Casi pratici

Reato complesso. L'omicidio aggravato dal reato di stalking

Le ipotesi di pluralità di norme e di reati

di Serena Gentile

la QUESTIONE
Qual è la ratio del reato complesso? Quali sono le questioni applicative più problematiche? Come si inquadra il concorso tra il reato di omicidio aggravato e quello di stalking?


La distinzione tra unicità e pluralità di reati è di fondamentale rilevanza tanto per questioni di natura sostanziale, quanto processuale. Spesso non è così agevole catalogare il fatto-reato in un contesto unitario o frammentato. La giurisprudenza, in via generale, tende a individuare l'unicità quando si ravvisano contemporaneamente un'unica condotta, un unico nesso causale, un unico evento e un'unica volontà. Quando anche solo uno di tali elementi si palesi in modalità plurima vuol dire che ci si trova di fronte ad una pluralità di reati.
La conseguenza più importante che deriva da questa catalogazione dimensionale del reato è il trattamento sanzionatorio. Di fronte a una pluralità di reati, infatti, il soggetto agente viene punito per ogni illecito commesso, con applicazione del c.d. cumulo materiale, temperato dalla previsione dei limiti all'aumento di pena secondo lo statuto degli artt. 78, 79 e 80 c.p.
Il legislatore, tuttavia, ispirato dal principio del favor rei, ha previsto alcuni istituti volti ad evitare da un lato un trattamento sanzionatorio eccessivo e, dall'altro, di limitare il rischio di violazione del principio del ne bis in idem sostanziale e processuale.
Sempre dal punto di vista sanzionatorio, il nostro sistema prevede il c.d. cumulo giuridico, per mezzo del quale il reo viene condannato alla pena prevista per il reato più grave, aumentata in relazione alle altre violazioni commesse. Ciò si verifica quando po' configurarsi un concorso formale di reati, disciplinato dall'articolo 81, primo comma, c.p., applicabile all'agente che violi diverse disposizioni di legge ovvero diverse volte la medesima disposizione di legge mediante un'unica azione od omissione. Medesimo meccanismo sanzionatorio opera nel caso in cui più reati debbano considerarsi dal medesimo disegno criminoso secondo l'art.81, comma secondo, c.p.: una fictio iuris legislativa nella quale si individua l'unitarietà tra fattispecie dalla connessione teleologica di più illeciti posti in essere contestualmente.
Dinanzi all'esigenza di evitare doppie incriminazioni o giudizi si pone la disciplina del concorso apparente di norme, applicabile quando un fatto di reato appaia integrante due differenti fattispecie: spetta all'interprete stabilire quale delle due norme sia applicabile al caso concreto. Il criterio normativo per risolvere tale apparente conflitto interno all'ordinamento è il principio di specialità disciplinato dall'articolo 15 c.p., a mente del quale «quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito».
Il principio di specialità stabilisce, dunque, la prevalenza della norma speciale sulla norma generale, in caso entrambe le disposizioni regolino la stessa materia. Il legislatore non definisce, tuttavia, in base a quali criteri si debba considerare medesima la materia trattata.
Sul punto sono emerse una serie di teorie elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sebbene risulti prevalente la tesi del criterio strutturale astratto su quella della medesimezza del bene giuridico. Dunque, da una prospettiva pratica, deve procedersi al raffronto tra le diverse strutture delle norme incriminatrici: qualora una delle due contenga tutti gli elementi strutturali dell'altra e in più presenti un elemento specializzante per aggiunta o per specificazione vorrà dire che è la norma speciale da applicare al caso di specie.
All'interno di questo orientamento definito "monista", cui la giurisprudenza a livello declamatorio mostra piena adesione, il concorso apparente di norme va risolto solo alla luce del criterio di specialità (astratto e non concreto) unilaterale per aggiunta o per specificazione. In tale filone si è delineata anche l'idea di una specialità bilaterale o reciproca tra norme che, tuttavia, non ha riscosso consenso, perché contraddice l'idea stessa di specialità.
Si sono delineate, poi, le c.d. tesi pluraliste, che individuano una serie di ulteriori criteri per risolvere il conflitto apparente tra norme. È stato proposto il principio di sussidiarietà (a volte chiamato anche accessorietà), secondo il quale tra le fattispecie concorrenti vi sarebbe un rapporto di complementarità sulla base di diversi gradi dell'offesa, nel senso che la norma accessoria si applicherà laddove non sia operante la norma primaria. La sussidiarietà è espressa quando a rilevarla è la presenza delle c.d. clausole di riserva (es. "salvo che il fatto costituisca più grave reato"), oppure tacita quando deve desumersi dal raffronto strutturale tra le due figure criminose e il grado di disvalore in esse contenuto.
Altro criterio invocato dalle tesi pluraliste è il principio di assorbimento o consunzione, che si invera quando la più grave delle fattispecie incriminatrici applicabile al caso concreto esaurisca in sé tutto il disvalore, assorbendo il reato minore.
Il principio di assorbimento opera nell'ambito di diversi istituti, legati dall'unico comune denominatore della concorrenza di più figure criminose di fronte alle quali deve applicarsi una sola sanzione: il ne bis in idem sostanziale, il reato progressivo, l'ante-factum e il post-factum non punibile e il reato complesso. Quest'ultima forma di manifestazione del reato ha destato rilevanti quesiti ermeneutici.
Il reato complesso, ai sensi dell'articolo 84 c.p., presenta tra i propri elementi costitutivi fatti o circostanze aggravanti che costituirebbero di per sé altro reato.
Il reato complesso si distingue principalmente dal concorso apparente di norme in quanto mentre il conflitto normativo del primo viene risolto direttamente dal legislatore stabilendo l'unicità del reato complesso anche ai fini sanzionatori, nel secondo caso è l'interprete, sulla scorta del canone di specialità, a dover stabilire quale sia la norma applicabile.
La peculiarità del reato complesso consiste, dunque, nel presentare al suo interno più fattispecie di reato o circostanze che, costituendo singolarmente reato, sarebbero assoggettabili al regime del concorso formale (o materiale) di reati, ma che il legislatore impone di considerare nella loro unicità all'interno della fattispecie normativamente composta. Esempio paradigmatico è la rapina, composta dal reato di furto e di violenza privata o alla riduzione in schiavitù rispetto al sequestro di persona.
La disciplina applicabile al reato complesso non è, dunque, quella di cui all'art.81 c.p., ossia del cumulo giuridico, bensì quella speciale prevista dal legislatore per il singolo reato complesso, con i limiti di cui agli articoli 78 e 79 fatti propri dal richiamo effettuato dal secondo comma dell'articolo 84 c.p.
Sono previste, altresì, indicazioni specifiche in tema di procedibilità d'ufficio e di estinzione di reati previste dagli artt. 131 e 170 c.p. Essi stabiliscono, rispettivamente, la procedibilità d'ufficio per il reato complesso che contenga reato o circostanza già procedibile d'ufficio e l'incomunicabilità della causa estintiva di un reato che sia elemento costitutivo del reato complesso. Deve altresì segnalarsi l'art.301, comma 3, c.p., a tenore del quale opera una scissione della fattispecie complessa «Quando l'offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all'onore è considerata dalla legge come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato [84], questo cessa dal costituire un reato complesso, e il colpevole soggiace a pene distinte, secondo le norme sul concorso dei reati, applicandosi, per le dette offese, le disposizioni contenute nei capi precedenti».
Deve precisarsi che l'art.301 c.p. è la norma di chiusura del titolo I del libro II del Codice, disciplinante i reati contro la personalità dello Stato, dunque rappresenta la volontà del legislatore di inasprire il trattamento sanzionatorio per il reati aventi ad oggetto beni giuridici di particolare rilievo costituzionale (in particolare, delitti contro la personalità internazionale ed interna dello Stato, contro i diritti politici del cittadino e contro gli stati esteri, loro capi e rappresentanti) afferenti alla sicurezza fisica e politica dello Stato e dei suoi cittadini. Siffatta scissione, secondo le coordinate pretorie, rappresenta un'eccezione alla ratio sottesa all'istituto del reato complesso: da ciò deriva che non è suscettibile di applicazione analogica ad altri reati.
Alla luce di quanto sinora osservato può concludersi che:
-nelle ipotesi in cui trovi applicazione il principio di specialità in caso di concorso apparente di norme si applicherà la pena prevista per la fattispecie speciale;
-nel caso di più violazioni di una stessa disposizione di legge o di plurime disposizione di legge mediante una sola azione od omissione trova applicazione la disciplina del concorso formale, con la quale si commina la pena prevista per il reato più grave aumentata sino al triplo. Medesimo meccanismo sanzionatorio opera nel caso di commissione di più reati commessi sotto il vincolo della continuazione, cioè unificati dalla programmazione di un unico disegno criminoso;
-nel caso di autonome fattispecie integranti per voluntas legis un reato complesso, la sanzione operante è quella prevista per la specifica figura criminosa composta (salvo l'operatività del limite previsto dall'art.301 c.p.).

Questioni applicative più rilevanti in tema di reato complesso
Ai fini della configurazione del reato complesso non è sufficiente che più fatti, costituenti isolatamente altrettanti reati, presentino un qualche elemento in comune. è necessario, invece, che una norma di legge, operando una combinazione in un'unica figura criminosa per motivi di politica criminale, determini la convergenza di un reato nell'altro quale suo elemento costitutivo o circostanza aggravante, perdendo, dunque, la propria autonomia normativa e fondendosi, per identità dell'elemento oggettivo e dell'elemento soggettivo in un solo reato.
Dalla lettura dell'art. 84 c.p. si possono distinguere due diverse ipotesi: il reato complesso speciale o di primo tipo, dato dalla fusione di due reati, posti in posizione paritetica (es. rapina), e il reato complesso aggravato o circostanziato, risultante dalla combinazione di due illeciti di cui uni degrada ad elemento circostanziale dell'altro (es. omicidio aggravato dai maltrattamenti in famiglia).
Entrambe queste ipotesi rientrano nella categoria definita del "reato complesso in senso stretto" che si distingue dal c.d. "reato complesso in senso lato". Nel primo caso la fattispecie si compone necessariamente di due reati, mentre nella seconda ipotesi il reato complesso viene a formarsi da un reato autonomo combinato con un ulteriore elemento che non ha rilevanza penale (ad esempio, la violenza sessuale nella quale coesistono il reato di violenza privata e gli atti sessuali quale condotta umana). Su queste due categorie finisce col sovrapporsi anche la distinzione tra reato necessariamente complesso e reato eventualmente complesso: nella prima vi rientrano le fattispecie composte in cui senza la realizzazione di uno dei due autonomi reati non può sussistere la fattispecie, diversamente nella seconda si collocano le ipotesi in cui uno dei fatti costituenti reato potrebbe anche non realizzarsi, non dando luogo alla configurazione complessa. Quest'ultimo tipo, tra l'altro, rischia di confondere il reato complesso con la diversa figura del reato progressivo, nella quale vi è (o può non esserci se eventuale) una progressione dell'offesa da un minus ad un maius all'interno di una stessa fattispecie incriminatrice.
In realtà, queste tesi dottrinali, seppure considerate in giurisprudenza, si connotano di scarsissima rilevanza pratica. Tuttavia, è doveroso segnalare che tanto la tesi del reato complesso in senso lato, quanto quella del reato eventualmente complesso hanno riscontrato un'adesione davvero marginale.
Le questioni applicative più interessanti, invece, riguardano proprio l'ìpotesi del reato complesso circostanziato. In particolare sono state oggetto di dibatto due questioni:
-l'applicabilità del giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p. dell'elemento circostanziale del reato;
-il regime di imputazione soggettiva e di comunicabilità della circostanza.
L'orientamento prevalente di dottrina e giurisprudenza è quello di trattare il profilo circostanziale del reato con il regime specifico delle circostanze: in tal senso si richiama, in particolare, il dato letterale dell'art. 84, comma 1, c.p., il quale, espressamente, prevede l'ipotesi del reato che assuma il ruolo di circostanza aggravante non operando in merito alcuna specificazione. Altresì, dal punto di vista dell'imputazione soggettiva, si utilizza l'argomento normativo/evolutivo, cioè la ratio della riforma del 1990 con cui si richiede per l'addebito circostanziale la necessaria esistenza dell'elemento psicologico in termini di dolo o di colpa.
Di recente, il reato complesso c.d. circostanziato o aggravato è stato oggetto di disamina da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riguardo all'esatto inquadramento del reato di omicidio aggravato dal fatto che l'autore ha commesso il delitto di atti persecutori nei confronti della vittima.

Il recente dibattito pretorio
Le ipotesi di reato complesso c.d. circostanziato, come già evidenziato, da sempre hanno destato maggiori dubbi esegetici. Di recente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a risolvere il contrasto interpretativo insorto sull'esatto inquadramento dell'omicidio aggravato perché commesso dall'autore del delitto previsto dall'art.612 bis nei confronti della stessa persona offesa.
Come si vedrà meglio di seguito, aa un lato c'è stato chi ha sostenuto la tesi della sussistenza di un concorso tra reati, negando la sussistenza di un rapporto di specialità tra le due fattispecie; dall'altro, si è posto l'orientamento di coloro che individuano nell'ipotesi in esame un reato complesso, sulla base dell'operatività del principio di assorbimento.

Più segnatamente, con l'ordinanza di rimessione si evidenziava che:

A) secondo un primo orientamento non può ritenersi ammissibile l'assorbimento del delitto di atti persecutori in quello di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p., difettando tra le due fattispecie il rapporto di specialità. A sostegno di tale impostazione si richiama, in primis, il dato letterale: nell'art. 576, comma 1, n.5.1 c.p. si fa riferimento all'"autore del delitto previsto dall'art. 612-bis", senza richiamare elementi di contestualità. Dunque, la circostanza aggravante in parola avrebbe carattere soggettivo, integrandosi in caso di identità tra l'autore del delitto di omicidio e l'autore del delitto di stalking. Quindi, il reato di atti persecutori secondo tale inquadramento mantiene rilevanza autonoma ed è punibile in concorso con il delitto di omicidio aggravato, stante l'assenza di qualsiasi interferenza tra i due reati a livello di fattispecie astratte e di nesso teleologico o di contestualità come per le altre fattispecie aggravatrici.

B) a tenore del secondo orientamento, l'art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. configurerebbe un vero e proprio reato complesso ai sensi dell'art. 84, comma 1 c.p., mediante l'integrale assorbimento del disvalore delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa, di cui l'omicidio costituisce il momento culminante. Ad avviso di questo indirizzo interpretativo, sebbene la formulazione della norma risulti certamente poco chiara, non può trattarsi di aggravante soggettiva perché integrante una c.d. colpa autoriale. Il reo non può essere punito per ciò che rappresenta da un punto di vista soggettivo, ma per gli atti illeciti posti in essere. Ne deriva che l'elemento aggravatore non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker , ma che esso sia stato preceduto da condotte persecutorie culminate nell'omicidio della persona offesa. Cioè, tra i fatti di stalking e la condotta omicidiaria esiste un nesso teleologico, un vincolo di contestualità criminosa, che funge da presupposto per l'applicazione della disciplina del reato complesso. Diversamente, si finirebbe per ammettere un'implicita interpretatio abrogans dell'art. 84 c. 1 c.p., con contestuale violazione del principio del ne bis in idem sostanziale posto alla base dell'istituto.
La Sezione rimettente, pertanto, non condivide l'interpretazione soggettivistica dell'art.576, comma 1, n.5.1. c.p., in quanto in netto contrasto con l'impostazione oggettivistica del diritto penale (come valorizzata dalla Corte Costituzionale nel 2010 in tema di aggravante della clandestinità), nonché con i principi di materialità e offensività.
Altresì, osserva la Quinta Sezione Penale di Piazza Cavour, la formulazione della norma, seppure "infelice e incerta", illustra la volontà del legislatore di voler aggravare la condotta di colui che commette l'omicidio nei riguardi della vittima perseguita per stalking: la disposizione richiama espressamente "la persona offesa", così da palesare nella norma il nesso finalistico delle condotte e anche temporale.
Dunque, le questioni esegetiche sono rappresentate dalla disciplina applicabile in base al rapporto astratto tra il delitto di stalking e quello di omicidio, nonché dall'esatto inquadramento della circostanza aggravante di cui all'art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p.
Esiste un rapporto di specialità ex art.15 c.p. o opera il meccanismo dell'assorbimento ex art.84 c.p.? L'aggravante contemplata dall'art.576 c. 1 n. 5.1. c.p. è una circostanza aggravante soggettiva da contestare in concorso formale col delitto di stalking o è una circostanza oggettiva che si innesta nel reato complesso di secondo tipo di omicidio aggravato?
Alla luce di tali incertezze ermeneutiche, la V Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, chiedendo «se, in caso di concorso tra i fatti-reato di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell'art.576, comma 1, n.5.1, c.p. sussista un concorso di reati ai sensi dell'art.81 c.p., o un reato complesso, ai sensi dell'art.84, comma 1, c.p., che assorba integralmente il disvalore della fattispecie di cui all'art.612 bis c.p. ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa».
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto il quesito di diritto con la sentenza 26 ottobre 2021, n. 38402, con la quale hanno sancito che:
-in via preliminare, per il corretto inquadramento della questione deve affermarsi l'irrilevanza del principio di specialità di cui all'art.15 c.p. e, dunque, della disciplina sul concorso apparente di norme, in ragione della radicale difformità strutturale delle fattispecie incriminatrici dell'omicidio e degli atti persecutori. Tra l'altro, nel caso di specie ci confronta con plurimi fatti di reato : poiché la disciplina contenuta nell'art. 15 c.p. si applica a un fatto unitario sul quale sembrano confliggere più norme deve escludersene perentoriamente la pertinenza;
-il dato normativo di riferimento va ricercato esclusivamente nell'art. 84 c.p., con il quale si disciplina una figura di reato autonoma nella quale si innestano il reato di omicidio e il reato di stalking;
-il delitto di atti persecutori, infatti, viene richiamato all'interno dell'art. 576, comma 1, numero 5.1 c.p. nella sua integrale tipicità, escludendo, in tal modo, ogni dubbio circa la conformazione autoriale di tale circostanza aggravante che compone il reato complesso in disamina.

Considerazioni conclusive
All'esito del percorso sin qui delineato, emerge che il sistema penale italiano contempla una pluralità di istituti volti a mitigare il trattamento sanzionatorio e a evitare il rischio di violazione del ne bis in idem sostanziale e processuale. Tra questi si colloca il reato complesso, figura di reato peculiare nella quale si innestano quali elementi costituitivi autonomi reati. Questa particolare struttura criminosa, operante per mezzo del principio di assorbimento, comporta una serie di specificità applicative ed esegetiche, soprattutto nel caso di reato complesso circostanziato. Il Massimo Collegio di Piazza Cavour, con la sentenza 26 ottobre 2021, n. 38402, ha offerto una panoramica dell'intera disciplina derivante dall'operatività dell'art.84 c.p. e ha fugato ogni dubbio sulla esatta configurazione del delitto di cui all'art.576, comma 1, n.5.1 c.p. nella cornice del reato complesso. Tuttavia, come ha chiarito la Suprema Corte, non è un inquadramento automatico, ma spetta sempre all'interprete valutare se ricorrono i presupposti strutturali dell'istituto e, in particolare, il nesso teleologico tra i reati e la contestualità delle condotte.

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