231/2001, in tema di trasferimento d'azienda, anche al caso di fraudolento trasferimento delle attività in favore di altro ente, attesa l'identità di ratio.

Il caso di specie
Nella specie la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione interposto da un comitato provinciale di Roma ritenuto responsabile dalla Corte d'appello di Trieste dell'illecito amministrativo dipendente dal reato di associazione per delinquere finalizzata al compimento ad una pluralità di delitti di falso ideologico commessi nell'attestazione delle presenze degli studenti durante le ore di lezione, delle attività didattiche e delle prove scritte svolte dagli studenti iscritti a due istituti scolastici paritari. Detti istituti nel cui interesse e vantaggio erano stati commessi i reati in contestazione costituivano originariamente rami d'azienda di un comitato di coordinamento di Pordenone, le cui attività, per effetto della successiva cessazione, erano state trasferite al coordinamento romano dello stesso Comitato, donde la condanna di quest'ultimo ente subentrante fondata sulla successione nei rapporti già facenti capo all'associazione di Pordenone.
Tra i motivi di ricorso proposti nell'interesse dell'ente, in sede di legittimità erano stati dedotti vizi motivazionali e la violazione degli articoli 27 e 35 del Dlgs n. 231/2001, in relazione alla mancata declaratoria di estinzione dell'illecito amministrativo originariamente contestato al comitato di coordinamento cittadino di Pordenone, ritenendosi esclusa – nella specie – un'ipotesi di fusione, scissione o cessione d'azienda giustificante la responsabilità dell'ente cessionario; ciò in quanto – deduceva l'associazione ricorrente – il comitato friulano titolare degli istituti scolastici in questione era stato sciolto dal dicembre 2013, con mera devoluzione dei beni all'associazione romana poi condannata.
Inoltre la difesa aveva eccepito la nullità della sentenza di primo grado e dei successivi atti processuali, ai sensi dell'articolo 178, comma l, lettera c), del Cpp, per ritenuta violazione dell'articolo 39 del Dlgs n. 231/2001, dal momento che l'ente, inizialmente rappresentato da un difensore d'ufficio, si era successivamente costituito in persona del legale rappresentante che, nonostante l'incompatibilità derivante dal citato articolo 39, aveva provveduto alla nomina del difensore di fiducia; quest'ultima, pertanto, doveva essere ritenuta priva di qualunque effetto.

Il dictum: la responsabilità solidale dell'ente cessionario in caso di fraudolenta estinzione dell'ente originario
La Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso della persona giuridica (come pure quelli presentati nell'interesse delle persone fisiche), ha stigmatizzato la peculiarità della vicenda concreta, caratterizzata dalla fraudolenta estinzione della persona giuridica originariamente responsabile, con conseguente – affermata – responsabilità solidale dell'ente cessionario per il pagamento della pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 33 del Dlgs n. 231/2001, ritenuto applicabile anche in caso di fraudolento trasferimento delle attività in favore di altro ente, attesa l'identità di ratio rispetto all'ipotesi, ivi contemplata, di cessione d'azienda.
Come chiarito dalla sentenza d'appello, la presenza nel processo a quo dell'associazione romana subentrante scaturiva non già dal fatto che fosse l'ente nell'interesse o a vantaggio diretto del quale l'attività degli imputati era stata commessa, bensì in ragione del fraudolento trasferimento in suo favore delle attività già facenti capo al comitato friulano, al fine di sottrarre quest'ultimo alle conseguenze sanzionatorie previste dal Dlgs 231/2001.
L'odierna soluzione è coerente con gli approdi della giurisprudenza di legittimità, la quale ha puntualizzato che l'estinzione dell'illecito "amministrativo" dipendente da reato consegue solo all'estinzione fisiologica e non fraudolenta dell'ente, giacché solamente nel primo caso ricorre un caso assimilabile alla morte dell'imputato (Cassazione, sezione II penale, n. 41082/2019, Starco srl, Ced 2771070), mentre il principio generale applicabile a tutte le vicende modificative del soggetto collettivo è nel senso di estendere la responsabilità al soggetto subentrante qualora il nuovo ente rappresenti una prosecuzione, sotto diverse forme giuridiche, del precedente soggetto giuridico, come accade nel caso di trasformazione e fusione (sezione VI penale, n. 11442/2016, Ced 266361; conforme Tribunale di Milano, sezione V penale, sentenza 20 ottobre 2011).
Proprio la finalità elusiva perseguita attraverso la cessazione dell'attività del primo ente – ravvisata nella vicenda al vaglio, secondo l'apprezzamento dei giudici di merito ritenuto ben motivato dai Supremi giudici – giustifica l'applicazione dell'articolo 33 del Dlgs n. 231/2001 che prevede, in caso di cessione d'azienda, la responsabilità solidale dell'ente cessionario («1. Nel caso di cessione dell'azienda nella cui attività è stato commesso il reato, il cessionario è solidalmente obbligato, salvo il beneficio della preventiva escussione dell'ente cedente e nei limiti del valore dell'azienda, al pagamento della sanzione pecuniaria. 2. L'obbligazione del cessionario è limitata alle sanzioni pecuniarie che risultano dai libri contabili obbligatori, ovvero dovute per illeciti amministrativi dei quali egli era comunque a conoscenza. 3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di conferimento di azienda»).
In questo caso il legislatore individua il cessionario non come responsabile dell'illecito amministrativo – che resta il cedente, ove ancora esistente come soggetto giuridico collettivo – ma come solidalmente obbligato al pagamento della sanzione pecuniaria.
Significativamente – bene rimarca la sentenza in disamina – mentre gli articoli 28, 29, 30 del Dlgs 231/2001 fanno riferimento alla nozione di responsabilità «per i reati commessi», l'articolo 33 – ritenuto, come detto applicabile, per eadem ratio, anche all'ipotesi di fraudolento trasferimento delle attività in favore di altro ente – disciplina il diverso fenomeno della responsabilità civilistica solidale del cessionario per il pagamento della pena pecuniaria (vedi Cassazione, sezione VI penale, n. 11442/2016, Ced 266361, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione all'articolo 76 della Costituzione, degli articoli da 28 a 33 del Dlgs 231/2001 - che prevedono, in caso di trasformazione o fusione dell'ente, la responsabilità del nuovo soggetto per i reati commessi anteriormente - atteso che tali disposizioni, in quanto volte ad evitare che le operazioni di trasformazione dell'ente si risolvano in agevoli modalità di elusione della responsabilità, risultano coerenti con i criteri direttivi della delega tra cui vi è quello di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive).

Inoperante la regola dell'articolo 39 Dlgs n. 231/2001 sull'incompatibilità difensiva
Le finalità perseguite dal legislatore del 2001 e la tecnica della costruzione di un'obbligazione solidale ex articolo 33 Dlgs n. 231/2001 assumono un duplice rilievo per i Supremi giudici.
Per un verso, illuminano i limiti del principio di legalità di cui all'articolo 2 del Dlgs n. 231/2001, nella misura in cui non viene in gioco la responsabilità diretta del cessionario per un fatto costituente reato-presupposto.
Per altro verso, rende inoperante la regola dettata dall'articolo 39 dello stesso decreto – invocata dalla difesa in sede di legittimità per ritenuta incompatibilità – la quale ha condotto la giurisprudenza a ritenere che, in tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'articolo 39 stessi (Cassazione, sezioni Unite penali n. 33041/2015, Ced 26431001; sezione III penale, n. 5447/2017, Ced 269754; sezione II penale, n. 51654/2017, Ced 27136001; sezione VI penale, n. 15329/2019, Ced 27543301).
Tuttavia – conclude la sentenza in esame – «la lettera della legge ha riguardo all'ente responsabile del reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, come dimostra la correlazione dell'art. 39 con i successivi articoli 40 e 41 e risponde all'evidente ratio giustificativa che riposa sulla presunzione di un conflitto di interessi tra il rappresentante legale imputato e l'ente responsabile. In tale caso, l'atto di nomina del difensore rappresenta un atto sospettato - per definizione legislativa - di essere produttivo di effetti potenzialmente dannosi sul piano delle scelte strategiche della difesa dell'ente che potrebbero trovarsi in rotta di collisione con divergenti strategie della difesa del legale rappresentante indagato» (sezioni Unite penali, n. 33041/2015, citata). Ma siffatta ratio normativa – concludono gli "ermellini" di Piazza Cavour – non ha alcuna ragion d'essere nel caso dell'ente cessionario, che, per quanto detto sopra, non è un soggetto responsabile del fatto costituente reato (per usare l'espressione dell'articolo 2 del Dlgs n. 231/2001).
Conclusivamente, dunque, non è causa di nullità la nomina del difensore di fiducia dell'ente subentrante a quello fraudolentemente cessato, effettuata dal legale rappresentante, poiché in quest'ipotesi non trova applicazione il divieto di rappresentanza di cui all'articolo 39 del Dlgs n. 231/2001, non essendo l'ente cessionario non è responsabile del fatto costituente reato, ma è soggetto solidalmente responsabile per il pagamento della sanzione pecuniaria.

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