Amministrativo

Per l'emersione di lavoratori stranieri il procedimento va concluso in 180 giorni dalla presentazione dell'istanza

Senza disposizioni regolamentari che prevedano tempi più lunghi opera l'eccezione al termine ordinario ma anche a quello massimo

di Paola Rossi

Il procedimento avviato con l'istanza di emersione del rapporto di lavoro irregolare nell'interesse di una persona di cittadinanza straniera deve essere chiuso nel termine di 180 giorni. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3578/2022 dove spiega che - ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 - la materia dell'emersione deve ritenersi esclusa dall'intero sistema dei termini fissati dalla legge per il procedimento amministrativo e, a maggior ragione, dal termine più breve di 30 giorni previsto dal comma 2 della norma e neanche quello massimo di 90 giorni previsto al comma 3.

Il sistema
In via generale il termine entro cui il procedimento amministrativo deve essere concluso è quello di trenta giorni come stabilito dal comma 2 dell'articolo 2 della legge 241/1990. Termine generale derogabile con la previsione di "specifici e diversi termini". Proprio il comma 3 dello stesso articolo articolo 2 prevede la possibilità di emanare norme regolamentari con le quali possono essere introdotti i termini derogatori non superiori ai novanta giorni.

Le deroghe
Ma le materie connotate da forte complessità trovano al comma 4 della medesima disposizione di legge la propria deroga esplicita -lasciata all'individuazione delle amministrazioni competenti - che comporta un'eccezione di secondo grado (come definita dal Consiglio di Stato) alle previsioni dei due precedenti commi: cioè non valgono i termini di 30 o 90 giorni, ma può esserne fissato uno superiore che non superi però il limite massimo di 180 giorni.

La materia dell'immigrazione e della cittadinanza
Però, ciò che rileva nella questione decisa dalla sentenza di Palazzo Spada, è che la stessa norma, nella parte conclusiva del comma 4, svincola esplicitamente le materie dell'immigrazione e della cittadinanza anche dal termine di 180 giorni, che va ribadito è "doppiamente derogatorio" di quello ordinario (30) e di quello massimo (90).
Una deroga per materia e totalmente indeterminata - in quanto non pone alcun paletto alla fissazione di un termine ad hoc. Per cui, come afferma il Consiglio di Stato, si può sostenere che i procedimenti in tali materie siano del tutto ininfluenti le regole del sistema generale dei termini come risultante dall'intero articolo 2 della legge 241/1990.

La decisione
La sentenza sul punto chiaramente afferma che i commi 2 e 4 della norma si pongono in "una relazione di alternatività logica e non di ‘coesistenza": perché per i procedimenti di immigrazione e cittadinanza è direttamente applicabile il termine più lungo e "ultra eccezionale" di 180 giorni. Ma soprattutto precisa che, per la piena operatività della previsione che di fatto esclude dal sistema generale i termini per i procedimenti nelle materie in questione, non è necessario che vi sia stato il concreto esercizio del potere normativo da parte delle amministrazioni coinvolte, previsto dai commi 3 e 4 dell'articolo 2. È comunque inapplicabile il termine ordinario di 30 giorni ai procedimenti in tema di immigrazione e cittadinanza e scatta solo il limite temporale massimo dei 180 giorni.
In queste materie il Legislatore ha dimostrato particolare attenzione alla situazione concreta: la particolare e intrinseca complessità dei procedimenti nonché la loro elevata quantità. E ha previsto tale deroga senza limitazioni se fondata su specifiche norme regolamentari per il suo funzionamento. E in tal caso funziona automaticamente il termine doppiamente derogatorio di 180 giorni per la durata del procedimento. ​​​​​​​

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