Penale

Barolo, frode in commercio per la vinificazione a 300 metri dalla DOCG

La Corte di Cassazione, sentenza n. 42609, sceglie la linea dura nella difesa del disciplinare del vino principe italiano

di Francesco Machina Grifeo

Tentata frode in commercio per il produttore che detenga per la vendita un "ingente numero" di bottiglie di Barolo pronte alla vendita e munite di contrassegno DOCG, in violazione del disciplinare di produzione (approvato con Dpr 01/07/1980) avendo effettuato le operazioni di vinificazione e di invecchiamento delle uve non soltanto presso la cantina di Monforte d'Alba, ma anche presso uno stabilimento sito in Dogliani, comune non compreso nella zona di produzione del vino Barolo (essendo tipica del Dolcetto), sebbene da lì distante appena 300 metri. La Corte di Cassazione, sentenza n. 42609, sceglie la linea dura nella difesa del disciplinare del vino principe italiano, accogliendo - con rinvio - il ricorso del Pg contro l'assoluzione, avvenuta con "lessico incerto e possibilistico", da parte della Corte d'appello di Torino di due membri di una antica e nota dinastia del vino piemontese.

Confermata dunque la lettura del giudice di primo grado che aveva ritenuto che la produzione e commercializzazione del Barolo per le annate dal 2005 al 2012 fosse avvenuta presso la cantina di Dogliani, dove veniva trovato un numero rilevante di bottiglie "confezionate con etichetta Barolo DOCG, in violazione del disciplinare". Il protocollo infatti prevede che "tutte le operazioni di vinificazione ed invecchiamento debbano svolgersi interamente all'interno di un'area consentita, non essendo sufficienti che le uve provengano da vigneti siti nell'area stessa".

Il Tribunale inoltre aveva analizzato una serie di parametri, quali: i consumi d'acqua, lo smaltimento delle acque reflue, la pressatura dell'uva, lo smaltimento delle vinacce, acquisendo, per ciascuno, elementi probatori, documentali e testimoniali, ed era così giunto al convincimento che le uve raccolte nei vigneti di Monforte d'Alba non venissero tutte vinificate e invecchiate nel rispetto del disciplinare, ma in parte trasportate nella cantina di Dogliani per l'espletamento delle operazioni di vinificazione, anche considerato che gli operanti avevano trovato solo 12 barriques nella cantina di Monforte e 44 barriques nello stabilimento in Dogliani.

Il giudice di secondo grado aveva poi ribaltato la decisione affermando che "molteplici fattori" suggerivano che la cantina di Monforte d'Alba "fosse stata effettivamente utilizzata per la produzione", e che tuttavia era "verosimile o comunque possibile" che almeno una parte del processo di vinificazione del Barolo sequestrato fosse avvenuto nella cantina di Dogliani e che le forniture siano state trasferite nella cantina di Monforte d'Alba solo in occasione dei controlli effettuati dagli accertatori di Valoritalia.

Tuttavia, argomenta la Cassazione, la Corte territoriale, nel ribaltare la decisione "avrebbe dovuto chiarire le ragioni per le quali abbia ritenuto di poter superare il dato oggettivo costituito dal fatto che parte della produzione del vino con marchio DOGC sia stata rinvenuta in uno stabilimento presso un Comune non ricompreso nella zona di produzione del vino Barolo DOCG". Invece, il giudice dell'appello non solo non ha confutato le argomentazioni della sentenza di primo grado "ma non le ha nemmeno analizzate, né articolato un iter argomentativo logico-giuridico utile a spiegare come "il dato oggettivo afferente all'ubicazione dello stabilimento di produzione e di vinificazione possa fondare un giudizio di assoluzione".

"Non è quindi chiaro - prosegue la Corte - come gli elementi a carico, quali ad esempio l'assoluto difetto di consumi idrici negli anni 2007 e 2008, i quantitativi di vino prodotto, le quantità di vinacce smaltite, le dimensioni ridotte della cantina in Monforte d'Alba, potessero essere superati da altrettanto pregnanti elementi a discarico".

In definitiva, conclude la Corte, l'apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado è carente "non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all'asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a sovvertire l'epilogo decisorio, e risultando carente l'iter argomentativo che consenta di superare il dato oggettivo".

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