Penale

Spiagge, moratoria delle concessioni al 2023 solo per chi ha già beneficiato della proroga

La Cassazione, sentenza n. 15676, segnalata per il "Massimario", chiarisce che la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non si applica alle concessioni non rinnovate

di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione conferma il sequestro preventivo dell'intero complesso dei Bagni di Liggia, a Genova, da anni al centro di un contenzioso per la concessione demaniale. La Terza sezione penale, sentenza n. 15676, segnalata per il "Massimario", con una lunga motivazione, infatti, ha affermato che la recente presa di posizione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 17 e 18/21), che pur bocciando il regime di proroga automatica delle concessioni perché contrario al diritto comunitario ha rinviato al 31/12/2023 la disapplicazione della normativa nazionale di proroga (delle concessioni demaniali marittime con finalità ludico-ricreative), ha prodotto effetti solo ed esclusivamente rispetto alle concessioni che hanno beneficiato di tali proroghe. Mentre tale non è la concessione dell'odierno ricorrente che, rilasciata nel 1998, risulta definitivamente scaduta in data 31/12/2009, a seguito di un rinnovo disposto dal Comune di Genova, senza mai essere stata oggetto di proroghe tacite.

Al contrario, per la proprietà la sentenza di Palazzo Spada costituirebbe quel fatto nuovo sopravvenuto capace di superare anche il giudicato cautelare, idoneo a far venir meno le condizioni di applicabilità del sequestro (ai sensi dell'articolo 321 comma tre Cpp).

La Cassazione per prima cosa afferma che le disposizioni delle legge 194 del 2009, che ha prorogato al 2015 le concessioni (a cui poi sono seguite ulteriori proroghe) "si riferiscono esclusivamente alle concessioni nuove, ovvero a quelle sorte dopo la legge 88 del 2001, e comunque valide a prescindere dalla proroga automatica". Al contrario, la concessione demaniale del ricorrente risulta scaduta e non prorogata e ciò in quanto la proroga legale dei termini di durata delle concessioni (prevista dall'articolo 1, comma 18, Dl 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25) opera solo per gli atti ampliativi "nuovi", non potendosi considerare tale la concessione del ricorrente che, rilasciata nell'anno 1998, risulta scaduta in data 31.12.2009 senza che il titolo concessorio sia mai stato oggetto di proroghe tacite.

Chiarito questo passaggio, la Corte chiarisce che la pronuncia dell'Adunanza Plenaria non riguarda in alcun modo la posizione giuridica dell'odierno ricorrente. Infatti, prosegue, essa "ha inciso - determinandone la temporanea sopravvivenza - solo ed esclusivamente sulle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative rientranti nell'ambito applicativo della normativa nazionale di proroga, normativa che, per i motivi sopra già esplicitati, non trova applicazione rispetto alla concessione di cui si discute".

Del resto, con le sentenze gemelle del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, infatti, l'Adunanza Plenaria ha ribadito il principio secondo cui il diritto dell'Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime avvenga all'esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2023 delle concessioni in essere. Ed ha ritenuto prive di pregio le preoccupazioni di quanti hanno sostenuto che la disapplicazione di tale normativa esponga a possibili ripercussioni "in termini di responsabilità penale i concessionari demaniali, i quali, venute meno le proroghe ex lege, si troverebbero privi di titolo legittimante l'occupazione del suolo demaniale, così incorrendo nel reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo ex art. 1161 cod. nav.". Tale timore - ha affermato l'Adunanza Plenaria - è privo di fondamento in quanto ad una simile conclusione ostano i principi costituzionali di riserva di legge statale e di irretroattività della legge penale. Da ciò discende che la disapplicazione della legge nazionale "anticomunitaria" non può in alcun modo avere conseguenze in punto di responsabilità penale in quanto il diritto dell'Unione non può mai produrre effetti penali diretti in malam partem.

Ciononostante, il Consiglio di Stato, nella sua composizione più autorevole, si è dichiarato consapevole del notevole impatto (anche sociale ed economico) che può comportare l'immediata disapplicazione della normativa nazionale che ha disposto la proroga ex lege delle concessioni demaniali posto che, determinando l'improvvisa cessazione di tutti i rapporti concessori in atto, essa alimenterebbe ulteriormente quel clima di incertezza già generato dall'annunciato, ma finora mai realizzato, riordino da parte del legislatore.

Constatato che la regola in base alla quale le concessioni balneari debbono essere affidate in seguito a procedura pubblica, il Supremo Giudice amministrativo ha ritenuto congruo individuare l'intervallo temporale per l'operatività degli effetti di tale decisione al 31 dicembre 2023, nella speranza che tale lasso di tempo consenta a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa riordinare la materia e disciplinarla in conformità con l'ordinamento comunitario. Il termine così individuato non potrà subire ulteriori proroghe, dovendosi le stesse eventualmente ritenere in contrasto con il diritto dell'UE e dunque non applicabili, e una volta scaduto tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto.

Tanto basta, conclude la Cassazione, a ritenere sussistente il fumus del reato di cui all'articolo 1161 cod. nav. posto che l'occupazione dello spazio demaniale marittimo è "arbitraria" ed integra il reato di cui all'articolo 1161 cod. nav. se non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti, ovvero allorquando sia scaduto o inefficace il provvedimento abilitativo.

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