Penale

Discorsi d'odio, Cartabia: flop delle sanzioni penali - Sì alla inclusione nei reati Ue

Tra il 2016 e il primo semestre 2021, i procedimenti iscritti non superano le 300 unità

di Francesco Machina Grifeo

"Contro i discorsi d'odio non si può puntare solo sulla repressione, ma bisogna anche educare, prevenire e riparare". A sottolinearlo è la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, in audizione davanti alla Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza, ricordando che "l'applicazione delle norme penali non ha svolto una grande funzione di deterrenza fino a oggi".

La Guardasigilli ha fornito i numeri relativi alla repressione negli ultimi 5 anni: "tra il 2016 e il primo semestre 2021, i procedimenti iscritti non superano le 300 unità tanto nella forma di propaganda e istigazione, quanto in quella dell'aggravante. Le iscrizioni sono concentrate in pochi distretti, soprattutto del nord Italia. E le percentuali maggiori si registrano nelle grandi di città di Roma e Milano".

Ancora "guardando ai flussi dei definiti dalle sezioni gip/gup e dibattimentali si può osservare che: nell'80% dei casi l'iscrizione è definita per archiviazione; nei pochi casi di rinvio a giudizio prevale la condanna (circa il 40%). La maggior parte dei procedimenti per altri reati aggravati da finalità di odio razziale si risolve con l'inizio dell'azione penale, ma appena la metà di questi si conclude con una condanna aggravata".

Si tratta di "numeri davvero esigui", ha evidenziato la ministra, dai quali emerge "che il livello di denunce è davvero molto basso: a fronte dei fatti che leggiamo i numeri che arrivano davanti alle corti sono davvero irrisori" e "anche quando si arriva davanti ai giudici c'è la difficoltà a stabilire se un determinato discorso si configuri come propaganda o istigazione all'odio e a ravvisare un nesso di causalità tra la parola e la commissione del reato di odio. Il numero delle condanne - ha concluso Cartabia - non dà prova di uno strumento che porta a un impatto significativo della sanzione penale".

Cartabia ha poi ricordato che la Commissione europea ha presentato un'iniziativa finalizzata ad estendere l'elenco dei reati dell'UE (articolo 83, paragrafo 1, del TFUE) per includervi i reati di incitamento all'odio ed ai crimini ispirati dall'odio, a causa della razza, della religione, del genere o dell'orientamento sessuale. "Si tratta di un segnale davvero forte, perché l'UE ha una competenza limitata in materia penale".

L'ordinamento europeo è già intervenuto su tema con la decisione quadro del 2008 (2008/913/GAI), che stabilisce che le gravi manifestazioni di razzismo e xenofobia devono essere puniti con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive in tutta l'UE, tuttavia - ha aggiunto Cartabia - "non esiste armonizzazione delle normative nazionali: piuttosto i singoli stati membri offrono differenti risposte". Ed ha fornito una fotografia della situazione: 20 stati membri hanno norme penali per l'incitamento all'odio per orientamento sessuale, 17 per motivi di genere, 14 per motivi di disabilità, 6 per motivi di età. 8 Stati membri hanno definito il reato l'incitamento all'odio senza specificarne i motivi, in modo da proteggere qualunque gruppo minoritario.

"Se la proposta venisse approvata – ha proseguito - i reati d'odio sarebbero equiparati ad altri gravissimi reati". Tuttavia siamo ancora nella prima fase quella in cui il Consiglio è chiamato ad approvare la proposta all'unanimità. Superato questo scoglio, la Commissione potrà presentare una proposta di direttiva da approvare, in co-legislazione, dal Consiglio e Parlamento con una maggioranza qualificata.

Ma è in corso anche un altro "fondamentale" negoziato europeo, quello contro il fenomeno dell'odio on line. Il Digital Services Act si fonda su un principio fondamentale: "ciò che è illecito offline deve essere illecito anche online". In questa direzione va anche il Codice di condotta volontario approvato nel 2016 dai giganti del web: Facebook, YouTube, Tik Tok e altri. "Ma – ha aggiunto il Ministro -, come ha detto il commissario Reynders, ‘ora dobbiamo accelerare'. E in questa partita, il coinvolgimento delle piattaforme è decisivo".

Nel 2021 infatti i service provider, che hanno scelto di aderire al Codice, hanno controllato l'81% dei contenuti segnalati come illegali nell'arco di 24 ore, procedendo al blocco degli account nel 62,5% dei casi.

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