Amministrativo

Certificato verde per accedere ai tribunali

Obbligo anche per gli avvocati. Esentati i testimoni e le parti del processo

di Antonello Cherchi e Valeria Uva

Nel mondo giudiziario l’obbligo del green pass ha gettato scompiglio. Se non altro perché il novero di persone che deve esibirlo per entrare nei tribunali si è allargato strada facendo. Confusione che si aggiunge alla paradossale situazione originata dall’incrocio di norme sul processo da remoto, sbrogliata di recente dalla Cassazione. Partiamo dal lasciapassare per accedere agli uffici giudiziari e da quanto accadrà domani: tutti dovranno esibire almeno il green pass base.

Obbligo esteso
Per i magistrati - ordinari, amministrativi, contabili, tributari, militari, onorari e giudici popolari - l’obbligo esisteva già dal 15 ottobre scorso, mentre avvocati, consulenti, periti, testimoni e parti del processo erano esonerati. Questo fino quando il Dl 1 di quest’anno ha esteso l’obbligo «ai difensori, ai consulenti, ai periti e agli altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia». Confermata, invece, la deroga per testimoni e parti del processo.

Secondo il Consiglio nazionale forense e alcune associazioni dell’avvocatura il nuovo obbligo sarebbe dovuto partire dal 1° febbraio, ma una nota del ministero della Giustizia del 13 gennaio è stata esplicita: dall’8 gennaio, data di entrata in vigore del Dl 1, avvocati, periti e consulenti possono entrare nei palazzi di giustizia solo se muniti del certificato verde base. Non solo: la norma deve avere «applicazione ampia intesa come riferita agli avvocati e ai liberi professionisti che abbiano necessità di accedere agli uffici giudiziari per qualsiasi necessità inerente alla loro professione». Per esempio, per recarsi negli uffici dell’Ordine.

Dal 15 febbraio, poi, chi ha più di 50 anni (avvocato o no) potrà entrare negli uffici giudiziari solo con green pass rafforzato. Esclusi sempre le parti e i testimoni.

Il processo a distanza

Il groviglio normativo anti-Covid ha prodotto nelle aule di giustizia anche altre situazioni confuse. È il caso risolto di recente dalla sesta sezione della Corte di cassazione (ordinanza 65/2022). La questione sollevata dall’avvocato Arturo Pardi, consigliere del Cnf, riguardava il processo a distanza. Il Dl 149 del 2020 ha previsto (articolo 23) che anche in questi tempi di pandemia - in cui le udienze da remoto sono la regola - il pubblico ministero o il difensore possano chiedere la discussione orale della causa, dunque in presenza. La norma, però, tace sul fatto che la decisione debba essere comunicata alle altre parti.

È accaduto che l’avvocato abbia appreso che l’udienza di appello si fosse svolta in presenza, ma senza esserne informato. Ha, dunque, chiesto l’annullamento della sentenza e la Cassazione gli ha dato ragione. Il processo si dovrà rifare. Resta, però, la lacuna normativa.

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