Amministrativo

Ncc, ok all’operatore estero anche senza autorizzazione

Per il Tar Lazio nel noleggio con conducente c’è il dirittoalla libertà di stabilimento

di Maurizio Caprino

Le norme nazionali che contingentano le autorizzazioni a svolgere attività possono essere aggirate dal principio comunitario della libertà di stabilimento. Salvo che siano norme proporzionate rispetto allo scopo perseguito e non discriminatorie. Questa è la conclusione che si trae dalla sentenza 9364/2001 depositata l’11 agosto dalla Terza sezione del Tar Lazio, su un argomento diventato sensibile molto sensibile negli ultimi anni: i limiti all’esercizio del noleggio con conducente (Ncc). Ma il principio si può estendere a tutte le altre attività (si veda l’articolo sotto).

La sentenza riguarda una vicenda particolare, ma riconducibile al numero chiuso che vige in Italia per i servizi Ncc e taxi. Il ricorso riguardava il rifiuto della Motorizzazione di immatricolare una vettura utilizzata da una società slovena per l’attività di Ncc a Roma: l’auto, targata Lubiana, era stata fermata dalla Polizia locale mentre era alla guida un residente in Italia, cosa che per i commi 1-bis e 7-bis introdotti a fine 2018 nell’articolo 93 del Codice della strada dal decreto Sicurezza comporta anche la confisca del mezzo se non lo si immatricola in Italia entro 180 giorni. Operazione respinta dalla Motorizzazione, perché l’articolo 85 del Codice consente di targare un mezzo per Ncc solo se il richiedente ha l’autorizzazione comunale a svolgere questo servizio.

Quindi in realtà il vero bersaglio del ricorso al Tar è la necessità dell’autorizzazione italiana per chi ne ha già una nel proprio Paese Ue, soggetta alle regole di questo Stato. Si sostiene che essa è valida, per la libertà di stabilimento prevista dagli articoli 49 e seguenti del Tfue (il Trattato di funzionamento dell’Unione europea).

Il Tar conferma, citando varie sentenze della Corte Ue (da quella sulla causa 212/1997 alla n. 168 dell’11 ottobre 2015 e alla n. 749 del 14 maggio 2020). Il principio di tutte è che le restrizioni alla libertà di stabilimento previste da norme nazionali per motivi imperativi di interesse generale devono garantire la realizzazione del loro obiettivo senza andare oltre il necessario per raggiungerlo né discriminare in base alla cittadinanza.

Sulla base di ciò, il Tar esamina la normativa italiana: l’articolo 8 della legge 21/1992 (molto contestata per il numero chiuso che impone nei servizi di trasporto pubblico non di linea) e l’articolo 85 del Codice della strada.

L’articolo 8 rende «obbligatoria la disponibilità...di una sede, di una rimessa o di un pontile di attracco situati nel territorio del Comune che ha rilasciato l’autorizzazione». Nel caso della società slovena - osserva il Tar - dovrebbe essere il comune estero, il che indirettamente limita l’attività.

Quanto all’articolo 85, è ritenuto «in netto contrasto con il diritto di stabilimento» perché vieta a chi ha una licenza di un Paese Ue di operare, inibendo il rilascio della carta di circolazione anche se l’operatore ha aperto una sede anche in Italia. Per questo il Tar ha deciso di disapplicarlo.

Stando a questo principio, qualsiasi soggetto abilitato in uno Stato comunitario potrebbe operare in Italia anche senza l’ok comunale: in caso di sanzione, basterebbe un ricorso all’autorità giudiziaria per far disapplicare la normativa italiana.

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