Amministrativo

Rimborso delle spese legali al pubblico dipendente solo dopo il via libera dell'Avvocatura di Stato

In ogni caso il diritto al rimborso non è un diritto al completo ristoro delle spese legali sostenute dal dipendente

di Pietro Alessio Palumbo

L'istituto del rimborso delle spese legali al pubblico dipendente si giustifica per evidenti ragioni di ordine equitativo, e ha carattere di indennizzo, e non risarcitorio o restitutorio in senso stretto. Secondo il Tar Liguria (sentenza n.394/2023) si tratta, dunque, di un diritto da soddisfare e liquidare soltanto nei termini riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato, nel bilanciamento tra l'interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali concretamente sostenute e l'interesse generale ad evitare erogazioni non
appropriate, cioè non coerenti in relazione al rilievo ed all'importanza dell'attività difensiva indispensabile. In ogni caso il diritto al rimborso non è un diritto al completo ristoro delle spese legali sostenute dal dipendente.

Il caso esaminato
Nella vicenda affrontata dal Tar genovese un ex pubblico dipendente ormai in quiescenza aveva agito nei confronti del Ministero e dell'Avvocatura distrettuale dello Stato per l'annullamento della nota del Dicastero nella parte in cui non aveva accolto integralmente l'istanza per ottenere il rimborso delle spese legali relative al procedimento penale instaurato a suo carico, nonché del parere di congruità espresso su detta pratica
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato.
Il giudice amministrativo ha innanzitutto chiarito che nel procedimento di rimborso delle spese legali l'Amministrazione non esercita un potere discrezionale, ma deve attenersi al parere di congruità, obbligatorio e vincolante, reso dall'Avvocatura dello Stato: di conseguenza, nella vicenda il dedotto mancato preavviso di parziale rigetto della domanda di rimborso non comporta l'illegittimità della determinazione ministeriale.

Il ruolo dell'Avvocatura dello Stato
In particolare le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, vanno rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti appropriati dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità. La logica disciplinare dell'istituto in parola è quindi quella di tenere indenne il pubblico funzionario dalle spese legali sostenute per difendersi da un'accusa ingiusta per fatti inerenti ai compiti ed alle responsabilità dell'ufficio. Ciò nel limite di quanto strettamente necessario, trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica e che quindi devono essere contenute entro stretti limiti. Tant'è che, per legge, l'attuazione delle disposizioni in argomento deve risultare coerente con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Ed è proprio a tal fine – ha sottolineato Tar - che è richiesto il parere di un organo tecnico altamente qualificato per valutare le effettive necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli sono state mosse ed ai rischi del giudizio.

Diritto del dipendente non equiparato al rapporto cliente professionista
Ma il diritto al ristoro delle spese non implica necessariamente il rimborso totale delle stesse. Infatti non è ragionevole una equiparazione tra il debito del cliente verso il professionista e quello di protezione del dipendente, che è a carico dello Stato, poiché il debito del cliente risponde al soggettivo andamento da lui impresso al rapporto professionale, cioè, esemplificando, all'impostazione difensiva prescelta; alla frequenza delle consultazioni che ha richiesto al legale; agli scritti difensivi non indispensabili, ma sollecitati e prodotti per sola cautela; alle spese vive eventualmente concordate per trasferte e partecipazione a ogni tipo di udienze. A ben vedere trattasi di oneri di cui non può farsi totale carico l'amministrazione, ed ecco perché, prudentemente, il legislatore ha previsto che siano vagliati, sotto il profilo della congruità, dall'Avvocatura dello Stato.
Diversamente tale spesa finirebbe per gravare interamente sulla finanza pubblica e resterebbe soggetta alla determinazione pattizia tra il dipendente pubblico assistito e il suo difensore di fiducia, o anche alla sola verifica limitata alla riconducibilità delle voci alla tariffa e all'attività svolta su mandato del cliente; senza alcun riguardo per la posizione dello Stato, terzo obbligato. Si tratta, pertanto, di un diritto da soddisfare e liquidare soltanto nei termini riconosciuti coerenti dall'Avvocatura dello Stato, mettendo in equilibrio l'interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali effettivamente sostenute e l'interesse pubblico a sottrarsi da elargizioni illegittime; ossia non causalmente congrue in rapporto alla rilevanza ed all'entità del compito difensivo necessario. Può pertanto affermarsi che l'istituto del rimborso delle spese legali non ha natura e carattere rigorosamente restitutori.

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